« Kabul non cadrà tutti aspettano il re » di Tito Sansa

«Kabul non cadrà, tutti aspettano il re» A colloquio con Afrasia Khattak, esule pachistano, ex consigliere del presidente Najib «Kabul non cadrà, tutti aspettano il re» «I mujaheddin sono deboli e divisi, credo che prevarranno i moderati» - «Zahir dovrebbe uscire dal suo esilio romano e prendere qualche iniziativa» - «La gente teme i partigiani perché non vuol ripiombare nel Medioevo» DAL NOSTRO INVIATO PESHAWAR — "Kabul non cadrà nelle mani dei mujaheddin». Lo dice senza dubitare un solo istante uno che sa, Afrasia Khattak, un giovane avvocato pachistano tornato un mese fa, il 26 gennaio, dalla capitale afghana dove era vissuto per più di otto anni come profugo politico dalla dittatura di Zia Ul Haq. Afrasia si dichiara "buon amico» del presidente afghano Najib, ma, stando ai si dice, era -nel suo orecchio sinistro», cioè suo consigliere politico. E' tornato in Pakistan perché ora, dopo la vittoria elettorale di Benazir Bhutto, qui nella sua patria •si respira nuovamente aria di libertà». Adesso lui, politicamente impegnato nell'opposizione di sinistra del partito Amami, non teme più di finire nelle patrie galere, dove ha trascorso due anni e mezzo. L'unica cosa che teme sono gli attentati, e per questo gira con una scorta armata di Kalashnikov. "Kabul 7ion cadrà per diversi motivi — continua l'avvocato —. Primo, perché i partigiani sono militarmente deboli e disuniti, si scannano in lotte fratricide. Se¬ condo, perché il regime di Najib è solido, le notizie di defezioni dei suoi soldati sono quasi sempre invenzioni della propaganda, fanno parte della guerra psicologica organizzata dalla Cia e dal Pentagono per demoralizzare la popolazione. L'altro giorno, per esempio, la radio "Voce dall'America" ha annunciato la diserzione di 10 mila soldati afghani. Una balla colossale. Negli otto anni che sono stato a Kabul ho sommato giorno per giorno il numero dei soldati che, secondo le fonti occidentali, erano passati nelle file dei mujaheddin. Ebbene, la somma totale supera il milione di unità, otto volte il numero degli effettivi delle forze armate». Domando ad Afrasia se parla così perché è amico intimo del presidente comunista Najib. Risponde: "No, parlo cosi perché conosco la situaziorie afghana». E smentisce subito che Najib sia un comunista. Lo definisce un "nazionaldemoc.ratico» che si oppone alla islamizzazione del suo Paese così come la intendono i partiti politici dei mujaheddin. "Non credo che i kabulisti si arrenderanno — aggiunge —. Non credo neppure in una soluzione militare del problema afghano. A lungo andare anche l'Occidente, che ha simpatizzato per i partigiani afghani e continua a sostenere la loro lotta anche ora che l'invasore sovietico si è ritirato, se ne convincerà, si renderà conto che per riportare la pace bisognerà rinunciare all'uso delle armi e cercare una soluzione politica. Se i mujaheddin tenteranno un Blitzkrieg, mia guerra-lampo, saranno sconfitti. E allora le fazioni estremistiche che si oppongono a qualsiasi negoziato verranno eliminate. Credo proprio che all'interno dei mujaheddin prevarranno i moderati che sono disposti al dialogo, anche se ancora non osano dirlo apertamente». -In Afghanistan — spiega l'ex consigliere di Najib — l'unica cosa alla quale gli abitanti tengono veramente è la pace, non gliene importa nulla del partito che comanderà, gli interessa poco o nulla l'Islam imposto ice l'hanno nell'anima per tradizione). E quattro sono le forze di cui bisogna tenere conto: 1) il partito che è forte, organizzato e pieno di esperienza; 2) il re Zahir Shah, nel quale il popolo identifica la pace; 3) la tradizione tribale, gerarchica, soprattutto nelle campagne; 4) i comandanti della resistenza, in particolare quelli dissidenti dai partiti installati a Peshawar»'. Secondo Afrasia "senzaqueste quattro forze non ci può essere soluzione del problema afghano», il mondo deve saperlo. Benché di sinistra e repubblicano, il giovane avvocato sostiene che il re "dovrebbe prendere qualche iniziativa, anziché stare nel suo esilio romano ad aspettare che lo chiamino. Se ci saranno elezioni ci sarà una frana di voti per lui, un plebiscito». In quanto ai comandanti militari, quelli di cui bisognerà tener conto sono le diecine di capi guerriglieri locali senza nome indipendenti e individualisti, V'autentica forza nelle aree liberate». I mujaheddin invece, che ora hanno formato un governo in esilio in Pakistan, in Afghanistan -non contano un bel nulla, salvo eccezioni». Aggiunge: •Essi sono di estrema destra, la gente li teme perché vogliono riportare il Paese nel Medioevo, perché sono contro le donne e perché sono contro la libertà». Gli afghani hanno paura soprattutto delle loro efferatezze, già sperimentate quando i mujaheddin occuparono le province del Kunduz e del Kunar: sgozzarono gli uomini, violentarono le donne e i ragazzi, si diedero a rapine e a saccheggi, vi furono suicidi in massa di donne disonorate e una parte della popolazione rimpianse gli invasori soviet! ci chiedendo il loro interven to per liberarli dai liberatori. La popolazione afghana in somma, ora che l'Armata Rossa sovietica è ripartita, desidera soltanto che torni la pace e pertanto — secondo l'avvocato — si schiera dalla parte di chi cerca il negoziato (Najib) e contro chi invece vuole la lotta a oltranza, la guerra civile (i partiti della resistenza riuniti a Peshawar). Il rischio di una insurrezione all'interno di Kabul è •praticamente inesistente, almeno a breve scadenza Poi, chissà, se la città doves se rimanere assediata e venire bombardata, quel che può accadere lo sa soltanto Iddio». Tito Sansa