Olocausto in Transilvania Budapest ha le mani legate di Guido Rampoldi

Olocausto in Transilvania Budapest ha le mani legate Olocausto in Transilvania Budapest ha le mani legate I due Paesi vicini alla rottura sulla «questione magiara» - L'Onu, ultima risorsa di Grosz DAL NOSTRO INVIATO BUDAPEST — Come va in Transilvania, Laszlo Albrecht? 'Male, malissimo, sempre peggio. Ceausescu ha fallo demolire due paesi nei pressi di Bucarest, ormai gli ungheresi sono soltanto nei villaggi. Ma per quanto ancora?-. Col suo sorriso imbarazzato e doloroso il presidente della Commissione interministeriale per la Transilvania sembra la raffigurazione vivente dello stato di frustrazione nel quale il suo governo è costretto ad assistere al dramma degli ungheresi in Romania, perseguitati da un regime che intende sradicare due milioni di persone dalla loro terra e dalla loro cultura, per ammassarli negli slums delle città e romenizzarli. Ceausescu ha scatenato il terrore in Transilvania, vietato nuove costruzioni nei villaggi, ventilato — anche con qualche esempio concreto — l'applicazione di un progetto paranoico per la distruzione di 14 mila centri abitati. E nulla sembra in grado di fermarlo, come l'Ungheria ha dovuto constatare in questi mesi. n segretario del partito ungherese, Grosz, prima ha autorizzato la più grande manifestazione popolare degli ultimi anni, a Budapest il 27 giugno: e immediatamente il governo romeno ha chiuso il consolato di Cluy, l'unico scudo per gli ungheresi in Transilvania. Quindi ha chiesto e ottenuto un incontro con il pascià rosso di Bucarest. Con quali risultati, signor Albrecht? 'Nulla. Ceausescu ha fatto pochissime promesse, e neppure quelle ha mantenuto. L'autorizzazione ad una delegazione ungherese per visitare la Transilvania: stiamo ancora aspettando l'invito. Lo sviluppo di rapporti culturali (tra ungheresi "separati"): niente. La riunificazione delle famiglie: mollo poco". Infine, quest'inverno, Budapest ha sollevato il problema davanti alle Nazioni Unite e nei fori internazionali, investiti del primo scontro interno al campo socialista. Ma insieme alla solidarietà di Bonn e Vienna, il governo ungherese ha dovuto registrare il disagio dei Paesi «fratelli». In conseguenza del trattato del Trianon, che nel 1920 privò l'Ungheria di due terzi del suo territorio, forti minoranze ungheresi vivono in Cecoslovacchia e in Jugoslavia. Se Praga e Belgrado temono la crescita di un nazionalismo magiaro, Mosca ha paura dell'irredentismo romeno in Bessarabia e in Moldavia, province sovietiche «russificate» nel più classico stile zarista. Dunque? 'Continueremo a batterci sulla scena internazionale. E aspetteremo, l'ultimo stalinismo d'Europa non può essere eterno. Che altro possiamo fare?». Ma aspettando che si dissolva l'anacronismo di Bucarest — con il giornale del partito che «apre» la prima pagina con l'annuncio che Ceausescu e signora sono partiti per un viaggio-lampo e titola accanto sul ritorno in patria dell'augusta coppia — il regime ungherese consegna all'opposizione un'arma formidabile. Nes- Il Paese è bloccato dalla protesta albanese contro «le mire egemonistiche della Serbia» ■ Nata la Solidarnosc magiara BUDAPEST — Cinquecento persone hanno fondato ieri a Budapest il primo sindacato indipendente del Paese sul modello di Solidarnosc, «Solidarietà operaia». Un partecipante alla riunione di ieri, svoltasi in un teatro della capitale, ha dichiarato che dopo 40 anni di regime socialista perdurano nel Paese lo sfruttamento, l'inflazione e la disoccupazione. Un altro ha affermato che anche la classe operaia deve poter partecipare al governo, mentre finora il partito comunista ha gestito il potere in modo autocratico. (Ansa) sun altro tema come la persecuzione dei connazionali in Romania sembra toccare le corde più sensibili dell'emotività di un popolo che non ha assorbito ancora il «trauma del Trianon», con la patria umiliata e smembrata, ma che soprattutto ha un'esperienza diretta e frequente di ciò che avviene in Transilvania, poiché dei 10 milioni di ungheresi quasi tutti hanno un parente alla lontana oltre confine. 