San Pietro seduto

San Pietro seduto VERA STORIA DEL BRONZO VATICANO San Pietro seduto Un errato convincimento, assai frequente in chi non appartiene per mestiere al campo storico-artistico, è che i grandi artisti del passato siano stati studiati in modo soddisfacente, e che su di essi esistano trattazioni cui affidarsi per affinare la propria conoscenza. E' questa una fallacia di cui è facile provare l'inconsistenza; la storia dell'arte segue a volte taluni criteri che sono al seguito di mode e di tendenze, le cui motivazioni sono complesse e numerose. Accade così, ad esempio, che su Nicolas Poussin si moltiplichino articoli, libri, convegni e mostre; a riscontro, uno dei sommi geni della scultura di tutti i tempi, Arnolfo di Cambio (che occupa, nella plastica, una posizione assai prossima a quella che in pittura possiede Giotto), oltre a godere, nella conoscenza di massa, di una diffusione piuttosto esigua, non sollecita quel diluvio di saggi, interventi, volumi lussuosi, cataloghi ragionati di cui si arricchisce continuamente la bibliografìa dei nomi à la une. Chi voglia, ai nostri giorni, sapere qualcosa su Arnolfo, deve rivolgersi ad una pubblicazione della professoressa Angiola Maria Romanini, un volume che, tutto sommato, non è che una modesta compilazione, priva di contributi originali, e che brilla soprattutto per la disinvoltura con cui vengono in esso liquidati, senza un'approfondita discussione e senza interventi sorretti da un'autentica conoscenza dei fatti, taluni problemi di grande rilievo che ruotano attorno alla persona del grandissimo scultore. A conferma di questa deplorevole, superficiale metodologia (seppure sia lecito usare questa parola), basta rileggere il passo che riguarda una delle opere più celebri e più illustri di tutti i tempi, la statua in bronzo di San Pietro nella Basilica Vaticana. L'autrice della lamentevole faticata ne accetta l'attribuzione ad Arnolfo, secondo un'ipotesi che, se poteva posse-' dere una larva di verosimiglianza cinquantanni fa (quando gli studi sulla scultura del tardo Duecento erano agli albori), appare oggi del tutto inconsistente, e smentita dall'analisi stilistica e dall'evidenza documentaria. Non si vuole qui entrare nel vivo della questione filologica; sottolineo invece l'informatissima, ammirevole sintesi del problema che, sotto il punto dì vista della storia della statua, ha proposto la professoressa Margherita Guarducci, nel recente numero (16) della rivista archeologica Xenia, Nota in tutto il mondo come epigrafista, la Guarducci ha ricostruito le vicende, spesso romanzesche, dell'immagine; ne risulta che si tratta di opera dell'inizio del V Secolo, cioè dell'epoca dell'Imperatore Onorio, più di otto secoli prima di Arnolfo, cosa che del resto è suggerita dall'evidenza stilistica. La storia del preziosissimo bronzo (che a volte si intreccia con i fatti primari della Chiesa di Roma) va affiancata (una volta ammessa la sua alta epoca) con l'indagine iconologica: perché il Santo è raffigurato seduto? Anche questo dato riporta all'epoca suggerita dalla Guarducci, l'epoca cioè della reazione pagana contro il Cristianesimo, appoggiato con sempre maggior impegno dagli Imperatori ma accusato (dall'antica aristocrazia romana e dai circoli intellettuali legati alla tradizione) di essere una forma religiosa di analfabeti, superstiziosi, ignoranti privi di qualsiasi finezza o educazione di cultura. La risposta a questa propa ganda è tipica della mentalità dell'epoca, le cui espressioni fi gurative si basano soprattutto su repertori simbolici facilmen te comprensibili dai lettori, an che i più comuni. Nel tardo mondo antico, i filosofi veniva^ no raffigurati seduti in cattedra (in certi casi, gli ornati del seg gio indicavano la corrente cui apparteneva il personaggio); ecco dunque che l'Apostolo Pietro viene mostrato in veste di filosofo, cioè seduto. Tra