I cuori di Lou e Bob s'infiammano come in gioventù di Enzo Gentile

I cuori di Lou e Bob s'infiammano come in gioventù Reed e Dylan, nuovi Lp per un ritorno all'antico I cuori di Lou e Bob s'infiammano come in gioventù TANTE volte, con una rapidità, con un tempismo persino sospetti, si è celebrato il de profundis, si è cantata la caduta degli dei, quasi che un brutto disco, una scivolata improvvisa fossero più volentieri archivlabili di qualche buona novella in musica. Sarà forse perché, come dice un antico proverbio orientale, fa più rumore un albero che cade, piuttosto di una foresta che cresce, ma Intanto se si parla di vecchi eroi, di reduci dell'età d'oro del rock, riesce preferibile sottolineare la delusione, In luogo di una piacevole- sorpresa. Eccoci qui, Invece, a salutare un palo di dischi di tutto rispetto, firmati da gente che con il certificato anagrafico non può proprio scherzare: da una parte il documento su vinile di un incontro storico, quello tra Bob Dylan e 1 Grateful Dead, ascoltati solo negli States per un breve ma intenso tour del 1987, dall'altra 11 lieto fine di un personaggio come Lou Reed, finalmente uscito da un tunnel, dove gli eccessi di una vita spericolata facevano rima con le cattive compagnie di dischi opachi, zoppi, asfittici, in una parola, da dimenticare. Sono, le loro, le classiche voci lontane, . sempre presenti: per chi ubbia frequentato e studiato la storia, Bob e Lou resteranno comunque dei capisaldi, ma è bene che quei meriti, quelle solenni vibrazioni, siano di tanto in tanto rinfrescate, anche a uso e consumo delle giovani generazioni, tanto per insegnar loro che non si vive di soli Jovanotti e che Madonna non ha scoperto l'acqua calda. A garantire un attivismo, una prodigalità, una gestione generosa del personaggio giunge un album tutto sommato inatteso, Dylan & the Dead, a breve distanza dal divertlssement dei Travelin' Wilburys, dove Bob, nei brani a lui attribuibili, era sembrato in ottima forma, con una gran voglia di suonare e di cantare. In questo live ci si imbatte in sette canzoni, dove Dylan ribadisce la sua arte di interprete, scevro da ogni narcisismo, lucido e perfetto nel rivestire a nuovo i suoi panni di leggenda, accompagnato da un gruppo fon- damentale per lo sviluppo del rock americano, versante californiano. I Grateful Dead rinati a nuova vita nell'87, grazie a un album, In the dark, che costituisce il più clamoroso successo di una carriera ultraventennale, raccontarono all'epoca l'ispirazione psichedelica, l'ambiente tutto particolare dell'alternativa westcoastiana, ed è con grande umiltà che, in questa circostanza, si mettono al servizio del Maestro. Dylan, dal canto suo, non lesina le forze e le energie, attinge a periodi diversi della sua produzione, pescando dal periodo mi¬ stico, con Joey, dalla bella colonna sonora di Pat Carret and Billy the Kid, con Knockin' on heaven's door, dal classici Anni Sessanta, con All along the watchtower, con il corredo di alcuni pezzi da considerarsi meno noti, ma non per questo minori. Spiace che, forse per motivi contrattuali, nell'album non figurino anche brani dei Grateful Dead, cantati a più veci, aulici divamente con Dylan (le cronache dei concerti citarono quegli episodi come deliziosi), ma per consolarsi viene in soccorso proprio la band nel suo complesso, di sicu¬ ro il supporto migliore per Bob da tanti anni a questa parte. Senza civettare né compiacersi sugli strumenti, i Grateful Dead nelle versioni' pur diluite delle canzoni dylaniane lavorano con placido fervore: e da par suo ricama, stuzzica, illumina d'Immenso la chitarra di Jerry Garcia, n quale, così bianco per antico pelo, appare sempre più simile a Mastro Geppetto: ma la sua chitarra è stata per molti maestra di vita, nel rock, in grado, ancora una volta, di indicare la retta via. E che quella del rock non sia una subcultura lo si accerta anche grazie a Lou Reed, che con New York sigla un ritorno addirittura maestoso, un affresco metropolitano umido e pulsante, figlio della notte e del marciapiede, tragico e straziato, di un'oscurità però mai cupa, mai nichilista. La poetica di Lou Reed ci ha abituato, non la si scopre adesso, ma 1 valori di New York staruio proprio nell'associazione simbiotica tra l'arredamento sonoro, scabro e nervoso, e i testi, così tesi e fotografici, riportati sulla busta, per consentirne una lettura anche isolata dall'ascolto. New York consta di quattordici canzoni, per un'ora di musica, e prospetta in Lou Reed il recupero di una vena che si temeva irrimediabilmente ancorata ai dischi di gioventù: qui invece, con un organico ridotto all'osso, con una tessitura grezza e arrangiamenti scarnificati, il cantore di Heroin e di Walk on the wild side ribadisce che la storia è fatta di corsi e ricorsi e che il 1989 è iniziato per lui all'insegna di ottimi auspici. Lou Reed ha già annunciato una prossima iniziativa (disco? musical? tournée?) in cui verrà fatto omaggio ai Velvet Underground e ai colleghi ormai scomparsi di quell'avventura rivoluzionaria, Andy Warhol e Nico, morta pochi mesi fa. Insieme ai compari sopravvissuti, John Cale e Maureen Tucker, dovrebbe nascere qualcosa. Certi che da un tipo come Lou saranno banditi nostalgia e bieco revival. Enzo Gentile L Kd Lou Keed Bob Dylan

Luoghi citati: New York, States