L'ospedale dei tesori incerottati

L'ospedale dei tesori incerottati COME SI TRASFORMA IL RESTAURO D'ARTE; NUOVI METODI, TRA SCIENZA E BOTTEGA L'ospedale dei tesori incerottati Era un mestiere misterioso, tramandato di padre in figlio - Ora il salvataggio di statue e dipinti coinvolge storici, scienziati, artisti - Visita all'Opificio delle Pietre Dure di Firenze - Prima, la cartella clinica delle opere malate: «Analisi chimiche, fisiche, radiografiche» - Poi, i delicatissimi interventi: «Sulle tinte decide più il restauratore che il computer» FIRENZE — Come si restaura oggi? n restauro è ancora quel mestiere misterioso, empirico, quasi impenetrabile, legato a leggi di bottega tramandate di padre in figlio? No. Quei tempi sono lontani. Da una ventina d'anni è passato alla scienza, anzi, nei casi migliori, è diventato una mescolanza intelligente tra scienza e bottega. Per conoscere i nuovi metodi basta passare qualche mattina nei laboratori e nei cantieri dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, uno dei due più importanti istituti di restauro, con quello Centrale di Roma, dipendente dal ministero per i Beni Culturali. Quasi tremila mq. di superficie, mimetizzati tra muri scrostati di un vecchio deposito militare, a qualche centinaio di metri dalla stazione di Santa Maria Novella, il laboratorio della Fortezza da Basso si occupa del restauro di dipinti, sculture lignee, affreschi e materiali cartacei, di consulenza e ricerca per Soprintendenze, Comuni, enti locali. Un vero e proprio ospedale: decine di opere, bendate e incerottate, una grande falegnameria, sale per rintelature e maquillage, uffici, magazzini, gabinetto fotografico. E soprattutto un attrezzato ed efficiente laboratorio per analisi fisiche e chimiche. Uno staff preparato: tre storici dell'arte, dieci tecnici (fisici, chimici, biologi), sessanta restauratori. Dice Marco Ciatti, uno dei tre storici dell'arte, responsabile del settore dipinti e sculture lignee: -Qui le opere prima si studiano, poi si curano. E' un sistema instauralo eia ima ventina d'anni, da quanto l'alluvione del '66, con i suoi gravissimi danni, ha obbligato gli esperti ad intervenire accanto ai restauratori. Da allora sono cambiate le metodologie: prima del restauro si analizza l'opera, il degrado, le tecniche ed i materiali-. Dal laboratorio sono uscite, risanate, opere famose come il Crocifisso di Cimabue, la Primavera di Botticelli, dipinti di Raffaello e, di recente, un trittico attribuito a Masaccio. Ma, quando arrivano, sono malconce. Come si procede nel caso de' dipinti su tela o legno, di cui vogliamo parlare? "Prima la diagnosi, con una serie di analisi fisiche e chimiche. Radiografie per ve¬ dere tutto ciò che c'è sotto il colore: dalle rotture del supporto alle infiltrazioni, sino ai pentimenti dell'artista. Poi analisi stratigrafiche al microscopio su piccoli frammenti di colore per individuare le ridipinture. E infine, studio della composizione chimica con sofisticati apparecchi del nostro laboratorio (spettrofotometri a infrarossi, cromatografi ionici, gascromatografi). Ogni opera, insomma, prima di cominciare il restauro, ha una sua nutrita cartella clinica». Quali sono i mail più comuni? 