'Grosz si è dimostrato molto meno cauto di Kadar», già sentenzia in un saggio recente George Schopflin, della London School of Economics. Nel trentennio kadarista, infatti, la Transilvania è stata rimossa dall'agenda politica ungherese. Ma anche in quell'era muta il regime ha assecondato un certo spiri- to nazionale, per esempio lasciando spazio a polemiche cifrate sulla storia della Transilvania. Perché ci sono due Transilvanie. Quella romena viene costituita dai daci, che assorbono la lingua e la civiltà romana, ma sono poi costretti a ritirarsi in luoghi impervi dalle invasioni delle tribù barbare, il cui discendente — la Nazione ungherese — occupa per secoli la regione, ne è scacciato dal trattato del Trianon, torna grazie ai nazifascisti e finalmente è risospinto al di fuori. Simmetrica ma opposta nell'assegnare i ruoli del Barbaro e della Civiltà, la versione ungherese. Con la sostanziale estromissione di Kadar, nel maggio scorso, e la stampa sempre più libera, la questione Transilvania è letteralmente esplosa sulle prime pagine e nel dibattito politico, creando un effetto a catena, incontrollabile, che assomiglia ad un'improvvisa, appassionante, entusiastica riscoperta della storia e dell'«identità storica» ungherese. In questi mesi di fiorire di associazioni e partiti, che cosa offre il mercato in fatto di distintivi e decalcomanie politiche? Offre il profilo del re Mattia Corvino, il condottiero dell'invitta Armata Nera; lo stemma tradizionale ungherese, poi deformato da una stilizzazione sovietizzante; e un perentorio stop alle ruspe di Ceausescu. : Poiché in questo fiumfr di emozioni collettive non c'è solo l'idea di un'emancipazione dell'Ungheria dal blocco orientale e un suo ritorno nel contesto storico dell'Europa, ma vi sono anche nostalgie regressive e il nucleo di un nazionalismo pericoloso, l'opposizione si muove con circospezione. Con più impeto del Fo¬ rum democratico, non per nulla il movimento più popolare, la Lega dei liberi democratici, sceglie la prospettiva dei diritti civili e solleva una polemica sul comportamento delle guardie di frontiera ungheresi. Dei 13 mila profughi che sono riusciti ad attraversare in questi mesi il chilometro di terra desertificata al confine (settemila clandestinamente), 1500 sono stati riconsegnati ai bastoni della Securitate romena. Chi erano? Secondo un dossier della Lega, anche oppositori di Ceausescu, appartenenti a Romania Libera, e ungheresi che dopo il rimpatrio avevano cercato di raggiungere l'Austria. L'opposizione è cauta, ma non ha paura. H partito e incauto, ma teme. Quando può, frena: botte su un corteo giovanile per la Transilvania, in novembre; e una manovra che ha suscitato un vespaio per impedire al Parlamento un dibattito in seduta pubblica sullo stesso tema. Quando non può frenare, rincorre. Promette che lo stemma nazionale tornerà quello di prima, e anche la dizione, «Repubblica Ungherese» senza l'aggettivo «popolare». Prima reprime una manifestazione che chiedeva di ripristinare la festa nazionale del 15 marzo, anniversario della rivolta anti-asburgica del 1848, soppressa 40 anni fa in nome dell'internazionalismo comunista; poi la ripristina di sua iniziativa. Ma finisce per spiazzarsi da solo. H15 marzo l'opposizione intende presentarsi nelle piazze, con un corteo distinto da quello della gioventù comunista. Per la prima volta diventerebbe visibile l'altra Ungheria. Che sfilando nel ricordo di una grande rivolta per la libertà e i diritti civili si proporrebbe come l'unica e legittima espressione di una continuità storica democratica. Ad alcuni intellettuali d'opposizione resta un dubbio: c'era premeditazione? Davvero Grosz ha iscritto di nuovo la Transilvania nell'agenda politica per cavalcare il nazionalismo e recuperare consensi nella società? Improbabile. Ma se è così, è stato un terribile autogol. Guido Rampoldi