Antonia Pozzi: le parole segrete che mi confidava di Giancarlo Vigorelli

Antonia Pozzi: le parole segrete che mi confidava Giancarlo Vigorelli, critico e testimone, ricorda la poetessa suicida negli Anni 30, mentre escono liriche, diari e lettere Antonia Pozzi: le parole segrete che mi confidava MONTALE, già in una nota del '45, ripresa nella prefazione alla quarta edizione (1964) di Parole di Antonia Pozzi, aveva messo le mani avanti sulla sopravvenuta deformazione del suo «caso», che oggi invece si ripropone — Nico Orengo ne ha già parlato qui su •Tuttolibri' — e si conclude con l'edizione integrale ne varietur di Parole {Garzanti) e con la pubblicazione di due preziosi inediti, i Diari (Scheiwiller) e l'epistolario, L'età delle parole è finita (Archinto). Nel 1943, cioè più di quarantacinque anni fa, in occasione della seconda edizione —■ la prima, del '39, era slata un 'edizione privata, fuori commercio — anch'io avevo denunciato lo stesso equivoco respinto poi da Montale: «... s'erano udite molte, persino troppe voci anche estranee alla sua cultura e alla sua educazione levarsi a celebrarla»; ed i celebratovi stonati e devianti, allora, erano Galletti, Errante, Sommi Picenardi, Viilaroel Lanocita, Calzini, Dora Setti, Bice Tibilettl... Appunto, come diceva Montale: «quel demi-monde pseudoculturale dove si continua a credere che i buoni sentimenti creano, infallibilmente, la buona letteratura», e concederà: «Antonia Pozzi merita di essere liberata da questo equivoco, merita dì uscire dal limbo tra polemico e mondano in cui trova facili consensi certa odierna poesia "controcorrente". Ha bisogno che di lei si parli in modo diretto e non per vie traverse, intese a denigrare altre forme d'arte, o semplicemente altre ricerche». E proprio i diari e l'epistolario portano alla luce per i nuovi lettori (ora che le sue poesie sono state sottratte ai tagli, alle mutilazioni, insomma alla censura presuntuosa del padre benpensante e dei famigliari, che sorpresi e sgomenti del suicidio tentarono di confezionarne un'immagine edificante) il suo vero volto inquieto, turbato mai torbido, e tutta la cultura moderna corrispondente. Ascoltiamola — come dicevo in quella mia pagina di ricordo del '43 — in quello che era -Il suo giornaliero progresso del cuore e della voce», in «quel passo di danza della sua giovinezza», interrotto e troncato, prima che dal suicidio, dalla vicenda ai quel poetico amore per un suo professore, borghesemente impedito e vietato dal padre e da tutti. Ho raccolto più volte, coetanei e confidenti come eravamo, le confessioni di quel suo amore proibito e via via di altri manniani "disordini e dolori precoci-, lei e Remo Cantoni, lei e Enzo Paci, lei e Vittorio Sereni. Allora, tra il '35 e il '38. frequentavo l'Università Cattolica, ma correvo spesso alla Statale ad ascoltare le lezioni contagianti di Antonio Banfi legato d'amicizia e in consorteria letteraria con Sereni, Paci, Anceschi, Alberto Mondadori, Cantoni, Clelia Abate, la M. A. Denti, Formaggio, Bonfanti, Preti, Rognoni. Erano gli anni di «Orpheus», di «Camminare», e poi di «Corrente». Rivedo ancora Antonia sulla cattedra d'estetica, a lato del suo maestro, leggere il saggio su Eyeless in Gaza di Aldous Huxley, subito pubblicato su «Corrente» e ora raccolto in Diari. Oo7ji tanto, vincendo il pudore, mi passava qual¬ che poesia, e me ne mormorò tante nell'estate del '37 su a Pasturo, in Valsassina, emozionata che conoscessi cosi bene la sua valle, da dove era discesa mia madre e spesso vi risalivo io per le vacanze. CERTO è una sorpresa avere oggi nelle mani, in edizione critica a cura egregia di Alessandra Cenni e di Onorina Dino, le quattrocento pagine delle Poesie, quasi da appaiare, nella stessa collana grande di Garzanti, al tutto Rebora, al tutto Sbarbaro, a Caproni, a Bertolucci. E' stato sacrosantemente giusto averci restituito, senza