Arte a nascondino

Arte a nascondino IL CATALOGO PROMESSO E MAI FATTO Arte a nascondino Non vorrei essere scambiato per un agente pubblicitario delle Edizioni Eletta, per le quali, come è noto, io ho spesso lavorato; mi interessa qui rilevare come due opere attualmente in via di pubblicazione per la Casa milanese (e cioè La Pittura in Italia e i due volumi della Natura Morta in Italia) presentino un impianto storico più ricco e più articolato di quanto non sia stato proposto in trattazioni precedenti. Divise secondo uno schema regionale, che è quello consueto, esse includono però anche le presenze aliene, tengono cioè conto di quegli artisti che, originari di altri centri, furono presenti sul luogo in prima persona o grazie all'invio delle loro opere. Per fare alcuni esempi: è impossibile comprendere le radici culturali di alcuni grandi fiorentini del tardo Quattrocento (come Leonardo, Piero di Cosimo, Filippino Lippi) senza tener conto dell'arrivo nella città medicea del grande trittico di Hugo van der Goes, denominato Trittico Portinari. Questo è il caso più macroscopico; ma altrettanto significativa è la presenza a Venezia, sui primi del Gnquecento, di Albrecht Dùrer, che ebbe tra i pittori veneti un seguito molto definito, anche se non dell'estensione di quello sortito da Leonardo dopo il suo arrivo a Milano. Tuttavia, l'intero territorio della Penisola è segnato da un'analoga rete di scambi e di presenze, i cui attori furono in un primo tempo gli artisti medesimi, in un secondo tempo le opere raccolte dai collezionisti, cioè dallV//'/e posta al sommo dei singoli Stati e staterelli dell'Italia preunitaria. Se il ministero dei Beni Culturali fosse in mani di colta responsabilità, avrebbe cura di rispettare e anche restaurare la fisionomia storico-artistica delle diverse aree culturali della Penisola; nel tristissimo, degradante momento in cui versa quel dicastero, non sorprende che si continui ad alterare, con sciocca insipienza, la faccia dell'Italia artistica, acquistando e distribuendo opere d'arte, anche delle più significative, alla rinfusa; e ciò mentre viene conclamata l'esigenza di rispettare la fisionomia del lenito^ rin, l'itUntità. ecc. ecc. La rete museologia italiana viene cioè gestita come fosse una recente superfetazione applicata a un territorio di cultura aliena, alla stregua dell'Arizona o dell'Algeria; ma su questo punto sono intervenuto più volte, né vorrei ripetermi. C'è invece da insistere sulla basilare importanza che le produzioni figurative hanno avuto sempre nella cultura italiana. Oggi si vuole sopprimere l'insegnamento della Storia dell'Arte nelle scuole, senza tener conto che nel lunghissimo periodo di frammentazione politica e di parziale assoggettamento a potenze straniere l'Italia ha costantemente goduto di una trama unitaria, ordita dalla letteratura e dalle arti figurative. II passaggio dall'uno all'altro Stato della Penisola di architetti, scultori, pittori, orefici o majolicari è stato ininterrot to: gli esempi di questa rete sono innumerevoli, e interessano non già minuti rappresentanti di quei mestieri, ma colossi della statura di Giotto, Masac ciò, Bramante, Michelangelo, il Caravaggio. Per le arti figurative gli italiani hanno sempre osservato una sorta di norma comunitaria soprannazionale, che lasciava gli artisti liberi di spostarsi a loro talento, quando la loto presenza veniva rischiesta da un committente, non importa fosse un papa, un viceré spagnolo, un duca o un granduca, oppure un semplice cittadino di una Repubblica marinara. Chi conduce oggi il mestiere di storico dell'arte, di filologo o di semplice ricercatore sa bene che spesso avviene di incontrare presenze inattese di artisti in luoghi dove non li si aspetta, anche perché (almeno sino alla fine deWAncien Regime nostrano) la distribuzione