Ritrovato il planetario di Matteo Ricci, il gesuita mandarino di Domenico Quirico

Ritrovato il planetario di Matteo Ricci, il gesuita mandarino In un magazzino del museo di Shenyang la mappa del mondo redatta nel 1604 dal missionario che rivelò la Cina all'Occidente Ritrovato il planetario di Matteo Ricci, il gesuita mandarino Il polveroso magazzino di un museo di Shenyang, dove giaceva dimenticata dai tempi burrascosi della Rivoluzione, l'ha salvata quasi intatta dal furore iconoclasta delle Guardie rosse restituendoci una nuova testimonianza di una delle più straordinarie avventure della storia della cultura: è una grande carta geografica del mondo conosciuto e della volta celeste che Matteo Ricci (gesuita e missionario ma anche matematico, filosofo, geografo, tecnico, sinologo ante litteram, inventore di una efficace mnemotecnica) aveva disegnato per stupire il suo sospettoso anfitrione, l'imperatore Wan Li. Quando la carta fu redatta, nel 1604, era passato poco più di un secolo da quando Colombo aveva piantato la bandiera dei Re Cattolici in una isoletta dei Caraibi: eppure, ha spiegato il diret¬ tore del museo, la carta è di straordinaria accuratezza, arredata con annotazioni in ideogrammi che forniscono precise informazioni sui nuovi Paesi. Ma presenta un significativo «errore». La Cina infatti è disegnata al centro del mondo. In questo «paradosso geografico» c'è tutta l'avventura culturale di Matteo Ricci: è un astuto omaggio politico al despota di quell'impero sterminato che portava nel nome stesso, Giunguo (il paese del centro) il proprio orgoglio di perno del mondo; ma è anche il segno del rispetto verso una cultura «diversa», rivoluzionario in un secolo dove dominavano le certezze dell'intransigenza cattolica e il nuovo orgoglio del nascente imperialismo europeo. Quando disegnò la sua carta destinata ad adornare un salone della Città Proibita dei Ming, il gesuita dì Macerata aveva già quasi portato a termine il suo lungo viaggio nell'anima cinese: dopo una pericolosa, difficile anticamera durata sedici anni a Zhaoquing e a Nanchino, era giunto nel 1601 nella capitale del Nord. Per entrare nella Città Proibita ed essere ammesso alla vista del Figlio del Cielo non aveva indossato la tonaca ma la semplice e raffinata uniforme del letterato confuciano. Era solo una delle tante trasformazioni del gesuita, che pur di conquistarsi la fiducia dei funzionari della Corte imperiale non aveva esitato in precedenza anche a tosarsi il capo e a indossare la tonaca dei bonzi. In una società dove non c'era posto fuori dalle categorie fissate dalla sociologia confuciana, chi era straniero e non rientrava nel «mondo ben ordinato» doveva mescolarsi agli irregolari per eccellenza, i monaci buddisti. Ricci applicava disciplinatamente la regola di Sant'Ignazio, confondersi con la realtà locale, indagarla a fondo per poi tentare di trasformarla con pazienza dall'interno, con la forza dell'esempio e della cultura. E così imparò gli ideogrammi e scrisse per un principe un trattato Sull'amicizia, dalle risonanze classiche ma che celebrava con accenti commossi il suo primo amico cinese, il letterato Chang Touchin. Il metodo dei gesuiti è pericolso quando la realtà che bisogna conquistare è costituita da una civiltà millenaria e «la talpa» è un uomo che ha le mille curiosità e l'apertura di un moderno antropologo. Matteo Rìcci diventato Li Matu, il suo nome di mandarino, finì così per essere conquistato da quella civiltà che doveva trasformare in cristiana, e che deluderà tutti i suoi sogni di missionario. I gesuiti infatti sperimentarono per primi la capacità della Cina di deludere tutte le speranze occidentali di trasformarla e di comprenderla. Il Paese dove secondo i missionari i letterati avevano il potere e la gente, mite e obbediente, era «naturalmente» cristiana, restò confuciano. Quando giunse a Pechino Ricci portò con sé un regalo che segnò il suo destino alla Corte imperiale, un orologio che scandiva le ore, simbolo della tecnologia europea che doveva stupire i cinesi. In un Paese dove era l'imperatore a stabilire ogni anno il calendario, il regalo rischiò di trasformarsi in un incidente diplomatico. Ma quando il tic tac de- l'orologio si fermò l'imperatore mandò a chiamare i suoi matematici che per tre giorni studiarono il congegno, compresero che era superiore ai loro pur sofisticatissimi apparecchi ad acqua e accettarono il dono. Matteo Ricci era entrato di diritto nella Città Proibita. Un riconoscimento che ripagò con una serie di doni preziosi: uno metodo mnemonico con cui stupiva anche i più smaliziati letterati confuciani e insegnava ai loro figli a superare senza danni la trappola dei terribili esami da funzionario; strumenti astronomici per la millenaria passione astronomica cinese; e infine le carte geografiche dove, con qualche ritocco politico, tentava di mostrare al sovrano Ming le terre dei barbari che vivevano lontano dallo splendore del regno dell'armonia confuciana. A Pechino la tomba di Matteo Ricci, sfiorata dal furore delle Guardie rosse, è stata restaurata frettolosamente alla fine degli Anni Settanta. I sovrani belgi in visita ufficiale chiesero, mettendo in imbarazzo i loro ospiti, di rendere omaggio al gesuita belga Ferdinad Verbiest che di Ricci fu il successore ed è sepolto a pochi metri dala sua tomba. Nella Pechino demaoizzata da Deng il monumento del gesuita è una meta turistica tra le tante e se qualcuno, maliziosamente, chiede il perché di questo rinnovato omaggio a un sacerdote occidentale, la guida risponde senza imbarazzo: "Questi uomini sono stati precursori delle politica dell'apertura-. Con quattrocento anni di ritardo, Deng ha reso giustizia a Li Matu. Domenico Quirico

Persone citate: Chang Touchin, Matteo Ricci, Matteo Rìcci, Ricci, Verbiest

Luoghi citati: Cina, Città Proibita, Nanchino, Pechino