Si desta l'Amazzonia dell'oro maledetto di Liliana Madeo

Si desta l'Amazzonia dell'oro maledetto AD ALTAMIRA, TRA GLI INDIOS CHE SI SONO RIUNITI PER CHIEDERE AIUTO AL MONDO Si desta l'Amazzonia dell'oro maledetto Sono arrivati a centinaia i rappresentanti di tribù che non si erano mai incontrate - Raccontano come i garimpeiros, cercatori d'oro, li massacrano, bruciano i villaggi, e usano tonnellate di mercurio inquinando acqua e aria - Il problema di un popolo che muore si fonde con quello dell'immensa foresta - Il «polmone verde», ferito da spianate selvagge, bruciato, avvelenato, sta alterando la vita del pianeta ALTAMIRA — La notte tropicale scende rapida sulla foresta e, nell'ultima luce — mentre la selva incomincia a risvegliarsi, rinviando un concerto fitto di fischi di animali, sibili, richiami, striduli echi di un mondo che durante il giorno era tutto appiattito tra il verde e l'ombra — ecco apparire uno dietro l'altro un gruppo di giovani indios Kaiapò. Hanno appena fatto il bagno in un gomito del grande fiume Xingu, fra spruzzi e tuffi. Hanno ancora i lunghi capelli neri bagnati, e i corpi dipinti di tutti quei colori che per ciascune di loro, e per ciascuna delle loro tribù, hanno un significato estetico, simbolico, di potenza, bellezza, stato sociale. Si rimettono 1 copricapo di piume. Ora non parlano più. Guardano davanti a sé con sguardo impenetrabile. Questa non è la loro foresta. Betania — nell'estremo Nord del Brasile, nel cuore dello Stato di Paranà — è sede di un centro missionario, a dieci chilometri da Altamira. Sono arrivati a centinaia, dai villaggi sparsi per milioni di chilometri quadrati (solo l'Amazzonia si estende per cinque milioni e mezzo di chilometri quadrati, di cui quasi quattro in Brasile). Sono arrivati a piedi, in piroga, pullman, aereo. Giorni e giorni di viaggio. In centinaia. Con molte donne e bambini. Dai villaggi dell'Amazzonia brasiliana come dalle riserve dell'America del Nord, del Messico, del Venezuela, della Colombia e del Perù. I rappresentanti di tribù o nazioni di indios che a volte non si erano mai incontrati, o che non avevano mai incontrato i bianchi. Genocidio Anche i bianchi di Altamira — il paese di 38 mila anime, lungo la Transamazzonica, fra le buche e la polvere di questa incredibile e quasi impraticabile megastrada che dovrebbe attraversare il Nord del continente, in mezzo agli agguati dei pistoleros, le violenze dei vaqueros, i traffici impuniti dei contrabbandieri, un popolo di disperati che si muovono isolati o al soldo dei potentati locali — anche alcuni bianchi di Altamira non avevano mai incontrato gli in dios, con le loro asce di guerra, le perline al collo, i grandi orecchini ai lobi, il machete in mano. E i bambini chiedono ai bianchi arrivati per questo convegno, il primo mai accaduto nella storia: «Ma tu hai paura degli indios? Non pensi che li possano uccidere?». Ora che la notte è scesa nel campo, tutti gli indios si raggruppano intorno ai propri capi. Sembrano uguali, colle facce impassibili nonostante l'emozione di questa espe- rienza. Alcuni, raccontano i missionari, tempo fa hanno visto calare davanti alle loro capanne un elicottero con alcuni antropologi americani: pensarono che fossero delle divinità e volevano onorarli come esseri soprannaturali. Alcuni, come i sette capi dei Munduruku—una nazione di cinquemila persone — si sono sentiti trascurati e sono un po' offesi. Manca Mario Yuruna, che è stato il primo indio al Parlamento brasiliano: ha avuto due mogli, di cui una bianca, e neppure al suo villaggio gode più di rispetto totale. I Kaiapò guardano il video della manifestazione e si fanno spiegare gli interventi che non capiscono: la cinepresa l'hanno da tempo, e quelle immagini gli riportano anche l'orrore