Inquisiti i medici dell'aborto di Francesco Cevasco

Inquisiti i medici dell'aborto Mangiagalli, comunicazione giudiziaria a Dambrosio e Brambati Inquisiti i medici dell'aborto MILANO — In teoria, adesso rischiano anche la galera: Francesco Dambrosio, il direttore del servizio interruzioni della gravidanza all'ospedale Mangiagalli, il suo collega Bruno Brambati, e la donna che il 28 dicembre 1988 ha abortito al quinto mese. Sono i protagonisti del «caso» che ha portato all'ispezione nella clinica milanese voluta dal ministro della Sanità Carlo Donat-Cattin. I due ginecologi hanno ricevuto ieri una «comunicazione giudiziaria». La «ipotesi di reato» è: violazione della legge 194. La pena prevista: da uno a quattro anni di reclusione per i medici; fino a sei mesi per la paziente. Sono finiti sotto inchiesta (la donna per ora è stata sentita solo come testimone) dopo un esposto di Angelo Craveri, il presidente del consiglio d'amniinistrazione degli Istituti clinici di perfezionamento di cui fa parte anche la Mangiagalli. Nel dossier mandato allu Procura della Repubblica si indica un sospetto: che quell'in¬ terruzione della gravidanza fosse «fuorilegge». Nel certificato di autorizzazione e sulla cartella clinica Dambrosio e Brambati hanno scritto: 'aborto terapeutico». Sarebbe nata — è la loro tesi — una bambina con il rischio di gravi malformazioni (ritardo mentale e psicomotorio, sindromi psichiatriche, menopausa precoce); portare avanti la gravidanza avrebbe significato per la madre esporsi a «un grave pericolo per la sua salute psichica'. Quanto basta — secondo Dambrosio — per autorizzare ed eseguire (insieme con Brambati) l'intervento. Quanto basta, ad altri due ginecologi della Mangiagalli, Luigi Frigerio e Leandro Aletti, obiettori di coscienza, per denunciare: 'Una bambina muore perché ha un cromosoma in più. In gergo medico si chiama anomalia genetica fetale. In termini più popolari significa semplicemente die avrebbe corso il rischio di nascere sterile o di avere una meno- pausaprecoce, di non avere figli, insomma», H caso è rimbalzato in Parlamento (con un'interrogazione del leader di Comunione e liberazione Roberto Formigoni) ed è finito anche in un'altra inchiesta: quella ordinata dal ministro della Sanità dopo le denunce dei medici obiettori sugli «aborti facili» nella clinica milanese. In mezzo alle polemiche suscitate dall'intervento di Donat-Cattin, i magistrati (Daniela Borgonovo e Pietro Forno) hanno cominciato una discreta indagine per accertare se quello del 28 dicembre scorso è stato un «aborto terapeutico» o un aborto illegale mascherato da terapeutico. Se rientra o no in uno dei due casi previsti dall'articolo 6 della legge 194: 'L'interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi novanta giorni può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi pato¬ logici tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna». Nel suo studio, dove ieri ha continuato a fare visite per tutto il pomeriggio, Dambrosio ha reagito alla comunicazione giudiziaria con insolita — per lui — pacatezza: «/ magistrati non potevano fare altrimenti. L'ingiustizia non è nella busta verde con la lettera che mi hanno mandato. E'nell'atteggiamento di Donat-CatUn e Craveri: se il presidente della Mangiagalli voleva colpire noi medici non-obiettori poteva denunciarci (anche se sarebbe stato comunque ingiustificato). E invece ha preferito la strada dell'esposto generico che coinvolge, danneggia, preoccupa le donne. E DonatCattin manderà ai giudici milanesi le cartelle cliniche sequestrate in ospedale e così coinvolgerà, danneggerà, preoccuperà altre donne...». Francesco Cevasco