Il vostro cuoco ha cotto i rubababà

Il vostro cuoco ha cotto i rubababà Cerchiamo parole «finzionali» Il vostro cuoco ha cotto i rubababà LE parole finzionali, le parole funzionali. Scorro le lettere più recenti, gli articoli di questa rubrica, i giochi in corso. Che si tratti di palindromi, di cataloghi di parole a sillabe ripetute (parole che abbiamo battezzato: «tatatà»), o di parole a suffisso -teca, non c'è settimana in cui il germe dell'invenzione verbale non dia notizie di sè, su questa pagina, e a tormentone. Ricevo tante lettere da far fatica a starci dietro. Anche cartoline postali: come quella di Carlo Alberto Nencini (Cairo Montenotte. SV) che mi suggerisce acetonoteca. Con ciò, e in un sol colpo: a) partecipa al gioco dei palindromi; b) partecipa al gioco della ricerca di parole in -teca; c) strizza l'occhio a Marzio Basaglia (Torino), autore di acetoteca; d) cita, di sfuggita e di straforo, uno storico «bifronte-: enoteca = acetone (il bifronte è una lettera inversa, come il palindromo, ma ottiene una parola diversa da quella di partenza). Le parole come acetoteca, come acetonoteca. sono parole «finzionali»: fictions lessicali. Sui banchi del mercato linguistico ne esistono gli ingredienti, ed è opera del cuciniere tagliare, frollire, scongelare, riscaldare, bollire, scolare, servire. Il Gadda parlava di un suo «pentolone» dove ribollivano come i sedani, le carote, i pezzi di carne di un lesso, le «parvenze inattese, creature e forme tuttavia venutegli dal mondo»: gli ingredienti del romanzo. Era La cognizione del dolore, quel romanzo-lesso. Non sarà troppo modesto (forse il contrario), descrivere le nostre acetoteche in termini di soufflé. Parole finzionali, e funzionali a un gioco. Nelle scorse settimane mi è capitato di nominare alcune di queste parole come «storiche». Dicevo: se le parole a tre sillabe ripetute consecutivamente si chiamano tatatà, allora capopopolo è un tatatà «storico», visto che esiste sullo Zingarelli. Mi sono accorto poi che questo uso di «storico» (nel senso di «documentato», «documentabile») mi viene da un passo del Pendolo di Foucault e che, a sua volta, a Umberto Eco viene da Emilio Salgari: «Quando Salgari riferisce un fatto vero (o che lui credeva vero) — diciamo che Toro Seduto dopo Little Big Horn mangia il cuore del generale Cuscer — alla fine del racconto mette una nota a pie di pagina che dice: l.Storico». Quella nota l'ho messa più volte, nel Dizionario dei tatatà la settimana scorsa. Alcuni suoi lemmi erano «storici», altri non lo erano. Come chiameremo i lemmi, i vocaboli che non sono «storici», nel senso salgariano del termine? Qua! è il contrario di «storia»? n gioco dei contrari è un nobile gioco linguistico, l'abbiamo già giocato più volte, qui. In alcuni ambiti storia si oppone a filosofia (forse ci vorrebbero le maiuscole); in altri non c'è storia senza filosofia, in altri ancora non c'è filosofia senza storia. Una recente traduzione einaudiana propone un breve testo di Raymond Queneau (Una storia modello, Einaudi, 1988; l'edizione originale è del 1966, il manoscritto del 1942), che si inaugura su questa affermazione: -la storia è la scienza dell'infelicità degli uomini'. Eppure è un libro divertente, o quasi. Una ponderosa teoria semio-Unguistica degli ultimi decenni è basata su un'opposizione tra storia e discorso, affinata da Emile Benveniste, basata su forme verbali e usi pronominali. Benveniste si era occupato del gioco in uno sperduto articolo per una sperduta rivista scientifica. Que¬ neau si è occupato di giochi linguistici in millanta occasioni: senza teorizzare, facendoli. Edoardo Sanguineti (Genova) mi ha mandato recentemente un breve raccontino tutto incentrato su parole tatatà. Ne riparlemero: lì Sanguineti conia tatatà non storici e usa tatatà storici. Nel frattempo, è uscito il numero 35 di Linea d'Ombra (febbraio 1989) che annuncia in copertina un'intervista a Sanguineti (la si può leggere tra le pagine 53 e 58 dello stesso numero della rivista). E' un'intervista densa e memorabile, e il titolo redazionale è «n critico come storico». Verso la metà, una domanda di Fabio Gambaro e una risposta di Sanguineti rammentano la dichiarazione televisiva di uno studente, citata poi dall'intervistato in una sua poesia: -la storia, si capisce, non si capisce'. Noialtri abbiamo qui dei tatatà, dei palindromi, degli accidenti. Alcuni li leggiamo sui vocabolari, sui vocabolari dell'italiano corrente, e sui vocabolari dell'italiano desueto, imprevedibile, tecnico. Abbiamo imparato che candididi è una parola che esiste (è una sindrome dermatologica, ce lo assicura il dottor Varaldo, da Imperia). Altri tatatà non esistono, ma sembrano quasi più verosimili di candididi (faccio gli esempi di rubababà e di arcicicisbeo, opere di autori vari). Altri ancora non esistono né sembrano verosimili (come la ghiaiaiatria di Inta Bertuccioni, Chavennes, Svizzera). Quelli che esistono li chiamiamo «storici», come Salgari. Quelli che non esistono, o non esistevano ancora prima di diventare necessari al proseguimento di un gioco («the story must go on!»), li chiamiamo «finzionali», come fanno i teorici della narratività. Ma Salgari credeva «storica» la faccenda di Toro Seduto, e ce lo riferisce Eco che teorizza la narratività con un certo rigore, e poi la pratica, inventandosi le cose e facendo finta che siano vere. Cucina anche lui i suoi lessi, rimescola le sue carte. Userò ancora questa opposizione tra storico efinzionale, ma non mi illudo che sia un criterio definitivo. Magari un giorno un dizionario dell'italiano corrente parlerà di «rubababà», Tore Seduto commetterà atti rituali ripugnanti al buon senso, e si scoprirà che questi articoli fanno parte di un complotto templare. «La storia, si capisce, non si capisce». Scrivete a Tuttolibri, redazione giochi, via Marenco 32,10126 Torino. Stefano Bartezzaghi Disegno di Stoppa

Luoghi citati: Cairo Montenotte, Genova, Imperia, Svizzera, Torino