di ima vita che gli sembra assurda, quella dei bianchi. Davi Kopenawa è il mite capo degli Ianomani, uno dei gruppi indios più numerosi (quasi 20 mila fra Brasile e Venezuela). Anche lui parla portoghese. Come Chico Mendes, il leader ecologista ucciso a Natale dai latifondisti, ha vinto il premio Global 500 assegnatogli dalle Nazioni Unite. Dice: -Non ce la possiamo fare da soli. Siamo indifesi. Non abbiamo tradizione guerriera. I garimpeiros ci uccidono. I bianchi violentano le nostre donne. Bruciano i nostri villaggi. I nostri bambini muoiono di malaria, morbillo, tubercolosi. In alcuni gruppi la mortalità infantile è quasi totale. Solo la solidarietà internazionale può salvarci. In pochi mesi quattro persone della mia famiglia sono state uccise. Siamo stranieri in patria». Accanto gli sta fratel Carlo Zacquiri, della missione della Consolata, che per 14 anni ha vissuto con loro. Nell'87 è stato espulso dal governo dal territorio del Roraima, come tutti i laici, i funzionari statali, i religiosi che sono testimoni di questo genocidio, permesso quando non incoraggiato dalle autorità. Racconta le esecuzioni dei religiosi, di chi contrasta la legge del più forte, dell'illegalità in cui si muovono gli indios e i poveri, sbattuti lungo le strade, verso i villaggi, a depredare chi ha qualcosa da mangiare. Racconta come i grandi progetti governativi sradicano gli indios, separano le famiglie, creano ostilità sanguinose e insanabili. Lui ha visto sparire negli ultimi anni 25 villaggi, uccidere almeno mille persone. «Sono pochi—dice—gli Ianomani che si ribellano. I bianchi, per secoli, non li hanno visti come nemici. Non li conoscevano o erano funzionali alla loro economia. Ora arrivano i garimpeiros con gli elicotteri, le ruspe, le sonde per esplorare il terreno. E fanno terra bruciata. Li torturano. Giorni fa, in un villaggio, quattro indios sono stati trovati uccisi e fatti a pezzi. E' una calamità pubblica. E' spesso una guerra fra poveri». Quanti sono questi loro nemici, i cercatori d'oro? Anche questo è impossibile dirlo. Sono 40-80 mila, secondo i missionari. 40 mila secondo Cesar Mesquita, rappresentante del governo: «Anche loro sono dei paria e hanno diritto a vive¬ re. Sono armati. Mandarli via sarebbe la guerra, un genocidio». E inveisce contro gli «europei, sovversivi, colonialisti, venuti qui per dire al Brasile quello che deve fare». Sarebbero invece 600 mila secondo un gruppo di scienziati brasiliani di altissimo livello che hanno lanciato un terribile allarme al mondo. Essi hanno detto che per separare l'oro dal 1980 al 1987 i cercatori hanno usato 1800 tonnellate di mercurio. Una tragedia per le popolazioni che lo maneggiano ma anche per le acque, l'aria, i cicli biologici e i cibi del pianeta, causa di cancro, malformazioni genetiche, impotenza sessuale. Un vero avvelenamento dell'umanità intera. Tutti qui sanno che ci si sta giocando la vita, ma il contrabbando di mercurio è fiorentissimo. Gli indios hanno battuto impazienti a terra le loro asce, durante l'intervento dell'uomo di governo. E le donne, impugnando il machete, si sono avvicinate minacciose al palco dove parlava il rappresentante della società che programma le dighe di Altamira. Ma la violenza non è mai esplosa. Anche se le tensioni, pure le differenze interne fra gli indios, sono grandi. Alcuni indios hanno costituito un gruppo a sé. I Kaiapò del villaggio di Aucu hanno un capo, Paulino Paiakan, che è leader della sua gente e di altre popolazioni tribali. Nell'82 organizzò la resistenza all'invasione di 4000 cercatori d'oro nelle loro riserve. Nell'85, dopo aver chiesto per tre anni l'aiuto del governo, chiamò i guerriglieri di quattro insediamenti e per dieci giorni sequestrò i garimpeiros che sfruttavano le loro