Colajanni, addio al pci di Gigi Padovani

Colajanni, addio al pci Dopò 42 anni di militanza non ha rinnovato la tessera Colajanni, addio al pci In un libro le sue accuse ad Occhetto - «Non c'è più spazio per il dibattito» «Dovrei ancora iscrivermi per nostalgia?» - «Non andrò nel psi» - La sua battaglia da «destra» con la «lettera dei sette» fino alle dimissioni dal comitato centrale ROMA — Agli amici aveva annunciato da tempo la voglia di chiudere con il pei, dopo tante battaglie, ma non ne aveva mai parlato in pubblico. Ieri la notizia è stata diffusa dalle agenzie di stampa e lui non ha voluto smentirla, n «migliorista» Napoleone Colaj anni, 63 anni da compiere a maggio, nell'89 non rinnoverà la tessera al pei. Chiuderà cosi, dopo 42 anni, la sua lunga militanza comunista, incominciata in Sicilia nel partito di Li Causi, e proseguita con ruoli sempre di primo piano: considerato il braccio destro di Napolitano, responsabile della commissione economica del pei, vicecapogruppo al Senato, Colajanni è stato una voce «scomoda» nel dibattito interno, un rappresentante di quella destra che dall'85 in avanti ha perso tutte le sue battaglie. A chi in questi giorni gli chiedeva notizie sui suoi progetti o un giudizio sul neosegretario, ha ripetuto di aver già scritto tutto nel suo libro, La resistibile ascesa di Achille Occhetto, che uscirà il 10 marzo. Quel pamphlet che gli ha pubblicato l'amico Franco Camarlinghi, già assessore alla cultura del Comune di Firenze, per la nuova casa editrice «n Ponte alle Grazie» è un atto d'accusa a tutto il gruppo dirigente comunista del dopo-Berlinguer: Colajanni non vi ha inserito alcun elemento autobiografico, ma il segretario Occhetto — così come Massimo D'Alema (definito un «apologeta della gerarchia») e Giorgio Napolitano (accusato di aver rinunciato a combattere) — escono malissimo dalle 120 pagine del libro. Dice Franco Camarlinghi, fondatore di quel «Club Calamandrei» nato per aprire un dialogo a sinistra e ora tra gli animatori della casa editrice: «Napoleone è uno dei pochi oppositori rimasti, per questo pubblichiamo il suo saggio: io d'altra parte condivido le sue posizioni, anche se sono rimasto iscritto al pei, ma sema cariche». La battaglia, da politica, è diventata culturale. E' proprio questa constatazione che pare abbia convinto Colajanni a non più iscriversi. «Non capisco perché lo dovrei fare, per nostalgia del passato ?», ha con¬ fidato agli amici. E ha spiegato che la sua scelta è una logica conseguenza delle battaglie nel pei, tutte sistematicamente perse: quando non ci sono più spazi per il dibattito, se ne deve prendere atto con coerenza. Subito si è parlato di un ingresso nel psi, ma l'ex senatore ha smentito. Del resto la decisione di non prendere più la tessera gli è costata meno dello «strappo» con il gruppo dirigente comunista, quando partì a testa bassa con una serie di articoli, dichiarazioni e interventi nel comitato centrale. L'avvio fu una clamorosa intervista sui «peccati del pei» dopo la batosta elettorale alle amministrative dell'85, seguita poi dalla famosa «lettera dei sette» in vista del congresso di Firenze: firmata da Colajanni, Car- lo Castellano, Carlo Galluzzi, Lanfranco Turci, Guido Fanti, Rosario Villari e Edoardo Perna, fu considerata la magna charta della destra. Ma le accuse di quel gruppo sulla preparazione del congresso non riuscirono a far riconvocare un altro comitato centrale. Infatti a Firenze Alessandro Natta fu riconfermato segretario senza dissensi e si posero le basi per l'ascesa del «delfino» Occhetto. Il punto più alto dello scontro interno fu nel giugno dell'87, dopo la nuova sconfitta elettorale (e Colajanni decide di non presentarsi nel suo «sicuro» seggio senatoriale del Piemonte). Al comitato centrale che doveva eleggere il vicesegretario, vi furono 63 astensioni e voti contrari: tutta la destra, compatta, da Lama a Napolitano a Chiaromonte a Macaluso. Ma fu un'illusione, ri gruppo si sfaldò e i seguaci di Napolitano decisero di sostenere Occhetto. Così Colajanni si ritrovò solo, con Perna e Fanti, a votare il suo no al neosegretario: decise di dimettersi dal comitato centrale. Battagliero come sempre, dichiarò: «Per me non esistono più le condizioni per una partecipazione attiva agli organi dirigenti del partito». E' l'ultimo atto, poi otto mesi di silenzio. Sono stati rotti soltanto dai clamori sul suo libro: l'unico documento precongressuale — insieme con quello dei cossuttiani — di critica ai vertici di Botteghe Oscure. Gigi Padovani

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