Rivalutiamo Guerrazzi, scrittore dimenticato
Rivalutiamo Guerrazzi, scrittore dimenticato A Livorno, dove sino a ieri non c'era neppure una lapide, adesso gli hanno intitolato una piazza e fatto il monumento Rivalutiamo Guerrazzi, scrittore dimenticato DALL'INVIATO LIVORNO — Inutile cercare via dei Mulini a Vento. Non esiste più. Al posto di questa via e dei vicoli che dal porto, come lunghi tentacoli, conducevano al centro della città, ora c'è una larga strada che si chiama via Delle Commedie. Dov'erano antichi palazzi grondanti di storia sono sorti edifici che, nella struttura, tradiscono lo stile degli architetti del dopoguerra e del boom economico. Anche della casa di Francesco Domenico Guerrazzi, scrittore e uomo politico livornese del secolo scorso, che si trovava proprio in via dei Mulini a Vento, una leggera salita lunga non più di 50 metri, vicino al Collegio dei Padri Barnabiti, non è rimasta pietra. E' stata polverizzata da un bombardamento. Al suo posto c'è la scuola elementare Massimo D'Azeglio, da dove escono frotte di bimbi, ignari che in quel luogo nacque uno dei letterati più attivi del Risorgimento. Sulla facciata non c'è neppure una lapide. Eppure lo scrittore ebbe grande parte nella storia di Livorno e fu punto di riferimento nella letteratura dell'epoca. L'omaggio che gli ha reso la città intitolandogli una piazza e un monumento dello scultore Lorenzo Gori che raffigura Guerrazzi cinquantenne, seduto, nell'atto di scrive¬ re, proprio a sottolineare le grandi doti di letterato, forse non lo ripaga appieno del suo impegno politico. -E' certo una figura da troppo tempo trascurata o sottovalutata — dice Mario Landini, studioso del Risorgimento, vicesindaco di Livorno negli Anni 50 —. Guerrazzi dev'essere considerato un letterato di statura nazionale se non addirittura internazionale. I suoi scritti ebbero eco in Germania e in Russia, influenzarono Puskin e Heine, sono più attuali oggi di allora: l'europeismo, la fratellanza tra i popoli erano temi all'epoca incompresi e ritenuti utopici. Ora la storia gli dà ragione-. Francesco Domenico Guerrazzi, nato nel 1804, morì a Cecina a 69 anni dopo una vita travagliata, piena di imprese audaci, trascorsa tra sfrenatezza e anticonformismo. Perché si cerca di rivalutare le sue opere, forse a torto relegate tra quelle «minori» nella letteratura italiana? La risposta è implicita nel tentativo di correggere i giudizi della critica nei confronti di lord George Gordon Byron. Guerrazzi deve gran parte del suo stile letterario e di vita al poeta inglese che conobbe nel 1821 a Pisa, pochi anni prima che questi morisse. Colpito dai suoi scritti, definì il melanconico letterato inglese -uomo por¬ tentoso-. E sul suo modello imperniò gran parte della propria esistenza. Guerrazzi (della madre siciliana -aspra popolana e rozza nei modi- lascia un ricordo severo, mentre del padre intagliatore di legno dà un'immagine più affabile) con grandi sacrifici e volontà si laurea in giurisprudenza a Pisa. La carriera letteraria s'inizia con -Alcune stanze alla memoria di Lord Byron-. E, ancora in omaggio al poeta britannico, scrive il poema -La società-. Ma se per Byron i legami con la sua terra natia si erano rotti definitivamente dopo la dichiarazione di nullità del breve matrimonio con miss Milbanke, per Guerrazzi il fortissimo senso di amor patrio è una costante della sua burrascosa vita e della creatività letteraria. Nella -Battaglia di Benevento-, una delle maggiori opere del livornese, si evidenziano patriottismo e passioni sfrenate (il parallelismo con il temperamento di Byron è d'obbligo: -Il grande oggetto della vita è la sensazione. Sentire che esistiamo, sia pure nel dolore. E' questo "vuoto insaziabile" che ci spinge al gioco, alla guerra, ai viaggi, ad attività di ogni genere, smoderate ma fortemente sentite, e il cui fascino consiste principalmente nell'agitazione, che ne è inseparabile-, lettera di Byron a miss Milbanke, 1813). E, come il poeta inglese, Guerrazzi agli scritti fa seguire l'azione. L'eroicomico tentativo, nel 1830 a Firenze, di far firmare la Costituzione al granduca, atto che gli costa un mese di carcere e altri tre mesi nel forte della Stella a Portoferraio, ne è un esempio. Ma l'isolamento non ferma Guerrazzi. Impedito fisicamente di agire, l'irrequieto livornese lavora di penna. E' durante la permanenza nel Senese che comincia a prendere forma V-Assedio di Firenze-, pubblicato nel 1836 a Parigi. Alla prigionia seguono lunghi anni di raccoglimento e di inattività politica. Ma non rinuncia a comporre: nei primi mesi del 1839 scrive «La duchessa di San Giulianodi cui dopo la terza edizione modifica il titolo in -Veronica Cybo, duchessa di San Giuliano-; poi, a Firenze nel 1844, pubblica -Isabella Orsini, duchessa di Bracciano- e nel '47 una raccolta di -Scritti- In cui, oltre alla gustosa satira sulla giustizia umana e forense -Serpicina-, compare 11 racconto «7 nuovi tartufi-. I grandi eventi del '48 risvegliano lo spirito rivoluzionario di Guerrazzi. Ancora incarcerato, dopo la liberazione è eletto deputato. Per il prepotente senso di protagonismo assume atteggiamenti contrastanti col governo centrale. Tuttavia, viene scelto come ministro dell'Interno durante il gabinetto Montanelli. Ma toma al potere il granduca e Guerrazzi è condannato all'esilio in Corsica. Indomabile, riesce a fuggire dall'isola e nel 1857 ottiene da Cavour l'autorizzazione di abitare a Genova dove resta 5 anni. Per Guerrazzi scrittore il periodo dell'esilio e quello successivo alla fuga sono assai fecondi. In Corsica termina V-Asino-, pubblicato a Torino nel 1857, opera nella quale sviluppa il motivo fondamentale della «Serpicina-. Pure del 1857, e tutti stampati a Torino, sono i racconti -La Torre di Monza-, -Pasquale Paoli-, dedicato a garibaldi, e -Fides-. L'anno successivo esce -Storia di un moscone-. Ma l'opera più serena e artisticamente più valida rimane il -Il buco nel muro-, pubblicato nel 1862, otto anni prima della morte. Grande notorietà gli dà anche il romanzo -Il secolo che muore-, pubblicato postumo nel 1885. Carducci fu un suo ammiratore e ne raccolse V'Epistolarìo». Guerrazzi, dunque, deve essere rivalutato, anche solo per quell'impegno di divulgatore dell'idea liberale, quando gli ultimi colpi di coda della Restaurazione sembravano lasciar poche speranze agli ideali del Risorgimento. Giulio Geluardi
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