Una «Spa» chiamata Biella di Valeria Sacchi

Una «Spa» chiamato Biella Reddito record, piena occupazione e grande vitalità industriale nella capitale della lana Una «Spa» chiamato Biella Stretta collaborazione tra imprese e pubblici poteri per rimediare alla lontananza dello Stato Finalmente ottenuta l'università, un aeroporto per il '90 - Ma la viabilità resta insufficiente DAL NOSTRO INVIATO BIELLA — II Biellese è un posto dove nascono più imprese che bambini: dal 1970 la popolazione dei suoi 83 Comuni è scesa sotto i 200 mila abitanti, ma nel frattempo sono sorte oltre mille unità produttive. Oggi se ne contano 5000 con 45.000 addetti, che significa un tasso di occupazione del 45,2% contro la media piemontese del 43,7 e la media nazionale del 39,8, la maggior parte concentrata nell'industria (61,7%), Bastano queste cifre per capire che Biella gode buona salute. La città ha vinto oltre dieci anni or sono la sua battaglia laniera: cadevano le roccaforti inglesi, scomparivano i grandi nomi di Francia, ma i biellesi si sono ostinati e, oggi, sono la capitale mondiale della lana di alta qualità, ai primi posti anche nel meccano tessile. Certo, esiste il rischio della mono-cultura. Un anno e mezzo fa l'Unione Industriale ha chiesto a sei economisti un «check up» sull'area-sistema; il coordinatore, Mario Deaglio, ha dovuto riconoscere al «radicato concetto di identità» aspetti positivi, ma ha suggerito maggiori aperture internazionali, strutture scolastiche avanzate. Mancano infatti non i tecnici, ma i laureati, anche perché i diplomati trovano subito lavoro e rinunciano agli studi superiori. Biella è già corsa ai ripari: nell'area della Città degli Studi è partita quest'anno l'Università Tessile, la prima in Italia, un triennio di specializzazione, cui si affiancano il premio internazionale «Biella Wool Textile Award», 25 milioni per un contributo innovativo, e il "Master delle fibre nobili», borse di studio biennali di 60 milioni per laureati, con tirocinio presso imprese locali. Dice con un certo orgoglio Aldo Zegna, antica dinastia: «Nella nostra industria abbiamo la qualità, abbiamo l'immagine, la formazione professionale, ora l'università, tutto quello che era un tempo la forza delle capitali estere della lana. Perché dove cade la scuola cade l'industria». Nell'area non c'è disoccupazione (la percentuale è inferiore al 2%) ma il rischio è di uno sviluppo soffocato da mancanza di manodopera, un timore antico. Nel passato la salvezza è arrivate da due grandi ondate venete, dopo Caporetto e il Polesine; poi è stata la volta dei sardi e di nuclei meridionali: gli antoniminesi (Reggio Calabria) da soli sono oltre duemila. Ancora inesistente il Terzo Mondo: meno di cento, tutti occupati. Gli immigrati, salvo casi particolari, si sono integrati benissimo perché un'altra caratteristica di Biella è questa, di amalgamare le minoranze. Forse perché si sente essa stessa minoranza isolata dal resto d'Italia. Le ragioni della separazione sono fisiche e rappresentano oggi il suo più grave problema. Biella è un terminale chiuso. A Nord le montagne, a ovest le colline moreniche della Serra, a est Vercelli, il capoluogo che deprime ogni performance biellese: per reddito, la provincia è undicesima in Italia, Biella da sola è sesta con oltre 20 milioni l'anno prò capite, contro i 17,8 del Piemonte, i 14,8 dell'Italia. Manca un raccordo decoroso con l'autostrada, la ferrovia fa capolinea e rientra nei «rami secchi» che stanno per essere tagliati, la «pedemontana» (Aosta-Sempione-Bergamo) è ferma. Anche il sistema di strade all'interno è fermo, nonostante un pendolarismo quotidiano che sposta nelle valli ogni giorno impiegati e operai su percorsi medi (e tortuosi) che vanno dai cinque ai 30 chilometri. La concentrazione del traffico merci su ruota (80%) inquina oltre i limiti la stessa cittadina, che subisce quotidianamente l'attacco di ventimila veicoli. «Stiamo studiando una chiusura allargata del centro» spiega Luigi Squillante, avvocato e sindaco de dal 1980. «Nel 70 era stato fatto un piano per tenere gli stabilimenti fuori dalla cintura cittadina, nelle valli, e ci siamo riusciti. Ora abbiamo bisogno dei collegamenti interni». H Biellese sente lo Stato lontanissimo (l'ultimo politico nazionale è stato Pella), il che da una parte va benissimo, ma pesa sul piano dei servizi all'impresa. Per questo Biella ha chiesto di essere Provincia, per avere l'ufficio Iva, l'Intendenza di finanza, la Tesoreria. E soprattuto le strade. Si lamenta Alberto Brocca, direttore dell'Unione Industriali: «Non pesiamo politicamente». Aggiunge Paolo Botto, grande laniero: «La tradizione e il cuore sono a Torino, la testa e il portafogli a Milano». Alla lontananza dello Stato, i biellesi oppongono un lavoro di squadra, che vede industriali privati e poteri pubblici associati nella formula della «Società per Azioni». Osserva Angelo Pavia (maglificio Belila): «Abbiamo una vocazione di solitudine, di autonomia, ma ci ricomponiamo a livello associativo. Le associazioni sono più importanti dei partiti, a ogni livello». Perno delia città sono infatti l'Unione Industriale e lo stesso Comune. Insieme decidono tutto: la Città Studi (dove è presente anche il Cnr), il futuro Centro Direzionale, il Centro Biella Fiera (guidato da Paolo Lavino, re delle vendite per corrispondenza) e l'Aeroporto (presidente Ferdinando Savio), fiore all'occhiello che sarà funzionante per merci e passeggeri entro il 1990, il primo passo concreto per combattere l'isolamento. Tutte iniziative dove privati e pubblici si dividono i rischi, in un'alleanza che a Biella funziona benissimo. L'ultima nata, con compiti propositivi, è «Biella Spa» tout court: una alternativa se fallisce il «progetto Provincia». Valeria Sacchi \ Negli stabilimenti tessili biellesi è avviata da anni una robusta rivoluzione tecnologica

Persone citate: Alberto Brocca, Aldo Zegna, Angelo Pavia, Ferdinando Savio, Luigi Squillante, Mario Deaglio, Paolo Botto, Paolo Lavino, Pella