«Non consegneremo Paulo ai giapponesi di Fabio Galvano

«Non consegneremo l'auto ai giapponesi» «Non consegneremo l'auto ai giapponesi» BRUXELLES — L'Europa industriale rilancia in termini drammatici, ma con la coscienza di una forza ancora da sfruttare, la carta dell'unità e dell'efficienza che è la sola capace di arginare il 'pericolo giallo: «Si pone la questione della sopravvivenza economica dell'Europa», ha detto ieri Cesare Romiti nel corso di un colloquio organizzato dal Parlamento europeo. Ma l'amministratore delegato del gruppo Fiat, primattore in un'analisi cui il presidente della Philips Comelis van der Klugt ha contribuito con un intervento altrettanto provocatorio sulle tattiche giapponesi per conquistare il mondo dell'elettronica, non si è limitato a segnalare rischi e a denunciare debolezze. Senza risparmiare critiche a governi nazionali (in particolare con una tirata d'orecchie alla signora Thatcher che apre le porte alla Toyota) o alle autorità comunitarie («Le strut¬ ture giapponesi non reggerebbero neppure un minuto alle regole cui è sottoposta l'industria europea», «/ nostri sforzi sono inutili senza una politica comunitaria omogenea, chiara e precìsa»), Romiti ha offerto un lucido quadro d'azione. Ha parlato di auto, ma il suo discorso aveva valenze più ampie in un dibattito che dal suo tema centrale — «Un'Europa forte, un'industria competitiva» — si proponeva di raccogliere la sfida dell'Oriente a tutto il mondo imprenditoriale. La strada dell'Europa, ha detto Romiti, «è segnata e va seguita»; anche perché l'alternativa è cedere ai competitori esterni. L'auto è il cardine della sfida: dà lavoro a 1,7 milioni di addetti (1*8 per cento del totale dell'industria manifatturiera) che diventano 3,5 milioni con l'indotto; «fa sistema», cioè dà vita a reti di imprese sussidiarie integrate; catalizza le tecnologie più diversificate, quindi assume per l'Europa un ruolo strategico che traspare anche dalla quota (39 %) della produzione mondiale, contro il 24 di Usa e Giappone. I pericoli vengono dalla tenuta della domanda — oggi definita «effervescente» — e dal grado medio di produttività e di innovazione, inferiore a quello delle concorrenti giapponesi; dalle vulnerabilità, quindi, alla strategia di penetrazione già posta in atto dal Giappone attraverso esportazione diretta e assemblaggio locale. Ci si domanda se accadrà all'auto ciò che è accaduto all'elettronica, dove i giapponesi — ha rilevato Van der Klugt — hanno praticato •una politica del domino» facendo cadere ad uno ad uno i tasselli della resistenza americana. La risposta di Romiti è enfatica: «Non deve accadere: rifiuto di considerare inevitabile l'eventualità di consegnare il mercato europeo ai giapponesi o agli americani». La penetrazione esterna è ancora limitata, quindi è ancora possibile «predisporre una strategia di competizione vincente». Ma per evitare di «perdere il controllo» occorre «una guida europea di riferimento che coordini le varie fasi di un progetto di sviluppo industriale dell'auto»; occorre, cioè, un quadro progettuale d'insieme, quello che la Cee ha in serbo da due anni ma non riesce a finalizzare; occorre capirsi, essenzialmente, su alcuni punti: 1) La tutela della concorren-. za, che dev'essere «una condizione e non un obiettivo». ~: 2) L'alternativa fra protezionismo e liberismo. Apertura delle frontiere, questo si; ma tenendo conto dei tempi di transizione e contrattando modalità e condizioni di scambio per evitare quella che, secondo Van der Klugt, è attualmente la «fortezza Giappone». Quello europeo, dice Romiti, «è il mercato più importante e più attraente del mondo: è una forza che possiamo mettere in gioco per definire, e se necessario imporre, le condizioni del rapporto». 3) Gli investimenti esterni, come l'attuale «caso Toyota» in Inghilterra. L'impiego creato in loco «non produca distruzione di posti di lavoro qualificati in altre aree della Comunità»; né si ceda—come è accaduto in passato — a «miopi interessi di breve periodo». Occorre anche guardarsi dai pericoli di operazioni come quelle di Nissan e Toyota, che «non accrescono il patrimonio tecnologico dell'industria europea» ma che di fatto, anche se vi è una buona quota del cosiddetto contenuto locale, significano secondo Romiti «uno spostamento in Giappone del sistema, cioè del cervello», con la conseguenza che «fra qualche anno l'Europa non avrà più un'industria dell'auto». E in caso di fallimento? «Il rischio della colonizzazioone economica del nostro continente», risponde Romiti: •Dobbiamo misurarci da pari a pari, e noi riteniamo di poterlo fare. Ma i politici scelgano, e scelgano nell'interesse dell'Europa». Fabio Galvano

Persone citate: Cesare Romiti, Romiti, Thatcher