più deturpamenti, il corpo vero della sua poesia ed il suo volto intatto di donna. Ma se resta il caso umano, non è irriverente domandarci se avrebbe avuto crescita il caso lette¬ rario. Oggi, quasi cinquant'anni dopo, che risposta dà la sua poesia, quale consistenza, quale durata? Trepidamente ed anche intrepidamente la sua risulta piuttosto una sensibilissima poesia da domanda, che forse avrebbe anche potuto arenarsi, persino bloccarsi dopo tanta effusione, e prendere altre strade. Paradossalmente, oserei dire che Antonia era una creatura cosi •poetica-, che la sua voce di poesia poteva proprio rischiare di restare inferiore alla sua febbre esistenziale. A rileggerla oggi, infatti, rimane isolata, non entra nello svolgimento della nostra poesia degli anni dal '30 al '50: non è diminuirla dire che è un bel fiore di campo, solingo, raro, magari unico. Va ad ogni modo ricordato che le e stato fatto posto in talune antologie, da Lirica del Novecento (1953 e 1961) di Anceschi e Antonielli a Poesia italiana / il Novecento (1980) di Getti e Logorio, da Antologia della poesia italiana 1909-1949 (1950) di Spagnoletti, che però la esclude dieci anni dopo in Poesia italiana contemporanea (1959), alla valida antologia russa, Lirica italiana del XX secolo (1968) di Solonovic. E visto che il suo nome, vent'annifa, era anche arrivato a Mosca, non va ignorato che la sua poesia ha forse avuto sino a ieri più riscontro all'estero che da noi: la prima edizione di Parole nel '41 è stata tradotta in romeno; la seconda, nel '43 in lingua tedesca per mano di Henry Benrath, poeta e saggista del cerchio rigoroso di Stefan George, e un altro gheorghiano, l'amico Ernst WiegandJunker,nel '48enei '52 ha allestito due puntuali antologie. Nel '61 e nel '73, a Madrid e a Barcellona, sono seguite altre due versioni spagnole; e nel '55 era uscita l'edizione inglese, Poems, a cura di Wydenbruck, che non è sfuggita a T. 3. Eliot. Non è forse dovuto al caso questo accesso ad altre aree poetiche; non era del tutto nata su terreni italiani la sua poesia: quanto primo Rilke spesso la percorre, e Maeterlinck, Jammes, Morgenstern, Trakl, HofmannsthaL «Leben, Traum unde Tod, Vita, Sogno e Morte: Personalmente, dopo avere letto e riletto i recenti inediti, confesso di ritenere che Antonia avrebbe oltrepassato questa pur viva soglia della poesia. Come è simbolicamente giusto il titolo, da aut-aut, dato al suo epistolario. L'età delle parole è finita. Non è soltanto il frammento, qui in Diari, di un ipotizzato romanzo a farmelo sospettare; o le pagine critiche su Huxley, e la bruciante passione per Mann: era proprio la sua tragica paura — come mi aveva confidato nel nostro ultimo incontro — «di mancare alla vita e di restarne fuori». Rompendo l'assedio dell'intelligenza pura ed anche della poesia pura, era arrivata ad esigere l'incontro e lo scontro totale della vita, e le parve che anche la morte fosse, dopo troppe domande sentimentali, una risposta. Gian Antonio Manzi, compagno d'Università suo e di Paci, Sereni, Anceschi, amicissimo di Bo e mio, collaboratore del «Frontespizio», nel maggio del '35 si era suicidato. Un suicida, o ha tutto da nascondere o da nascondere non ha più niente. He riletto a fondo, sotto la pagina, il Flaubert, di Antovia Pozzi, uscito postumo nel '40, con una premessa di Banfi; è ben più d'una tesi di laurea, è un progetto di vita, non per sua colpa mancala. A proposito, consiglierei di rieditare il suo Flaubert; e insieme, già che ci siamo, il Proust di Morselli, edito nel '43, sempre con premessa di Banfi. Non è il suicidio a riunire i due autori, e questi due precocemente esemplari saggi critici; anzi, è la loro lezione di vita, e il nostro rimpianto comune, a metterli faccia a faccia. Giancarlo Vigorelli Una foto di Antonia Pozzi, durante una gita in montagna

Luoghi citati: Barcellona, Madrid, Mosca, Pasturo