I versetti satanici degli sciiti irpini

I versetti satanici degli sciiti irpini Segretissimo I versetti satanici degli sciiti irpini L'ayatollah Garg'hani (detto anche C'haggiafà) inorridi: le sue virginee orecchie sentivano suoni inauditi per un ortodosso qual era lui. Veri e propri "versetti» satanici quali: grugniti di disdoro firmati Mastella, strazianti ululati di dolore lanciati da Nicolino Mancino. Lai di disperazione pianti da Sanza detto anche 'Sanza lacrime». Persino qualche citazione invana del nome del profeta di Nusco scappata dalla bocca del mite Pecorelli, che arrampicandosi sulla scala dei pompieri in quel di Vermicino era arrivato lino alla spartizione del cielo e delle acque ("Cielo a Peuorelli, acqua a CatinellU). Che fare? Gli sciiti irpini erano in subbuglio. Bofonchi!, smoccolamenti, piagnistei. Le vedove volevano buttare il chador e passare all'Occidente. Fava Nuccio, Nonno Pasquale, il mitico Cabras e il biagio Agnes si dichiaravano persin disposti a mettere le calze a rete "cun la rìgga nera" pur di essere considerati almeno marchigiani. "No pasdaran!" urlava il tenebroso mullah Misasi, tentando di far fronte alle defezioni che stavano dissanguando le schiere. "Sono ascìiti pazzi1." gli faceva eco l'ayatollah Garg'hani. Decisero che bisognava fare qualcosa. Ed allora si incamminarono verso la moschea di Nusco. Strada facendo si fermarono nel deserto della "ricostruzione irpina" e si dissetarono tre volte alla fonte fatata di P'harmhalat. Riposarono su una carrozza ferroviaria «per grazia(no) ricevuta». Ed invocarono la benedizione di Allah protettore di tutti i terremoti. Finalmente giunsero in vista del tempio: i minareti assolati luccicavano di ori e di argenti. All'ombra delle cupole i mercanti esibivano i loro damaschi ed i loro tappeti. -Guardate che trama stupenda! E che prezzi» annunciavano speranzosi. Ed i maggiorenti dei clan locali visitavano le bancarelle accompagnati dai loro seguiti sfarzosi. Ognuno apparteneva ad una delle mule sette che fiorivano come gigli della notte in quelle contrade: "Sette di potere», "Tre sette», "Cucuselte...te». Ma i due religiosi non si fecero, per una volta, distogliere dalla bellezza mediorientale di quel souk e, legate le scarpe di Gucci alla catena, entrarono ad alluci nudi nell'antro del profeta. Si genuflessero, giurarono fedeltà eterna ai suoi piedi e poi presero a raccontare con dovizia di particolari le loro pene. Iri, banche, camere di commercio, parastato, usi e casse continue: tutto. Non gli nascosero nulla. Ma, stranamente, non riuscirono a catturare la sua attenzione. Riprovarono. E per maggiore precisione aggiunsero anche: lotterie, ospizi, festival, sali e tabacchi. Niente. n profeta pareva perso in un sogno. Insensibile alle cose di questo mondo. Con il pensiero che vagava nei meandri dell'infinito. Sembrava in trance, come in preda ad una visione. Poi a poco a poco prese a parlare: le parole uscivano stente, ma via via più comprensibili ed, in un certo senso, più terribili: "Abbiategrasso» diceva. -Oh, se avessi un nonno nato ad Abbiategrasso...». Nell'ascesi l'accento sembrava di attimo in attimo vieppiù nordico. Fino a che, in un rantolo finale, il miracolo si avverò e la prosa divenne musica: -Nui suma irpin, nui suma ìrpin. An pias al vin, an pias al vin...».

Persone citate: Fava Nuccio, Gucci, Mastella, Misasi, Nicolino Mancino, Nonno Pasquale, Pecorelli, Sanza

Luoghi citati: Abbiategrasso, Nusco, Sanza