Quel «Mondo» di Pannunzio di Pier Franco QuaglieniMario Pannunzio

Quel «Mondo» di Pannunzio Il 19 febbraio di quarant'anni fa il primo numero del giornale Quel «Mondo» di Pannunzio C'è troppo consenso, talvolta acritico, per un'esperienza che solo dieci anni fa fu quasi posta «all'indice» La stampa italiana—anche sotto lo stimolo della mostra torinese dedicata al «Mondo» — ha dato ampio risalto al quarantesimo anniversario dell'uscita del primo numero del giornale fondato il 19 febbraio 1949 da Mario Pannunzio. In molti articoli balza subito all'occhio il consenso — a volte persino acritico — nei confronti dell'esperienza pannunziana spesso aureolata da forme di retorica apologetica che avrebbero profondamente infastidito lo stesso Pannunzio, uomo schivo e lontano da ogni forma di adulazione. Dieci anni fa il «coro» intonò una musica ben diversa: parecchi misero in evidenza soprattutto gii errori, i limiti elitari e borghesi di Pannunzio, personaggio irrimediabilmente legato ad un passato ormai non più recuperabile. Altri si limitarono a studiati silenzi non privi di significato. Tra questi estremi — che si giustificano con il cambiato clima politico rispetto allo scorso decennio — non c'è stato finora un tentativo organico di storicizzazione dell'esperienza del «Mondo». Poche sono state le tesi di laurea dedicate al settimanale, pochi i libri seri scritti con l'intenzione di incominciare un'indagine più serena e distaccata. Un'eccezionale importanza per il futuro degli studi pannunziani ha assunto la pubblicazione, alla fine dell'87, degli «Indici» del settimanale che finalmente può consentire un lavoro di ricerca più agevole sulle annate del «Mondo». A questo riguardo è di grande significato anche l'impegno di Cesare De Mlchelis di raccogliere e pubblicare gli scritti di Pannunzio prima del «Mondo», da «Omnibus» a «Risorgimento liberale», che ci permetteranno di risalire alle radici culturali e giornalistiche di Pannunzio. Dal primo numero de «D Mondo», uscito in un'Italia spaccata a metà dallo scontro frontale tra comunisti e democristiani e dalla guerra fredda, il Paese è cambiato profondamente. Forse oggi ci sarebbero le condizioni storiche per tentare un giudizio più equilibrato di quell'esperienza. Molti scritti usciti in questi giorni non hanno invece aggiuntò nulla di nuovo, salvo contribuire ad erigere un monumento, inopportuno quanto inutile, a Pannunzio, come giustamente già lamentava tempo fa Nello Ajello. Appare anche abbastanza singolare il fatto che molti, troppi, dichiarino d'essere stati — magari ancora in fasce — lettori accaniti del «Mondo», se non addirittura di avervi collaborato. E' curioso, ad esempio, notare come nella biografia di un uomo politico appaia la qualifica di collaboratore de «H Mondo», quand'egli in effetti scrisse un solo articolo. Sarebbe interessante sapere cosa significhi questo «revival» pannunziano alimentato anche da chi è stato per molto tempo lontano dalle scelte culturali e politiche di Pannunzio. In una recente ed appassionata polemica sulla presunta crisi della cultura laica e della sua non dimostrata indifferenza verso la morale, nessuno ha, per altro, pensato di indicare come esempio di impegno etico laico quello rappresentato da Pannunzio, secondo cui la libertà non era certo disinvolta licenza, ma — come scrisse Luigi Barzini — «responsabilità dell'uomo di fronte alla propria coscienza prima ancora di essere legge scritta». In agendo, Pannunzio delineò la figura di un laico aperto, inquieto e problematico, ma legato ad alcuni princìpi Irrinunciabili di fronte ai quali egli non fu mai disposto a transigere, anche a costo di spezzare le amicizie più care. Il bilancio definitivo dei diciotto anni de «H Mondo» è ancora tutto da scrivere, ma ci sembra di poter dire che il giornale di Pannunzio sia ormai entrato — malgrado il silenzio ostinato dei manuali scolastici—nella storia delle riviste culturali più importanti. In questa storia in cui ritroviamo il «Caffè» dei Verri e il «Politecnico» di Cattaneo, la «Voce» di Prezzolali e le riviste gobettiane, per giungere al secondo «Politecnico» di Vittorini, il «Mondo» occupa uno degli ultimi posti in ordine di tempo, ma uno dei primi per il rigore morale ed intellettuale che lo caratterizzò e lo distinse. Nella storia del giornalismo il «Mondo» non ha invece lasciato eredi e continuatori: l'eleganza e lo stile tutto artigianale di Pannunzio si son dovuti arrendere rispetto al giornale inteso come prodotto di massa e come espressione dell'industria culturale. Al contrario, l'insegnamento di Arrigo Benedetti, fondatore dell'«Europeo» e dell'«Espresso», ha fatto scuola anche ai settimanali di oggi. Pier Franco Quaglieni Mario Pannunzio, laico aperto, inquieto c problematico

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