'Problemi di supporti e strati pittorici», continua Ciatti, fermandosi di fronte a una tavola appena restaurata del Maestro di Città di Castello. -Per esempio, nei dipinti toscani del Duecento e Trecento i problemi più gravi sono generalmente alle basi di legno, mentre colore e preparazione reggono bene, grazie all'alta qualità artigiana. In questo, il pittore aveva messo una tela protettiva tra legno e preparazione pittorica per impedire che, con i movimenti del legno, il colore si sfaldasse. Ma, più tardi, verso il Quattrocento e Cinquecento, la tecnica scade e incominciano i guai anche agli strati pittorici. Come neHTncoronazione della Vergine del Botticelli, in cui era difettosa la preparazione». L'alluvione E le cure? •Varie, secondo la gravità. Dal consolidamento del legno 0 della tela sino alla sostituzione nei casi disperati, una soluzione drastica, che non ci piace, ma necessaria quando 1 quadri arrivano ormai cadaveri, come quelli alluvionati, a decine nei depositi». La triste sorte toccherà'pro-' babilmente a un'Immacolata Concezione del Vasari, appoggiata contro un muro. E poi? •Fissaggio del colore e pulitura, una fase delicata, difficile, affidala soprattutto all'occhio del restauratore: è lui che, col mestiere e l'esperienza sull'artista, deve sapere dove arrivare, quali ridipinture togliere. Lo aiutano le analisi, confronti con altre opere dello stesso autore, lo storico dell'arte». Emblematico, in questo senso, un grande dipinto appoggiato su un tavolo: la Ma¬ donna del baldacchino di Raffaello, lasciato incompiuto dal pittore nel 1508, alla partenza per Roma. -Non è facile distinguere abrasioni, aggiunte in un dipinto non terminato. Ma la restauratrice sa leggerlo, millimetro per millimetro, come una pagina scritta. E, dopo la pulitura, il restauro pittorico». E' necessario o è meglio, come sostiene qualcuno, non intervenire e lasciare solo le parti originali? •La nostra filosofia è quella di ridare al quadro la maggiore potenzialità espressiva, rispettando esigenze estetiche e critiche. Cioè ridargli leggibilità, ma non falsarlo. Quindi interveniamo sulle lacune in modo reversibile con piccoli tratteggi, colorati o neutri ("selezioni" e "astrazioni cromatiche"). Devono creare armonia, ma essere ben riconoscibili». Chi decide sulle tinte: il computer o il restauratore? •Tutti e due, si confrontano. Ma soprattutto il secondo». E' possibile riportare un dipinto allo stato originario? •No, e non ha senso. Il tempo e gli uomini lasciano sempre tracce. Importante è riuscire a stabilire i rapporti cromatici originali». Alla fine della cura, il dipinto è guarito davvero? •Non per sempre. Gli abbiamo solo allungato la vita di qualche decennio. Gli facciamo cure preventive e controlli. Ma prima o poi ricadrà nel suo male. Nel frattempo si saranno trovati rimedi ancora migliori, chissà». Per gli affreschi, i problemi sono diversi? •Certo. Si tratta di altri materiali», spiega Cristina Danti, storica dell'arte nello stesso laboratorio, specializzata in quel settore e nella «climatologia» delle opere d'arte, impegnata adesso nei grossi cantieri del Ghirlandaio in Santa Maria Novella e del Vasari e Zuccari nel Duomo. •Ma la metodologia è simile, cioè strettamente scientifica. Cominciamo con un lungo esame visivo. Lungo: pensi ai 3300 mq. della cupola del Duomo. Poi facciamo campionature ben mirate e tutta una serie di analisi chimiche e stratigrafiche sulla pellicola pittorica, cioè su quell'ultimo velo d'intonaco su cui il pittore appoggia il colore: servono per conoscere tecnica di esecuzione e stato di conservazione. Ma il momento più importante è quello della termovisione a infrarossi, lo studio cioè delle temperature dei vari strati dall'intonaco al muro: permette di vedere tutto al di sotto della pittura, la composizione del muro. Vent'annifa non si faceva e spesso si sbagliava». Quali sono le maggiori cause del degrado oggi? »L'inquinamento. L'intonaco reagisce all'aria inquinata presente soprattutto nelle grandi città». Le colpe E gli effetti? •Cadute, arricciamenti di colore. La solfatazione». Ma la colpa è solo dell'inquinamento atmosferico o anche di