Scienza contestata

Scienza contestata Scienza contestata In una busta intestata al Dipartimento di Fisica dell'Università di Firenze mi giunge un fascicolo della rivista Sapere del novembre 1988. Ignoro il nome dell'anonimo mittente, ma lo ringrazio caldamente perché il piatto forte di quel fascicolo mi sarebbe sfuggito. E sarebbe stato un grave peccato, perché e così nutriente e ricco di vitamine intellettuali che nessuno dovrebbe perderlo. Il fascicolo contiene la traduzione italiana parziale di uno scritto di tali fisici T. Theocharis e M. Psimopoulos dell'Imperiai College di Londra apparso tempo fa su Nature. Gli autori si propongono di provare che la cultura scientifica è minacciata dalla banda dei quattro — i ben noti ricercati da tutte le polizie del globo Popper, Lakatos, Kuhn e Feyerabend — la quale rappresenta «la causa più fondamentale, e tuttavia meno riconosciuta, dell'attuale stato della scienza, non solo in Gran Bretagna ma in tutto il mondo». Fra le altre cose, questa banda è arrivata (niente meno) a sostenere che le teorie scientifiche non sono «vere e perenni» ma «temporanee e contingenti». Una bella pretesa, non c'è che dire, la quale però non basterebbe da sola a giustificare la pena di morte ai quattro scassinatori se il loro atto criminale non avesse conseguenze pratiche. Le quali sono «un efficace movimento antiscientifico», la «riduzione dei finanziamenti per la ricerca», «un'allarmante crescita del fondamentalismo religioso», «anarchia e disordine sul piano sociale, politico e d'ogni altro genere». Insomma «la posta in gioco è il futuro progresso della nostra civiltà». * * Tante stupidaggini in così poche righe è raro vederle, anche da parte di fisici che si improvvisano filosofi e sociologi. «Esistono passi logici che portano dalle antitesi [dei quattro citati] alla inevitabile conclusione che il finanziamento della scienza dovrebbe essere ridotto». Davvero, quali passi logici? La Thatcher avrebbe ridotto i finanziamenti alla scienza dopo aver letto Contro il meloi/o di Feyerabend? Meno male che il nostro Ruberti, che invece i finanziamenti li ha aumentati, sembra essere uomo di scarse letture epistemologiche. «Sembra ci siano indizi a far pensare che essi [i soliti quattro] stiano attualmente danneggiando il progresso scientifico». Davvero, quali indizi? Se non si riesce a trovare un buon accordo fra la teoria della relatività, la teoria dei quanti e qualche altra cosetta, ciascuna ritenuta vera o prossima al vero, è colpa di Kuhn? Nature, se voleva davvero fare un servizio serio ai suoi lettori e affrontare un argomento delicato e complesso come quello della disaffezione della gente per la scienza, avrebbe fatto meglio a chiedersi se anche gli stessi scienziati non hanno qualche colpa. A chiedersi, ad esempio, se essi non hanno coltivato l'immagine arcadica di una scienza che progredisce continuamente fino a esaurire un giorno i segreti della natura; se, come ancora fanno i nostri due eroi, non continuano a scrivere che «la sola definizione sensata di verità si ricava attraverso l'obiettività di osservazioni libere dalla teoria e trascendenti il contesto», sì che ogni altra verità (ad esempio, religiosa) è necessariamente un non senso; se, renitenti ad imparare dalla storia del proprio mestiere, non continuano ancora ad inseguire il sogno dell'equazione dell'universo, la chiave del mondo. E ancora a chiedersi se non hanno indotto la gente a credere nelle «magnifiche sorti e progressive» del genere umano grazie allo sviluppo della scienza e della tecnica; se non hanno pensato e so stenuto che la scienza è il miglior rimedio di tutti i mali compresi quelli derivanti da una sua applicazione incon trollata; se alcuni di essi non continuano a sostenere che tutto è materia, e in partico lare che l'uomo è solo l'ulti mo modello di un computer, sì che ogni sua funzione psichica, intellettuale, emotiva, morale, è riducibile ad un'organizzazione di atomi fisici; se, sborniati da tanti successi in tanti campi, non si son messi a sputar sentenze su cose su cui sono massimamente incompetenti, come l'anima, Dio, la felicità, la procreazione; se non hanno promesso cure mirabolanti per ogni malanno umano e naturale salvo poi ad ammettere impotenza e limiti di fronte all'inquinamento, al degrado alle scorie, ai virus. