In Afghanistan con iI governo ribelle di Tito Sansa

In Afghanistan con il governo ribelle Il nostro inviato alla prima riunione in patria dei ministri mujaheddin In Afghanistan con il governo ribelle DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR — n governo del mujaheddin si è riunito ieri per la prima volta tra le cannonate in territorio afghano. L'avvenimento doveva essere una dimostrazione dì forza e invece è stato una prova di debolezza. Non a Jalalabad, l'ex capitale d'inverno del regno di Afghanistan si è tenuta la riunione ma a Shewai, un sicuro sperduto villaggio incastrato tra le montagne di Khost, nella regione di Paktia, a una dozzina di chilometri dal confine pakistano e distante ben 200 chilometri in linea d'aria da Kabul. Per raggiungerla e avvalorare la cerimonia sono stati scomodati più di 80 giornalisti, 55 dei quali occidentali (cinque le donne), che hanno dovuto affrontare un pericoloso viaggio su mulattiere di montagna dapprima a bordo di sgangherati autobus poi su pianali di trattori. Quasi diciotto ore è durata la trasferta, nove all'andata e altrettante al ritorno. Com¬ plessivamente i giornalisti (il più numeroso contingente mai contrabbandato attraverso la frontiera con l'assistenza dei servizi segreti pakistani) sono rimasti in Afghanistan per quattro ore, i ministri del neonato governo appena due ore e poi via di corsa verso la sicura Peshawar. C'è stato anche un allarme quando un aereo ha sorvolato ad altissima quota la colonna. Tutti a terra nei fossi a margine della strada, mentre le artiglierie contraeree sputavano *ioco. E' stato lanciato anche un missile Stinger, che però è esploso con un bagliore prima di poter raggiungere l'obiettivo troppo lontano. A Jalalabad, era stato detto alla vigilia, si sarebbe tenuta la riunione di governo. Tutti ne erano lieti perché Jalalabad è un bel nome che sa di battaglia, di sole e di pietraie, un po' come Guadalajara, e sarebbe stato bello datare un articolo da laggiù. Dall'estate scorsa tutti si aspettavano di andare in quella città per la cerimonia di insediamento. Ma Jalalabad è pericolosa, si combatte ferocemente, la città non è ancora caduta e le notizie che arrivano da lì parlano di un massacro. La radio di Kabul ha detto iersera che i mujaheddin sono stati respinti e che hanno lasciato sul terreno 415 morti. Qui a Peshawar se ne ha la conferma. Gli ospedali non sono più in grado di accogliere i feriti tanto alto è il loro numero e dai campi di raccolta dei profughi si ha notizia che negli ultimi tre giorni da Jalalabad sono arrivate ie salme di un centi¬ naio di caduti. A Shewai dunque, un posto sicuro in un villaggio interamente nuovo costruito dal partito di Rasul Sayaf (quello finanziato dall'Arabia Saudita) per la riunione di governo che è stata più che spartana. In una delle casette fortificate come un bunker, in una stanza minuscola e senza luce di forse tre metri per cinque, intorno a un tavolo circondato da dieci sedie hanno preso posto il presidente Mojadidi e 9 ministri dei 17 finora nominati dei 35 che il governo dovrebbe avere. Grandi assenti i mini- stri fondamentalisti Hikmatyar e Khales e il moderato Gailani che si trova a Roma per indurre l'ex re Zahir Shah a tornare in patria. Un'ora è durato il consiglio di gabinetto e non dev'essere stato molto movimentato. Alla fine infatti i fogli di carta che ciascun ministro aveva davanti a sé erano sempre immacolati. Ci sono poi state dichiarazioni (tutta la cerimonia era stata organizzata e piuttosto male per gli organi d'informazione) del presidente Mojadidi e del primo ministro Sayaf. I due hanno messo in evidenza la capacità dei mujaheddin di riunirsi in patria «appena due settimane dopo la formazione del governo mentre altri governi sono in esilio da anni» e la certezza nella vittoria finale. Incredibile la ressa degli inviati delle televisioni, delle agenzie e dei giornali nella piccola stanza. Ci sono state pro- Tito Sansa (Continua a pagina 2 In terza colonna)

Persone citate: Gailani, Mojadidi, Rasul, Zahir Shah

Luoghi citati: Afghanistan, Arabia Saudita, Jalalabad, Kabul, Roma