Sem delle beffe

Sem delle beffe «LA CENA» DI BENELLI HA 80 ANNI -Iti Firenze, a' tempi di Lorenzo il Magnifico», l'imbelle e pavido Giannetto Malespini ha tentato di sedurre la bella cortigiana Ginevra, ma il drudo di lei, il violento Neri Chiaramantesi, col fratello Gabriello, l'han posto a ludibrio, calandolo nell'Arno chiuso in un sacco, e tirandolo su traforato a pugnalate nel morbido, come fosse un cocomero... Eccovi l'antefatto della Cena delle beffe di Sem Benelli, il più grande successo della scena teatrale italiana nella stagione 1909, la bellezza di ottantanni fa. Lo evochiamo, perché di questo dramma in versi, spesso scadenti e goffi per la verità, Carmelo Bene ha realizzato una sua personale ricreazione, che è tutt'altra cosa dall'originale: ma forse per chi vi assisterà (lo spettacolo è da stasera all'Alfieri, a Torino) può esser utile saper qualcosa del remoto modello d'avvio. Concludiamo, intanto, la favola. Giannetto, acquisita dopo la tortura una sua inconsueta determinazione nella vendetta, attira il Neri in una rissa con alcuni giovinastri fiorentini e lo fa imprigionare come impazzito: intanto si giace, sotto le mentite spoglie di lui, con Ginevra. Neri si finge allora pazzo mansueto, riesce ad esser liberato, e s'apposta la notte seguente intorno al letto di Ginevra: ma chi vi si insinua, avvolto nel guarnacchino rosso di Giannetto e spintovi dalle parole di lui, è Gabriello. Neri uccide così il fratello e quando lo scopre, impazzisce davvero. * * Quando vide la luce, sulle assi del Teatro dell'Argentina, ad opera della Stabile Romana, la sera del 16 aprile 1909, Li cena riscosse un vero e proprio trionfo: e consacrò definitivamente il nome di Bertelli, che pure era già noto ai teatromani, dall'anno precedente almeno. Era Benelli un pratese di poco sopra la trentina (nato a rilettole, borgo di Prato, nell'agosto 1877), dagli studi non propriamente regolari, giornalista mondano e sportivo a Milano, dove per un paio d'anni aveva affiancato Marinetti alla guida di Poesia, rassegna intemazionale multilingue. Il suo primo vero successo l'aveva colto al Paganini di Genova, con un dramma in tre atti in prosa, Tignola, messo in scena nel 190H dalla compagnia Calabresi-Severi. E' un bell'esempio (ancor oggi) di teatro dell'inettitudine e della regressione a stadi di infantile atarassia: la storia di un commesso di libreria a Ro¬ ma, tal Giuliano Innocenti, colto e sensibile, che se ne vive imbozzolato, come la tarma del titolo, tra le copertine dei suoi libri amatissimi. Appena tenta di metter il capino fuori, nella gran tormenta del mondo, per amor d'una donna ardente e ambiziosa subito ricade, precocemente invecchiato, nell'ombra della sua polverosa solitudine: perché, come la tignola, la luce lo offende ed egli ha bisogno della propria "piccola esistenza celata, molle, flessibile soltanto nel tepore dei sogni»: d'una vita, in una parola, "da uomo senza passione». Anche Giannetto Malespini è un inetto: ma nella Cena Benelli innestava a sorpresa, in quella ignavia codarda, una certa smania sadomasochista a trovar vendetta comunque, a riscattare — magari all'estremo, magari a costo di lasciarci la pelle — la propria dignità per troppo tempo e da chiunque vilipesa: -Sono vile! ma sono anche inasprito I dal coraggio degli altri, dall'altrui I gaia fenda...». Il pubblico rimase molto colpito da questo misto di audacia e pusillanimità, «tifando» subito per Giannetto: come restò affascinato dall'ambientazione della vicenda, tra larghi stanzoni da basso, con vista su Ponte Vecchio ed Uffizi, e tepide alcove nelle strade del centro, tra via Tomabuoni e canto del Proconsolo. Erano i tempi in cui negli studi dei professionisti — gli avvocati, i notai — trionfava lo «stile Rinascimento» e per una parure di sedie alla Savonarola, ovviamente riscolpite nei loro larghi e spessi bracciali, si spendevano belle somme. Ma ciò che più turbò e conquistò gli spettatori fu l'erotismo morbido, la sensualità lievemente perversa del copione: soprattutto in una scena, quella del secondo atto tra Ginevra e Giannetto, in cui si discorreva dell'atto d'amore, dopo che era -tato consumato in termini — per allora — decisamente spregiudicati: • No;... subito non colsi.... cheparevami I delizia già moltissima il tepore I de' lini... la conchiglia dove stavi...-. Non a caso il successo personale della serata andò ad Edvige Reinach nel ruolo di Ginevra: una torinese, nata Guglielmetti, poi sposata al capocomico Enrico Reinach, che nonostante la non più tenerissima età (aveva già trentasei anni, e s'era esibita al meglio cinque anni prima nella Salame di Wilde), conservava tutto il suo malizioso fascino. Ma anche i due coprotagonisti piacquero: Neri era il trentottenne Amedeo Guantoni, figlio d'arte, di buona statura e di recitazione piuttosto impetuosa: anzi, a dar retta a un testimone, Alessandro Varaldo, d'un impeto addirittura «frenetico» (il ruolo lo giustificava, e un certo enfatico nervosismo nell'interpretazione era nel gusto dello spettatore medio del tempo). Quanto a Giannetto, era l'alessandrino trentaquattrenne Alfredo De Antoni. Si chiamava, per la verità, De Antonio, il padre lo aveva avviato a noiosi studi di ragioneria, lui se ne scappò dalla città natale per intrupparsi a Livorno in una modesta compagnia di giro. Ma aveva, evidentemente, talento se ne! 1905, nella compagnia TalliGramatica-Culabresi, alla prima della Figlia di Jorio, impegnato come Primo Mietitore nella celebre <• incanata», aveva saputo tanto bene esprimere la foia sotto la canicola da meritarsi dal Vate l'aggettivo di "formidabile»: e per uno come D'Annunzio, abituato a pesar le parole col bilancino, e soprattutto a badare alla loro pregnanza semantica, quella parola voleva dire, di sicuro, «così bravo da metter i brividi». Il successo della Cena a Roma si replicò di li a poco a Milano (Giovanni Pozza, critico teatrale del Corriere della Sera, rievocò in un animato elzeviro come Sem fosse stato accolto dall'entusiamo degli intendenti, dopo la prima, al Biffi Scala): e presto dilagò a trionfo internazionale: Sarah Bernhardt presentò il dramma a Parigi, ridotto da Jean Richepin; lo stesso fecero Ida Roland in Germania e John, Ethel e Lionel Barrymore negli Stati Uniti. Assai più tardi, nel 19-11, Alessandro Blasetti ne trasse il noto film, mentre Umberto Giordano sin dal 1926 lo aveva messo in musica su libretto dell'autore. Ma a quella data la stella di Benelli era definitivamente tramontata: nonostante avesse scritto molto, tentando varie vie e diverse forme di scrittura, era rimasto nella mente dei più legato al modulo della Cena, quello cioè del drammone storico-passionale di immediara comprensione e larga popolarità: ed aveva pur tentato di ripetersi su quel registro, almeno quanto a vistosi effettismi, ma senza più riuscirci. « La morte lo colse a Zoagli, nel dicembre di cinquant'anni fa. Di lui i giovani appassionati di teatro non conoscono nulla: eppure almeno Tignola vai la pena d'esser riletta. Guido Davico Bonino Sem delle beffe