Arriva dal Giappone un profeta bucolico con flauto e computer di Enzo Gentile

Arriva dal Giappone un profeta bucolico con flauto e computer Chi è Kitaro, astro della musica nipponica in concerto a Roma e Milano la prossima settimana Arriva dal Giappone un profeta bucolico con flauto e computer DELLA cultura giapponese, in generale, si sa poco qui in Occidente. Rispetto alla grande produzione cinematografica, letteraria, teatrale e musicale disponibile, poco viene importato, anche per oggettivi problemi di lingua. Non sono quelli, "però, gli unici ostacoli: probabilmente si tratta di un mondo ancora lontano, che neppure la civiltà dei «media» ha saputo avvicinare in modo adeguato. Ogni regola, comunque, ha le sue eccezioni e grazie all'universalità. dei suoni, di certe costruzioni musicali per 1 quali determinati freni di comprensione e comunicazione non possono valere, arriva a noi, di tanto in tanto, qualche esponente della moderna musica giapponese. L'etichetta rock che vale in ogni angolo del pianeta, qui non funziona: sta stretta a Riulchi Sakamoto, figura divenuta popolarissima grazie al cinema (attore in Furyo, premio Oscar per la colonna sonora de L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci), non calza adeguatamente a quegli artisti che si muovono tra jazz e sperimentazione, tra elettronica e performance audio-visive, e neppure potrebbe venire affibbiata a Kitaro, 35enne astro del «made in Japan», recentemente impostosi all'attenzione della critica e dei mercati internazionali. Atteso anche in Italia, per un paio di concerti, il 26 a Roma, il 27 a Milano, Kitaro è diventato in poche stagioni una sorta di caso: la sua è musica obliqua, che attinge generosamente alla tecnologia, ma fa sapiente uso delle risorse tradizionali giapponesi, descrittiva, immaginifica, a tratti epica, sempre distillata come uno sfondo ideale di paesaggi sterminati, di acque limpide, di montagne maestose, figlia della natura, del sogno e di un certo misticismo orientale. In quasi venti anni di carriera e una dozzina di dischi in curriculum, dopo un rodaggio con formazioni di cui si sono perse le tracce, Albatros e Far East Family Band, Kitaro ha iniziato nel '78 a lavorare in proprio, sull'onda di un suono da indagare, da colorare, da pilotare lungo i canali della fantasia, del sentimento, di quel principio di immedesimazione evocativa cui ha fatto più volte riferimento tutto il movimento sorto intorno all'etica «new age». A Kita- ro, ovviamente, essere inserito in una famiglia musicale alla moda la cui onda è stata cavalcata da americani, più inclini al business che alla filosofia da lui snocciolata con enfasi pari solo alla fede, non piace affatto. In realtà questo acclamato profeta della solennità bucolica ha cominciato ben prima che i giochi fossero fatti. E solo al momento del suo ingresso nel circuito mondiale, con l'ingaggio ad opera della Geffen, nel 1985, il nome e la musica di Kitaro sono stati disinvoltamente associati ai percorsi della «new age»: questo sembra offenderlo, nella sua musica i messaggi sono ben più articolati e ambiziosi. «Sono completamente autodidatta — spiega — con la musica ho sempre avuto e mantenuto un rapporto istintivo, mai rigido. E' la natura che mi ispira: sono cresciuto in una piccola fattoria di campagna e ancora vivo lontano dalla città. Per me i rumori degli animali, il fruscio del vento tra gli alberi, lo scroscio dell'acqua, il corso dei fiumi sono elementi familiari, spunti quotidiani che cerco di tradurre e sviluppare con la mia musica». In Giappone Kitaro è sinceramente acclamato come una specie di divinila del suono, corretto e misurato nel citare il patrimonio e le radici nazionali, per guardare, allo stesso tem¬ po, verso il futuro: «quadri so7iori», «musica della mente» hanno definito la sua produzione, ritenuta buona per la meditazione come per sonorizzare documentari, per muovere lo spirito individuale e per raccoglieie, davanti a un palcoscenico, anche decine di migliaia di spettatori. 'Io sono un musicista di una nuova cultura, l'espressione di un'epoca che vediamo avanzare a passi rapidi. Io voglio restituire alla gente il piacere Ultimo della musica, quel benessere nei confronti di noi stessi che rischiamo di perdere, senza per questo risultare monotono o semplicistico», chiarisce Kitaro. Alle nostre orecchie, frequentemente aggredite dalla stupidità ridondante e dal chiasso inevitabile, la musica di Kitaro può apparire per certi versi noiosetta, statica e anche trop- io didascalica, ma in effetti n n priva di un fascino discreto, lieve e insinuante come un profumo lontano. Narrano inoltre i suoi biografi, che tanto tempo fa, prima che si occupasse professionalmente di musica, Kitaro venne soprannominato dal suo maestro zen con l'appellativo di «Setu», che in Giappone significa -ponte». E il concetto di ponte, di unione tra est e ovest, di continuità tra l'uso del flauto in bambù e il muro di computer e di macchine dietro il quale si destreggia, è ben presente nelle incisioni di Kitaro. In Italia sono disponibili, anche in compact disc, il supporto preferibile per questo genere di musica avvolgente ed eterea, tutti gli album del periodo americano (Tenku, The Ughi of the spirit) e le ristampe di alcuni episodi precedenti, mai distribuiti organicamente al di fuori dei confini giapponesi. E, per rendere più accessibile il suo itinerario, Kitaro ha appena pubblicato un doppio album, Ten Years, che raccoglie le tappe più significative della carriera, con l'aggiunta di tre inediti e di un elegante fascicolo a colori, per una conoscenza più approfondita del personaggio. Prestargli un pizzico di attenzione non farà male: il ponte sul Paese del sol levante è aperto. Enzo Gentile

Persone citate: Bernardo Bertolucci, Geffen, Ughi