Filosofia a Harvard è pensare in pratica

Filosofia a Harvard è pensare in pratica In un'antologia i nuovi teorici americani, da Bloom a Rorty Filosofia a Harvard è pensare in pratica MOLTE tappe della filosofia del nostro secolo testimoniano come essa si sia pervicacemente impegnata nella ricerca paradossale della propria fine. Su questa via si sono poste componenti significative sia del pensiero filolofico europeo fortemente radicato nelle sue tradizioni, sia di quello americano, apparentemente più libero da vincoli antichi. Sul secondo versante della questione si sofferma l'antologia di Giovanna Borradori XI pensiero post-filosofico, corredata da un suo ampio saggio introduttivo, recentemente comparsa presso Jaca Book, e dedicata ad alcuni fra i più significativi rappresentanti dell'attuale riflessione filosofica e della critica letteraria negli Stati Uniti: Paul de Man, Fredric Jameson, Edward W. Said, Harold Bloom, Stanley Cavell, Arthur C. Danto, Ihab Hassan, Richard Rorty. Il tentativo è ambizioso: si tratta di ricostruire il percorso compiuto dal pensiero americano su di una via che lo ha messo a diretto contatto con l'esperienza, e lo ha emancipato da tutte quelle astrazioni storicamente sedimentatesi (Dio, le idee, i valori supremi e così via) che vanno sotto il nome di metafisica. La cultura americana, al contrario di quella europea, non si è mai staccata dal palpitante terreno dell'esperienza secondo l'analisi, talvolta intorbidita da un'eccessiva immedesimazione con il proprio oggetto (come segnalano molli ingiustificati vezzi linguistici), fornita da questo libro. Nella sua supposta verginità starebbe la sua forza. Sotto il óomun denominatore di Humanities essa congiunge letteratura e filosofia. In questo modo si è sottratta alle rigide barriere disciplinari (che caratterizzano la cultura universitaria europea) rimanendo sostanzialmente fedele a un'ispirazione pragmatica (poi divenuta "pragmatistica» nei suoi sviluppi filosofici). Non si tratta di una posizione acquisita attraverso le fatiche della teoria. E'piuttosto un lascito che il pensiero contemporaneo riceve da origini già remote: per scoprirle bisogna risalire al diciottesimo secolo, riandare all'epoca della fondazione dell'università di Harvard. Qui il Puritanesimo creò un modello di cultura estraneo al razionalismo europeo nel suo tratto rigido, monolitico e sorprendentemente parente invece della Scolastica medioevale. E si annunciò sin d'allora quel carattere dialogico, mai dimentico dell'altro che caratterizza tutt'oggi la cultura statunitense. Di qui al pragmatismo di William James, e poi, venendo all'oggi, al neopragmatismo di autori come Rorty, il passo non è certo breve, ma sicuramente molto significativo. Il progetto di un pensiero post-filosofico può infatti ritrovare in questo passato la sua patente di legittimità. Diviene così in grado di esibire il suo volto speculativo, eminentemente rappresentato dall'atteggiamento libetal di un autore come Rorty che intende il pensiero come un esercìzio edificante, un modo di tener viva la "conversazione dell'umanità-. Ma può anche insinuarsi nella teoria e nelle concrete realizzazioni delle arti, proteso ad affermare l'oltrepassamento dei limiti che fra loro si frappongono, il proliferare dei loro linguaggi. O può congiungere i due ambiti facendo della filosofia un genere letterario. Questo ù, in breve, il quadro delineato dalla Borradori. Tuttofila sin troppo bene anche perché troppo si è dimenticato: a partire dal fatto che il sogno di verginità della cultura americana si è sistematicamente nutrito di cultura europea, di quella scolastica a Harvard, come poi dell'empirismo logico e dello strutturalismo nel Novecento. Gli americani sono anzitutto coloni europei sbarcati in America. Federico Vercellone Giovanna Borradori, «Il pensiero post-filosofico. Percorsi e figure della nuova teoresi americana con un'antologia di testi inediti», Jaca Book, 362 pagine, 33.000 lire. Nel cortile dell'università di Harvard

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