Com'è breve l'immortalità di Ferdinando Camon
Com'è breve l'immortalità Parliamone Com'è breve l'immortalità DUNQUE: salgono Croce, con D'Annunzio e Nietzsche (con lui non esattamente compatibili), e Leopardi; scendono Carducci, Dante, Manzoni. Aricco e Tasso non sono mai stati molto presenti, erano autori della scuola, non della vita. Pascoli, disprezzato come borghese e ipocrita fino a qualche decennio fa, torna ad essere amato dai vecchi e dai giovani. Insomma: alcuni che si credevano immortali stanno morendo, altri che si credevano morti rinascono. Vien da domandarsi: cos'è l'immortalità, e chi la garantisce? Il critico? Lo storico? La scuola? I lettori? Il Nobel? Ragioniamo. Anzitutto, bisognerà precisare un po' il concetto indicato col nome, mistico per eccellenza, di «immortalità». Ora lo sappiamo: ogni autore costituisce, o fa parte di un sistema che non necessariamente resta o si perde in blocco. Croce voleva Carducci e non voleva niente dopo Carducci, perché tutto ciò che c'era dopo gli sembrava indegno. Per ironia, la sua nuova vitalità si accompagna a quella dei decadenti che lui credeva già morti o mai nati. Salinari scriveva che la strada che immette nel Novecento passa per Pirandello e Svevo, e può saltare Pascoli e D'Annunzio: siamo alla fine del Novecento e il binomio Pascoli-D'Annunzio si riaffaccia con l'aria di voler restare. Credo che, a proposito di Pascoli e D'Annunzio (come anche di Ariosto e Tasso), abbia contribuito a salvarli e a mantenerli quell'enorme strumento di conservazione, sempre sfasato e in ritardo, che è la scuola. La scuola ha predicato una cultura crociana (Sansone, Cappuccio...) quando il suo tempo aveva una cultura marxista, ha predicato una cultura marxista (Sapegno, Salinari, Petronio, Asor Rosa...) quando il suo tempo aveva una cultura liberale, e via di seguito. Ancor oggi, la scuola chiude le sue antologie con l'avanguardia e la lettetatura industriale, che la cultura del tempo ha sepolto da decenni. Ma questa non è l'immortalità: è una breve vitalità. L'immortalità, se c'è, dev'essere un'altra cosa. Quand'è che un autore del passato può dirsi ancora vivo? Non quando è presente in qualche storia letteraria, o tesi di laurea, o ricerca scientifica; ma quando un ragazzo o una ragazza, un lettore qualsiasi, aprendo un suo libro per caso, per scelta, per errore e cominciando a leggerlo, va fino alla fine. Quando resta leggibile. L'immortalità garantita dalla critica appartiene alle epoche aristocratiche o elitarie, quelle in cui il gusto letterario era indirizzato dagli intellettuali: pochi grandi sopravvivevano nella mente di pochi eletti. Erano le epoche in cui si poteva storicizzare. La critica scorreva continuamente sulla storia come un pettine: se c'era un nodo, lo trovava. Croce trovava il nodo Vico, e lo scioglieva per sempre. Questa storicizzazione (lo diceva già Montale, con disperazione) è adesso impossibile. Il critico fa un lavoro sempre più settoriale e personale: là sua capacità di garanzia diminuisce di giorno in giorno. Chi è sconosciuto, mal edito o mal letto, è perduto per sempre, nessuno lo ritroverà. Per gli altri, l'immortalità delle opere scritte oggi è semplicemente la loro vitalità nelle opere di domani: Ivory attualizza Forster, Strehler Brecht, Coppola Conrad, Visconti Mann, eccetera, cos'i come D'Annunzio uccideva Carducci, Carducci Manzoni, Verga 11 Romanticismo, Pasolini l'avanguardia, eccetera. Le opere che si scrivono nel nostro rempo modificano il senso delle opere scritte nei tempi passati. Non esiste più l'immortalità, come qualità delle opere. Esistono soltanto le morti e le resurrezioni: immortale è colui che viene resuscitato, e solo per il tempo in cui è tenuto in vita. Ferdinando Camon
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