La mia musica è un medium di Enzo Gentile

La mia musica è un medium Andreas Vollenweider racconta le idee della musica New Age, il nuovo album La mia musica è un medium NEGLI Stati Uniti per illustrarne la figura e celebrarne il talento hanno addirittura coniato una definizione su misura: 'New Age Cult Hero* (Eroe di culto della musica new age), ingombrante e di una certa responsabilità. Lui, svizzero di 35 anni, alle lodi, ma soprattutto alle etichette, non ci crede: evita di scomporsi e bada a quei suoni celestiali, rasserenati, morbidi e profumati come una nuvola di borotalco, musiche e melodie che diffonde come una brezza planetaria dall'inizio degli anni Ottanta. Andreas Vollenweider dalla sua casa immersa nel verde alle porte di Zurigo invia di tanto in tanto, senza fretta, i suoi messaggi di pace e di quiete fuori dalla tempesta. Dal 1981 ha pubblicato sinora quattro album, Behind the gardens, Caverna magica, White winds e Down to the moon, grazie ai quali ha coltivato il rispetto di un pubblico sempre più ampio, che attraverso le strategie tiepide e carezzevoli delle sue melodie ha conosciuto l'uso di uno strumento altrimenti fuori dalle rotte pop-rock, l'arpa. Promossa e rilanciata nel folk da Alan Stivell e da alcuni gruppi irlandesi, e oggi riscoperta da altri interpreti estranei agli stereotipi classici (Georgia Kelly, Amy Shreve, Deborah Henson-Conant), l'arpa di Vollenweider ha assunto colori e timbri tutti particolari, ora solenni e sognanti, ora freschi e vaporosi, sempre azionata dall'artista con una nobiltà di intenti e una semplicità di comunicazione davvero esemplari. La riprova del connubio indissolubile tra Vollenweider, folletto mistico con il viso paffuto del cherubino, e la sua compagna di musica, è data dal nuovo disco, Dancing with the lion, giunto dopo tre anni dal precedente, in uscita per la Cbs la prossima settimana. L'o¬ recchio poco allenato alle trame in uso tra New'Age e dintorni forse non riuscirà a captare tutti i sottili, fittissimi giochi che Vollenweider ha voluto organizzare sotto, di fianco e oltre la sua arpa. Certamente dall'esordio di Behind the gardens e dalle tracce seminate ancor prima, con il gruppo Poetry and Music, o con l'autoproduzione di un disco indipendente, A kind of sulte, sono successe tante cose, e non solo nella maturazione del compositore. Per esempio sono arrivati cinque milioni di dischi venduti, una fama da profeta della musica acustica, soprattutto conseguita sul suolo americano, che non ne hanno travisato la vena di artigiano autodidatta. Dancing with the lion, quaranta minuti di musica che portano il marchio indelebile di Vollenweider, è nato nello studio casalingo dell'artista, che tra gli ospiti, convocati a decine, ha coinvolto anche un paio di rappresentanti del country-rock Usa, David Lindley e Mark O'Connor e una vocalist soul-rhythm and blues, Patti Austin. «Ho sempre inteso la mia musica come un viaggio senza fine — spiega convinto, assorto come se imbracciasse la sua arpa —. Non ha la pretesa di raccontare o dire tutto, di esaurire con i suoni l'immaginazione di chi ascolta. Anzi vorrei aiutare, accompagnare la fantasia della gente, fare in modo che un mio disco sia diverso per ognuno dei suoi consumatori. La mia musica è solo un medium, un tramite tra le mie sensazioni e quelle di chi ha scelto di seguire questo tipo di itinerario. Abbiamo 11 dovere di scoprire quello che sta dentro di noi e la musica che ho cercato di scrivere ed eseguire negli anni nasce da questo desiderio. La ragione, la nostra testa sovraintendono e controllano le nostre azioni, ma per fortuna non tutte. Non sono i centri nervosi che dicono al cuore di battere più forte quando subentra un'emozione: ecco, io vorrei avere, qualche volta, la funzione di esercitare queste piccole vibrazioni e di trasmettere agli altri tutto il mio piacere di musicista». La sua musica si preste¬ rebbe facilmente a un uso multimediale, nell'interazione con il cinema e il teatro, per esempio; ha mai pensato a progettare in comune con un regista? «Mi piace pensare di poter lasciare la massima libertà, di identificazione o di fuga, a chi si sintonizza sui miei dischi. La collaborazione con altre forme d'arte è però affascinante e sono grato a un coreografo come Alvin Ailey che negli anni scorsi ha voluto usare Caverna Magica per 1 danzato:! del Royal Danish Ballet. E' proprio dal mondo della danza che mi arrivano le proposte più interessanti: prossimamente spero di mandare in porto un lavoro con la compagnia newyorkese di Laura Dean e con quella dei mimi di Moni Yakim. Ecco, la mia musica collegata a quelle situazioni credo possa funzionare bene, come la Intendo io». Nei dischi di Andreas Vollenweider ci sono molti richiami, diverse citazioni, come appunti di bordo presi dall'alto di un tappeto volante. Quali sono le categorie musicali a lei più vicine? «Io ascolto poca musica, preferibilmente materiale classico. Mi piace stare in silenzio, leggere, riflettere, rilassarmi suonando e studiando. E quando sono in giro per il mondo, dovendo cambiare città un giorno dopo l'altro, mi interessa ascoltare il suono, la colonna sonora di quei posti, acquistare strumenti strani, di origine popolare, annusare, cercare, frugare in ogni angolo. Conoscere e capire sono le cose che più mi appassionano: sono certo che la natura può e deve essere ascoltata, bisogna tenere conto di quegli insegnamenti, senza tentare di soffocarli. Io respiro la musica che mi gira intorno, è il mio ossigeno: la speranza è di poterne restituii e al mio pubblico almeno una parte». Enzo Gentile

Luoghi citati: Stati Uniti, Zurigo