Faust, una morale senza mostri

Faust, una morale senza mostri DIBATTITO A FORLÌ' SU «MODERNITÀ', VIOLENZA E VALORL Faust, una morale senza mostri Filtra una debole luce nella bottega di Faust, c'è polvere sui volumi, odor di chiuso. Lui, simbolo della Ragione, incarnazione della Modernità, gran sacerdote della scienza pronto a vendere l'anima al diavolo pur di appagare l'insaziabile sete del conoscere, si sente demotivato e inquieto. Riflessioni e dubbi turbinano nella mente, frammenti di ricordo turbano la memoria. La primavera scorsa, sui giornali e in tv, era divampato il dibattito sulla morale laica: Alberoni c Veca avevano pubblicato L'altruismo e la morale (Garzanti), Guarini faceva discutere con il Breve corso di morale laica (Rizzoli). Faust stava a sentire. Ma già allora qualcosa delle antiche certezze si era incrinato. Era veramente capace la Ragione di costruire una morale? E una volta costruita, come poteva questa morale diventare vincolante, obbligatoria, capace di imporsi all'uomo non tanto nelle forme esteriori del comportamento quanto nelle profondità della coscienza? Faust leggeva, ascoltava, c gli interrogativi si facevano via via assillanti. Come rispondere alle domande? Erano dunque il dubbio e l'inquietudine il destino di questa fine Anni Ottanta? Faust rifletteva. E in autunno un nuovo sussulto di polemica rendeva ancora più acuto il dubbio. Con due articoli pubblicati su La Stampa, «Mea culpa di un laico» c «Ansie senza risposta». Ernesto Galli della Loggia dava fuoco alle polveri. Che cosa offrono la cultura laica e la relativa morale (che di questa cultura è espressio- ne) agli interrogativi sempre più pressanti che oggi emergono dalla società? «Tolleranza e razionalità all'insegna dell'individualismo», aveva risposto Galli della Loggia. Troppo poco. E aveva aggiunto: «Il pensiero laico liberal-nrogressista dovrebbe prendere le mosse per un esame di coscienza. Riconoscendo, per esempio, che esso tende con troppa facilità a divenire e a esser sentito come una semplice ideologia della tolleranza a 360 gradi e dell'indifferentismo etico, fatti salvi, ovvia¬ mente, i limiti più triviali della legge e dell 'ordine». Faust misurava a larghi passi la bottega e intanto si interrogava. Era questo dunque il destino della morale? Un vagare incerto nel labirinto della Modernità, un brancolare senza meta, troppo debole il filo per trovare la strada, troppo fioca la luce della candela per fugare le tenebre e intravedere l'uscita? Il discorso è aperto. Lo si è affrontato in un dibattito, l'altro ieri a Forlì, nella giornata conclusiva del convegno internazionale Le maschere della violenza nella cultura germanica, organizzato per gli Incontri Diego Fabbri. Tema della discussione, «Modernità, violenza e valori: il problema delle regole morali-, tre gli interventi in programma: Salvatore Natoli (Filosofia della politica all'Università di Milano), Italo Mancini (Filosofia del diritto all'Università di Urbino), c il cronista di Stampa Sera che firma questo articolo. E' la modernità che si è illusa di saper costruire una nuova morale, ha detto Natoli. Dalla fine del Medio Evo al nostro secolo, la Ragione si è dilatata in una sinfonia di illusioni, ma il progetto di ingegneria storica costruito sui miti dell'utopia sociale e della Tecnica, sull'enfasi di volontà di potenza alimentata dall'idea di progresso, è naufragato nel fango delle trincee della prima guerra mondiale e nella barbarie dell'ultimo conflitto. «Oggi non abbiamo nessuna verità per la quale valga la pena vivere, per la quale valga la pena spendersi: la nostra civiltà potrebbe sparire per caso, per una svista, qualcuno preme un bottone e la bomba nucleare cancella l'umanità dalla faccia dell'universo. Che cosa ci resta allora? Un'etica dellafininuline, la consapevolezza del limite: è questa l'unica possibilità in cui l'uomo può sentire la relazione con /'altro». Ma che cos'è questo altro! «E' un volto, anzi il volto, e non un 'astrazione — ha risposto Mancini —. E' la persona: non un numero, non l'oggetto da piegare alla nostra volontà di potenza o abbandonare agli ingranaggi della Storia». Per sviluppare questa tesi. Mancini è partito da lontano. «Ho finito di scrivere un Uhm proprio in questi giorni e l'ho intitolato /"Ethos dell'Occidente. Ho rovistato da Omero in poi, ho cercato, scavato, interrogato filosofi e poeti, ho percorso un lungo itinerario. E dove sono arrivato? Alla conclusione di Benoll Brecht: "E voi imparate che c'era il mostro (il nazismo, ndr.) che si aggirava per l'Europa, ma non dimenticate che il ventre che lo lui partorito è ancora rigonfio"». Due grandi cicli hanno segnato la storia del pensiero dell'Occidente: il ciclo dell'Essere e il ciclo dell'Io. L'età dell'Essere, culminata nel Medio Evo, ha spiegato Mancini, è stata l'epoca del principio, un'epoca autoritaria e inclemente, incapace di tolleranza e rispetto delle differenze. L'età dell'Io è quella che stiamo vivendo. «L'ima e l'altra ci hanno dato guerre, sofferenze, non hanno prodotto una morale valida per ritorno. E allora? Dove dobbiamo guardare? Esiste un segno capace di accompagnarci da oggi al Terzo millennio? Sì, esiste: questo segno è il prossimo. Saper dialogare con lui, saper coesistere, riconoscere, rispettare, accarezzare il suo volto: questa è la morale per l'oggi e per il domani». Faust acconsente, ma poi ci ripensa. Chi garantirà questa morale? L'impegno individuale e la responsabilità del singolo, risponde la Ragione. Ma sono sufficienti la buona volontà c la responsabilità individuale? Faust non ha una risposta. E allora s'arrovella. Sempre più perplesso, sempre più inquieto. Mauro Anselmo Mefistofele va a tentare Faust (da una stampa dell'800)

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