La «bella addormentata» di Zeri

La «bella addormentata» di Zeri ESPOSTA A MILANO LA SUA PREZIOSA COLLEZIONE DI STATUE La «bella addormentata» di Zeri MILANO — Tutti in fila ordinati, un passettino dietro l'altro, ieri sera i milanesi ricchi amici della Finarte si sono degustati in anteprima le sculturine e sculturone della collezione di Federico Zeri esposte per il Trentennale della Finarte sotto il titolo de «Il conoscitore d'arte» al museo Poldi Pezzoli. Puntuali anche, alle 18,30 spaccate come diceva l'invito, vestiti da pomerìggio o ancora da ufficio, poche pellicce, democraticamente a piedi; ma i milanesi amici della Finarte abitano il centro storico, tutto attorno cioè a quel museo gioiello, a quel vecchio museo privato ed eccezionale che è il Poldi Pezzoli: che fu un milanese agiato anche lui, collezionista illuminato e fortunatissimo del secolo scorso, morto per essersi chiuso per disgrazia nella camera blindata dei suoi pezzi più preziosi, tra smalti, gioielli, orologi, fondi oro, tempere quattrocentesche, miniature. Pochi per volta, dunque, a visitare «Il conoscitore d'arte», perché i pezzi sono incastrati in un curioso finto roccione perforato e incavato costruito dall'architetto Ettore Sottsass in un salone del pianterreno. Si entra e si esce dal blocco di falsa cartapesta come da una spugna; le sculture sono inserite in nicchie, ricoverate in finte grotticelle, fissate su spigoli-mensole, applicate in facsimili di riquadrature. Trentatré pezzi in tutto, estratti da quell'arcHquarium affollato, a volte perfino eccessivo, che è la villa romana e suburbana di Zeri. Tutta la stampa ha narrato, nei giorni scorsi, del furto sacrilego subito in cima al colle di Mentana dal grande critico d'arte: nel catalogo della mostra che la Electa ha stampato per Zeri, Finarte e Poldi Pezzoli tre degli oggetti destinati alla mostra e invece rubati sono tuttavia in elenco. Numero 4. «Salvator Mundi» di Pietro Torrigiani, fiorentino che ruppe con un pugno il naso di Michelangelo; numero 27, «Ritratto virile» di Johann Heinrich von Danneken, tedesco neoclassico; numero 35, «Nudo femminile» di Edgardo Simone, connazionale poco noto a cavallo del secolo. Zeri ha giurato vendetta per l'effrazione (anche se è stato svegliato almeno altre cinque volte), ha minacciato traslochi di armi e bagagli, collezioni, libri e fototeca immensa, verso un imprecisato Nord, «tra Modena e Piacenza»; non sarà la gran villa lasciata vicino a Parma dal defunto Luigi Magnani, musicologo e proprietario di straordinarii Tiepolo, Dùrer, Goya e Morandi? Chi lo sa. A un altro intervistatore Zeri ha pronosticato gran fatti per il 13 di questo mese. Insomma, gran chiasso attorno a Federico Zeri; è un periodo, codesto, che non si apre quotidiano, settimanale, supplemento, periodico femminile senza trovarvi fotocolor e interviste del Professore reso celebre anche ai non specialisti dagli spietati articoli polemici che pubblica su «La Stampa», dalla demolizione operata in rubriche serali della tv di capolavori dei grandi musei di Stato. Poi il primo volume dell'Opera Omnia, pubblicato dall' Allemandi; poi una intervista-autobiografia in un libriccino di Guanda... «Ma quel furto, professore, non sarà una vendetta degli Dei offesi, delle Afroditi del Museo Nazionale trattate come falsi di epoca liberty?». E Zeri sogghigna, inquadrato come un Giove un poco costretto nel doppiopetto bleu Savile Row, la mano sinistra contratta a nascondere un mezzo toscano spento, stagliato sul bianco della celeberrima e un poco porno -Fiducia in Dio» di Lorenzo Bartolini (italiano, neoclassico) che decora lo scalone del Poldi Pezzoli. «Cos'è questa mostra, professore?». Sono cose, dice e ripete Zeri, che ha cominciato a raccogliere casualmente dal '63 in poi: oggetti che gli piacevano, che lo incuriosivano, che nessuno apparentemente curava. «La scultura è la bella addormentata dell'arte, quasi nessuno l'acquista, quasi nessuno la raccoglie: questa cosa qui l'ho pagata venti dollari a New York anni fa, quest'altra cento, altri pezzi arrivano da un mio felice soggiorno a Montecarlo, altri addirittura da casa. Lei conosce il nome, l'indirizzo di un mercante specializzato in sculture? E sa a quando risale l'ultima grande mostra di sculture da collezioni private? Al 1911, a Londra. Chi si mette in casa uno statuone, allo stesso modo in cui si procura invece un arazzo o un grande dipinto? Più le sculture son grandi, più calano ancora di prezzo. L'Italia è colma di scultura: ignorata, dispersa, dimenticata: da un semplice giardino genovese, tempo fa, son venute fuori addirittura statue dei Pisano...». C'è insomma un invito — celebrando ancora una volta il grande occchio acuto di Federico Zeri — a collezionare sculture, per gli amici della Finarte? C'è. piuttosto, un grande tema negletto. «Quante sono, negli ultimi anni, le monografie che lei ha visto dedicate alla scultura?», chiede ancora Zeri. Ed ecco allora questo suo sag- gio-raccontino figurato, questa mostra intitolata al segno della curiosità, del «saper vedere», con le sue piccole e ampie delizie: i grandi ritratti sei-settecenteschi di papi e gentiluomini, firmati (si è scoperto poi) dal Cordier. dal Guidi, dal Della Valle, dal Volpato, dall'alfieriano Spinazzi. E «bozzetti» di Pinelli e ritrattini di Dupré, le statue di Piero Bernini, Marinali. Chinard. i lavori anonimi romani o padovani, i puttini, e veli, e lagrime e morbidi seni e bei capelli, i ragazzini «indiani», alla Fenimore Cooper, dell'americano Rogers accademico in Roma. Se la scultura, come dice, è «la bella addormentata», questo finto roccione ariostesco di Sottsass ospita un profumatissimo «sogno della scultura», una favola, una piccola musicale allegoria. E' stato scritto del -famelico e pantagruelico piacere di conoscere tutto il possibile per Federico Zeri, del suo gettare ogni volta i lauri del trionfo, -e rimettersi nella mischia^. E' cosi, lascia davvero a noi il seguito, il futuro delle j>ue curiosità e intuizioni, scoperte e cancellazioni? -Dopo Milano la mostra andrà a Bergamo», annuncia. -E lì resterà qualcosa; vorrei lasciare là qualche pezzo delle mie cose». Claudio Savonuzzi