non molto, Paolo diverrà il Dottore delle Genti, e verrà onorato con una grandiosa basilica eretta dagli Imperatori e ornata di un grande mosaico dalla sorella di Onorio, Galla Placidia. Anche per Paolo si ricorse agli schemi simbolicofigurativi, per cui i suoi tratti vennero calati in quelli del filosofo per eccellenza del tardo mondo antico, Plotino, se è costui, come pare, che torna in una serie di ritratti del terzo e quarto secolo che preannunciano la fisionomia poi attribuita a Paolo. Il periodo che va da Costantino il Grande sino a Romolo Augustolo (cioè dai primi del quarto sino alla fine del quinto secolo) è stato di importanza decisiva per molte formule figurative e, genericamente, culturali; è anche un periodo sul quale non abbondano gli studi, specie per ciò che concerne la topografia del Colle Vaticano durante il tardo Paganesimo. Se è vero, come sostiene la professoressa Guarducci (e come io credo), che le ossa di San Pietro erano conservate e venerate in un punto situato esattamente al di sotto dell'attuale confessione della Basilica Vaticana, è anche innegabile che nel tardo Impero il Colle Vaticano era il centro dei culti orientaleggianti di redenzione e di resurrezione, Cibele, Atys e Mitra. Non per nulla, in almeno due città dell'Impero (tra cui Lugdunum, l'odierna Lione) il quartiere dei culti orientali si chiamava Vaticanttm. Tra i sette gradi dell'iniziazione mitriaca, il più alto era quello del Pater Patratits: e se l'abbreviazione di questo titolo fosse Papa'. E se egli avesse avuto sede nel Colle Vaticano? Sono ipotesi, ma ipotesi non prive di verosimiglianza. Non sarei affatto sorpreso se un giorno si scoprisse che l'attuale Cappella Sistina (sulla cui origine, e sulle ragioni che imposero di situarla nel luogo che occupa, non si sa assolutamente nulla) occupa lo spazio che era della gretta del culto mitriaco. Del resto, è cosa nota che il 25 dicembre, cioè il giorno di Natale (giorno cui non fanno cenno né i Vangeli né gli altri testi più antichi del Cristianesimo), era, da tempo molto ante¬ d riore alla nostra Era, il giorno della nascita di Mitra. Per tornare all'iconografia di San Pietro: è singolare, a dir poco, die una delle persone della trinità mitriaca, cioè Aiòn (che ha una posizione analoga a quella del Padre nella teologia cristiana), venga raffigurato con due attributi molto specifici, due chiavi e un gallo, gli attributi cioè che poi passeranno all'iconografia petriana. Questi (e molti altri del medesimo tipo) sono quesiti tuttora poco investigati, e che fanno parte di un unico problema, di fondamentale evidenza. Si tratta di conoscere con esattezza se la Divinitas di Costantino, cui allude ad esempio l'iscrizione sull'Arco trionfale, fosse, in un primo tempo, il Cristianesimo, o piuttosto un'entità sincretistica, nella quale erano fusi Apollo, Mitra, il Sole e Cristo: un'entità posta alla tutela della Roma Aeterna. Esistono molti indizi che alludono in questo senso; anche verosimile appare che Costantino abbia in un secondo tempo enucleato da tale amalgama il Cristianesimo vero e proprio, convertendosi ad esso e accettando il Battesimo. Se le cose andarono in questo senso, si spiega come la religione cristiana, uscita sola e vincirrice, abbia conservato taluni elementi del periodo sincretistico, elementi che in nessun modo alterarono o modificarono il senso del messaggio cristiano, la sua portata, le sue strutture essenziali. D'altra parte l'eternità di Roma, la Roma Aeteri/a di Massenzio (sconfitto da Costantino nella Battaglia di Ponte Milvio il 28 ottobre del 312), ha continuato a vivere sino ai nostri giorni grazie al Cristianesimo, che Costantino aveva trasformato da forza di opposizione e di contestazione in sostegno dell'Impero e della sua universalità. Federico Zeri Roma. Il San Pietro finora attribuito a Arnolfo di Cambi

Luoghi citati: Cambi, Ponte Milvio, Roma