interventi precedenti? •Di tutti e due. Stiamo pagando le conseguenze dei restauri dagli Anni Venti ai Settanta del nostro secolo: l'uso erralo e indiscriminato di materiali organici sintetici, le resine acriliche e viniliche. Prodotti che usiamo ancora oggi, ma in modo limitato». Con che cosa si ovvia adesso, per consolidare l'intonaco? "Con materiale minerale, lo stesso con cui sono fatti gli affreschi. Provochiamo cioè una serie di reazioni chimiche, che ricostituiscono l'intonaco. Un sistema escogitato vent'annifa e che dà ottimi risultati». Un esempio di procedura standard nel restauro degli affreschi? •Pieconsolidamento per fermare il colore. Pulitura con impacchi di carbonato d'ammonio e infine consolidamento con idrossido di bario. Per ultimo, meno importante, il restauro pittorico. A Santa Maria Novella, ad esempio, sulla parete destra già restaurata, non l'abbiamo ancorafatto». D momento più difficile? •Come nei dipinti, la puntura- bisogna saper distinguere la pittura originaria dalle ridipinture e dallo sporco. Non è una valutazione semplice, ma la scienza aiuta molto. Ci vuole cautelo e nel togliere per non tìl l'affresco ad un frammento». Qualche testimonianza curiosa, da non eliminare? •Nel cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella, un'integrazione settecentesca, del Veracini, in scene trecentesche: il campanile del Duomo finito che al tempo dell'esecuzione degli affreschi non c'era ancora. Un documento storico e di costume. Perché toglierlo?». Quali i guai degli affreschi cinquecenteschi della cupola del Duomo, di cui è appena iniziato il restauro? •1 danni più gravi sono nella pittura- a tempera dello Zuccari, dove la pellicola pittorica appare spesso completamente sollevata e accartocciata, pronta a cadere. Ma anche in quella del Vasari, specialmente nella parte più alta, dove ci sono state infiltrazioni d'acqua. Non mancano estese ridipinture, polvere, nerofumo. Il prolema grosso in questo caso è il consolidamento del colore. Stiamo studiando con le Soprintendenze ai beni artistici e architettonici le tecniche d'intervento quasi certamente diversificate nelle varie zone». Un caso drammatico? •Gli affreschi di Andrea del Sarto nel chiostro dello Scalzo. Staccati nel dopoguerra, rimontati su masonite e rimessi nell'ambiente umidissimo, si sono tutti imbarcati: li stiamo trasportando su vetroresina, operazione rischiosa, ma necessaria». Qualche novità? •Gli stucchi di Donatello, nella Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, che tra pochi giorni sarà presentata al pubblico restaurata. E' riemerso un Donatello inedito, che darà un nuovo volto al Rinascimento toscano. Non più grigio spento, ma dai toni accesi, caldi». E dal Ghirlandaio in Santa Maria Novella, che cosa viene fuori? •La grandissima e moderna bottega, che già si conosceva, n Ghirlandaio è l'ideat.ore del complesso, del disegno e del colore, esecutore di parti importanti, testi, ritratti. Ma molto è opera dei collaboratori, di cui conosciamo i nomi, ancora da identificare nell'affresco. Nella stessa scena, anzi, nella stessa figura, lavorano spesso più persone, con diverse tecniche, ma con esiti omogenei. Bellissime le decorazioni riprese dall'antico, che riaffiorano sotto strati dì nero, che l'ultimo restauro del '63, senza analisi, non è riuscito a togliere. Ottima la qualità della materia. Purtroppo la distruzione di questo ciclo è avvenuta nel nostro secolo: guardi nella foto Alinari Anni Trenta, erano ancora in buone condizioni». Maurizia Tazartes Sandro Botticelli: «L'incoronazione della Vergine» restaurata. Sarà presto presentata al pubblico

Luoghi citati: Città Di Castello, Firenze, Opificio, Roma