Abito da viaggio con stiletto

Abito da viaggio con stiletto DONNE LETTERATE E IL «GRAND TOUR » NELL'ITALIA DELL'OTTOCENTO Abito da viaggio con stiletto Quest'inverno, cosi singolare e perciò gravido di minacce per l'agricoltura e la salute, non ha mancato di suscitare, specie nell'utenza femminile, altri interrogativi angosciosi: com equipaggiarsi per una settimana sulle Alpi dove fioriscono le margherite e, per contro, che cosa indossare in Sicilia dove, quest'anno, è possibile scegliere tra una discesa sciistica sull'Etna e un bagno a Taormina? In realtà, contrariamente all'opinione comune, prepararsi per un viaggio in Italia non è stato facile mai, neppure quando il clima aveva un andamento normale, e per gli stranieri, se non per gli italiani, l'Italia rappresentava, nell'Ottocento, una sorta di universo meteorologico, con un'alternanza abbastanza diabolica di luoghi freddi e luoghi caldi. In Italia, così si pensava allora c'era di tutto: ambienti coltivati e plaghe selvagge, dandies e banditi. L'Italia era, al tempo stesso, il paradiso dell'eterna primavera e locus horridus, infestato di pericoli, malattie e aggressioni Tanto bastava per renderla, naturalmente, molto desiderabile ma anche difficilissima per la scelta e la calibratura dell'equipaggiamento da viaggio. Scartati, pertanto, i capi di vestiario dal «toso incomodo e ridicolo', le frivolités che ermo occasioni di «contact indiscriminati con individui di ogni ceto e varietà', 'corruttibili nell'atmosfera fumosa e polverosa dell'abitacolo del mezzo di trasporto' alla viaggiatrice rimaneva poco da scegliere: in pratica, un guardaroba fatto di un «cambio». cioè di un abito e di un waterproof, ambedue provvisti di elementi nascosti, destinati alle cosiddette 'Cautele invisibili', cioè tutto un sistema di tasche e di anfratti che contenesse, tra le pieghe, una utensileria miniaturizzata da toilette, da cucito e da tavola. e magari anche uno stiletto. Quanto bastava, insomma, non solo per la perfetta termoregolazione dell'organismo ma anche per la difesa della' salute fisica e morale della viaggiatrice. Curioso, poi, come questo guardaroba turistico che do¬ veva riassumere in sé gli abiti «per sosta o gita al lago-, per -transito marino o collinare» nonché per -la visita a bagni e acque- mostrasse sempre un versante masrhile e un altro femminile: schiene di impronta maschile e, sul davanti, tutta una pluralità di Banchetti che lo rendevano invece farsetto. Basterebbe, credo, questa androginia vestimentaria a dircela lunga sulla funzione del viaggio ottocentesco, fatto di trasgressione, ricerca dì un'identità, desiderio di libertà. E come sia ambigua, questa funzione, ancora suscettibile di essere scavata e approfondita, lo sentiamo attraverso le painne di un delizioso libro: Viaggio e scrittura, Le straniere nell'Italia dell'Ottocento (a cura di Liana Borghi, Nicoletta Livi Bacci, Uta Treder). pubblicato in contemporanea dalle edizioni della Libreria delle Donne di Firenze e nella collana Biblioteca del Viagpio in Italia, serie Studi, n. 27. edita dal Cini, Moncalieri-Torino. Si trovano qui riuniti, in veste e presentazione impeccabile, i risultati di un convegno dallo stesso titolo e formulano tutti la stessa domanda: qual è il segno femminile del viaggio e. in particolare, del viaggio in Italia, spesso vista come metafora stessa del viaggio? Benché i saggi e gli argomenti non siano organizzati per nazionalità e si occupino anche di viaggi letterari come quello di Virginia Woolf in Flush o avventure della mente quale il soggiorno in Persia di Vita Sackville-West. l'accento cade inevitabilmente sul modo in cui l'Italia ha in¬ fluenzato i diari, i resoconti, i ricordi, insomma sulla scrittura. E si fanno o rifanno, allora, scoperte notevoli: per le americane e le inglesi, per esempio per una Margaret Fuller o una Jessie White Mario, moglie del garibaldino Alberto Mario, il viaggio è certamente l'iniziazione all'amore come conoscenza di sé e dell'altro, ma può anche essere ricostruzione (nel caso di Susan Horner) di quel noioso salotto vittoriano da cui avevano cercato di fuggire. A volte, poi, in casi specialmente fortunati, quando esiste la possibilità di un attacco di fuorilegge nella campagna desolata vicino a Radicofani, è addirittura l'incontro con il romanzo gotico e il brivido del pittoresco. La novità viene, però, da un gruppo di viaggiatrici fino a oggi meno studiate, e cioè le austriache e tedesche dell'Ottocento, le Fanny Lewald, Fanny Mendelssohn, Ida Hahn-Hahn e altre. Perché molto soggette all'influenza degli uomini, e motivate soprattutto dal Viaggio in Italia di Goethe o da ferrei consigli fraterni, più arduo è per loro inserirsi in un'esperienza diversa e, tuttavia, quando finalmente riescono a superare la scissione tra spirito e sensi, davvero estatico risulta l'-abbandono alla natura e alla sensualità italiana'. Ma le difficoltà cominciano al ritorno e struggente risuona allora il cri du coeur di Ottilie von Goethe: «Cosa ne sarà di noi in Germania? La gente ci troverà indecenti e noi non sapremo più adattarci all'indecente decenza degli altri". Angela Bianchini Toletta da viaggio. Da «Il Monitore della Moda», Milano 1887