terre. Nell'88, con l'etnobiologo americano Darrel Posey si è recato a Washington per incontrare i funzionari della Banca Mondiale, membri del Congresso degli Stati Uniti, del Tesoro e del Dipartimento di Stato, per parlare delle devastanti conseguenze ambientali e sociali delle grandi dighe che si Sono fatte e si progettano in Amazzonia. Al ritorno, sia Paiakan sia Posey furono accusati di aver violato la legge che vieta agli stranieri di interferire nella politica interna brasiliana. Adesso Paulino parla indio e portoghese. Ha un'antenna parabolica sulla sua capanna nel villaggio e nella sua casa a Belem. Sa di etnologia e debito pubblico. Dice: «Ho visto l'uomo bianco la prima volta a cinque anni. Rimasi stupito. Non capii die era una minaccia. Ero incuriosito. Non sapevo che voleva cacciarmi da quella che è la mia casa, il luogo della calma e della vita: la foresta. Abbiamo sempre trattato la foresta con amor?.. Oggi con l'arrivo della "civiltà", siamo pieni di problemi. L'uomo bianco inquina i fiumi con il mercurio, allaga terre produttive, ci trasmette le malattie». Ora, grazie alla sua popolarità e agli accordi con i garimpeiros — che per paura dei bellicosi Kaiapò in parte li rispettano — il suo popolo gode di alcuni privilegi. Hanno un aereo per portare i malati nei villaggi dove sopravvivono quanti conoscono gli antichi rimedi indios, perché non si disperda il sapere che per secoli gli ha permesso di vivere nella foresta cogliendone i frutti senza distruggerla e impoverirla come i bianchi stanno facendo con le deforestazioni (14 milioni di ettari fino ali'83: solo nell'88 è stata distrutta — in gran parte per il traffico di legno pregiato — una foresta pari all'estensione del Belgio), con le selvagge spianato che dovrebbero aprire la sti ada a coltivazioni e allevamenti di bestiame (640 mila ettari di foresta sono stati abbattuti neg'i Anni 70 per un programma nazionale che ha fatto emigrare 13 mila famiglie). Con gli incendi tfazendeiros e piccoli contadini nella speranza di diventare proprietari di un pezzo di terra coltivabile hanno mandato in fumo fra l'8 e il 12 per cento di tutta l'Amazzonia, provocando quell'impressionante aumento di anidride carbonica che sta innalzando la temperatura in tutto il pianeta), con le dighe e gli allagamenti (per le dighe di Tucurui e Balbina sì sono allagati circa 4500 chilometri quadrati di foresta fluviale; in programma ci sono 136 dighe, di cui molte in Amazzonia, che inonderanno decine di migliaia di chilometri quadrati di foresta provocando la migrazione forzata di 500 mila persone: solo il complesso di Altamira — quello per cui è nato il convegno cui sono intervenuti biologi, verdi, ministri, studiosi e giornalisti di tutto il mondo — prevede due dighe che significheranno il più grande lago artificiale del mondo, quasi 7000 chilometri quadrati allagati lungo lo Xingu, 70 mila persone spostate, un numero imprecisato di vil¬ laggi indios cancellati, ima spesa di 10 miliardi di dollari, per cui sono già state rilasciate concessioni a multinazionali e, mentre la Banca Mondiale ha bloccato i prestiti per questa operazione, persino il capitale giapponese si è mobilitato), con progetti militari (come quello costosissimo di Caha Norie, 6500 chilometri lungo la frontiera con Venezuela, Colombia, le Guyane, con basi militari, cittadelle, strade, aeroporti). Davanti al disastro ecologico che si prepara per il mondo intero, l'allarme degli specialisti è unanime. L'Amazzonia è il polmone del nostro pianeta. Distruggerlo — e distruggere le popolazioni che ci vivono, gli ultimi avamposti dell'uomo che con questo territorio ha saputo convivere per secoli — è andare verso la catastrofe. Nessuno è venuto qui sfoderando profezie apocalittiche solo verbali. Le