La tagliola jugoslava di Sergio Romano
La tagliola jugoslava Dietro il Kosovo, una crisi più ampia La tagliola jugoslava Nella vicenda del Kosovo vi sono molte crisi aggrovigliate l'una nell'altra. E quanto più l'osservatore cerca di scioglierne il nodo, tanto più scopre, al di sotto degli avvenimenti di questi ultimi giorni, tutti i problemi insoluti dello Stato jugoslavo. Per la seconda volta, nei 70 anni della sua storia, la sorte della Jugoslavia è in pericolo. Fra i due momenti corrono, come vedremo, molte analogie e alcune differenze. Ma occorre sciogliere anzitutto il nodo delle crisi. La prima è una classica crisi di frontiera, nella migliore tradizione balcanica. La maggioranza della popolazione appartiene a uno Stato confinante, l'Albania, e la minoranza alla regione egemone, la Serbia. Ma i contrasti etnici in zone di frontiera non sono costanti invariabili, destinate a verificarsi puntualmente e con una stessa intensità ogni qualvolta popoli di lingua e religione diverse debbono convivere in uno stesso territorio. Le rivendicazioni albanesi nel Kosovo non si sarebbero manifestate con tanta violenza se gli albanesi non avessero trovato di fronte a sé il nazionalismo serbo. E lo scontro non sarebbe stato così duro se il nazionalismo serbo, a sua volta, non fosse divenuto in questi ultimi anni sempre più arrogante e la Serbia non avesse cercato di riprendersi le autonomie che erano state concesse al Kosovo nell'ambito della Costituzione federale. Lasciamo così il contesto regionale e frontaliere per passare a un contesto più ampio. Il nazionalismo serbo, con cui i manifestanti albanesi del Kosovo si sono così duramente scontrati, non è soltanto un «ritorno alle origini», nello spirito di altri movimenti nazional-culturali europei di questi ultimi anni. E' soprattutto il sintomo di una crisi maggiore che investe l'intera Jugoslavia. Non vi sarebbe una crisi del Kosovo se non fosse in crisi il federalismo jugoslavo. Noi conosciamo due Stati jugoslavi. Il primo, costituitosi dopo la caduta dell'impero austro-ungarico, rispecchia e sancisce l'egemonia della Serbia. Belgrado annette al nuovo Stato i territori «jugoslavi» che dipendevano da Vienna o da Budapest e assorbe un vecchio Principato indipendente, il Montenegro. Ma nel periodo fra le due guerre questa «grande Serbia» vive precariamente fra l'ostilità delle potenze confinanti — in particolare l'Italia — e l'insofferenza delle regioni dominate, fra cui principalmente la Croazia. Quando scoppia la seconda guerra mondiale e i nemici dello Stato serbo congiungono le loro forze, la sua Sergio Romano (Continua a pagina 2 in seconda colonna)
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