delle opere d'arte (e persino delle più importanti) avveniva con una diffusione capillare, che dalle capitali si diramava sino ai più piccoli centri: le occasioni per committenze.di rilievo sono state infinite. Riflettevo sull'inesauribile capacità del territorio italiano di rivelare tesori nascosti (lontano dai centri noti o anche in località famose e che si crede siano esplorate a fondo) qualche tempo fa, quando il signor Carlo Lotti, un cittadino di Ronciglione in provincia di Viterbo, attirò la mia attenzione su un grande dipinto su tela, che si conserva nella Chiesa di Santa Teresa a Caprarola, luogo assai celebre per la Villa Farnese, uno dei sommi monumenti del secolo XVI italiano. Non che il dipinto in questione sia ignoto: lo si vede citato anche nelle preziose guide del Tei quale opera «attribuita a Guido Reni». In realtà, come ha giustamente visto il signor Lotti, si tratta di un capolavoro assoluto di Guido, e in prima, anzi primissima persona. Situato sull'altar maggiore, esso raffigura la Vergine col Bambino, situata sulle nubi tra angeli, mentre in basso si rivolgono ad essa, in piedi e a figura intera. San Giuseppe e Santa Teresa di Avila, il primo riconoscibile dal bastone fiorito, la seconda dall'abito e per essere a lei dedicata la Chiesa. Sembra anche che esistano documenti di archivio, per cui il bellissimo dipinto (giunto sino a noi in condizioni di eccezionale intattezza) venne commissionato nel 1621 dal cardinale Odoardo Farnese, in vista della canonizzazione della santa spagnola, che avvenne nel marzo 1622. A prima vista parrebbe incredibile che un caposaldo del genere, il cui autore vero era noto per via tradizionale, sia rimasto quasi sconosciuto alla letteratura, pur abbondante, sul Reni. Eppure è così: nella recente monografia di S. Pepper sull'artista (edizione inglese Phaidhn, Oxford, 1984, pag. 295; edizione italiana De Agostini, Novara, 1988, pag. 345) la tela è relegata tta le opere riferite a Guido Reni note attraverso lavori di scuola. Ma il Pepper mostra di non aver nemmeno visto, non dico l'originale, ma neppure una fotografia: egli cita il soggetto come La Vergine col Bambino coi Santi Carmelitani Teresa, Maria e Silvestro. A ogni buon conto, i conoscitori del Reni ' non avranno alcun dubbio sulla straordinaria portata di una pala, commissionata da un personaggio della portata di Odoardo Farnese per un edifì¬ cio sacro di una località a lui molto a cuore, edificio che egli stesso dotò di due altri dipinti molto importanti, del Lanfranco e dell'Orbetto. Il caso del Guido Reni di Caprarola riapre la questione dolentissima del catalogo delle opere d'arte in Italia. E' questo un progetto che somiglia alla tela di Penelope, e che, si direbbe, torna alla ribalta con la regolarità degli anni bisestili, delle comete e delle basse maree. Discusso, esaltato, sbandierato in convegni, simposi, tavole rotonde, il Catalogo torna, dopo un po' di tempo, a ricadere nel sonno, per essere poi riportato alla ribalta da nuovi convegni, simposi, tavole rotonde, e quindi a ritornare nel reame di Morfeo, o in quello dèlia Fata Morgana. In realtà; una catalogazione seria del patrimonio artistico disperso in Italia si è arrestata alla fine degli Anni 30, quando si volle interrompere la serie (preziosissima e importantissima) degli Inventari e dei Qitalogbi sollecitati da Luigi Serra e stampati dall'Istituto Poligrafico dello Stato. Da allora non si è trovato un ministro che si prenda a cuore la faccenda, che raddrizzi la spina dorsale dell'amministrazione, che elimini i parolai, i cantori di favole, insomma i funzionari dedicati a mille cose (tra cui l'insegnamento universitario) mentre ladri e ladroni dapaupcrano il nostro patrimonio in lungo e in largo. Federico Zeri aprarola (Viterbo). Guido Reni: «Madonna con Bambino»