piogge negli ultimi cinque anni — è stato calcolato — sono diminuite con conseguenze gravi sul territorio amazzonico e il pianeta. La temperatura cresce nel mondo. Gli indios vengono indicati come la barriera al disastro ecologico, un disastro sulle cui dimensioni — tutti lo hanno ammesso — non esiste nessuna certezza. José Lutzenberger, il più noto ambientalista brasiliano, ha segnalato che la distruzione dell'Amazzonia disturberà il movimento delle masse d'aria umide che regolano le tendenze meteorologiche delle più importanti aree agricole del Nord America. Un inferno L'etnobiologo americano Posey dice che le foreste del Brasile sono la farmacia del mondo e che ora si devono gettare le basi di una nuova alleanza fra ecologia e diritti civili e umani. Dice: «Gli indios hanno conoscenze profonde su tutte le piante medicinali, l'agricoltura, l'uso del suolo e la preservazione ecologica delle foreste tropicali. Sanno estrarre risorse dal suolo senza distruggere la natura. In questo Paese si guarda all'indio come a un problema, anziché a una ricchezza. E' questa mentalità che dobbiamo cambiare». Eppure tutti i piani sembra¬ no procedere come se gli indios non esistessero o, almeno, essi sembrano essere l'ultimo problema Davanti alle loro resistenze il governo ha tentato di coinvolgere psicologi e psichiatri per sottoporli a test e provare che hanno squilibri mentali. L'ultimo presidente del Funai, l'organo governativo che della condizione degli indios si dovrebbe fare carico, è stato sospettato dal procuratore della Repubblica di vendere illegalmente il legname delle aree indigene. In questa terra di frontiera le persone più sagge sono quelle che hanno lanciato denunce e la proposta di cercare insieme, ma immediatamente, un complesso e pur difficile rimedio. H genocidio degli indios è un aspetto di un dramma dalle dimensioni inimmaginabili Un esempio della realtà dei garimpeiros l'ho scoperta appena a meno di cento chilometri da Altamira, in un territorio sullo Xingu che si chiama Isla de la Fazenda. E' un villaggio nato per i cercatori d'oro. Cinquanta chilometri quadrati, terra rossa, deserto assoluto, un sole accecante, il rimbombo delle putrelle che penetrano la terra, dei generatori di corrente, delle macine. E un esercito di bambini, uomini, ragazzi, con le gambe nell'acqua che setacciano, frugano, pestano, separano la terra. Ore e ore intomo a un rivolo. Centinaia di carriole e di rivoli. Una fossa scavata in sei mesi che è un rosso girone d'inferno. Ci lavorano senza sosta. In un mese ci versano 15 chilogrammi di mercurio. In un giorno si possono trovare anche due chili d'oro. Che viene venduto a circa 15 dollari il grammo (ma la percentuale più alta va al proprietario della terra e dell'impresa complessiva). D villaggio vicino — Garimpo de Ressaca—è fatto di capanne sulle palafitte, di negozi, saloon, una farmacia, banchi per ubriacarsi e — il sabato sera — vincere forse la disperazione. Sabato prossimo arriverà qui anche un cantante — Rao Rodriguez — un tipo grasso con le basette lunghe: per ascoltarlo, 40 dollari circa. Quanta gente vive qui? Nessuna cifra è certa. Forse i garimpeiros sono 600. Forse, coi loro familiari, sono in tutto 1800.1 fucili sono nelle capanne e se li portano sulle lance i marinai che trasportano il mercurio di contrabbando a bordo. Le donne hanno facce dure e stanche. L'ultimo nato si chiama Evai. Piange sonoramente al flash della macchina fotografica. Ha 11 giorni. E' nato qui senza medico né alcuna assistenza. Secondo gli scienziati l'inquinamento del mercurio incomincia per il feto da quando è nella placenta. Liliana Madeo Altamira. Una cerimonia durante il grande raduno degli indios. «Si devono gettare le basi di un'alleanza fra ecologia e diritti umani»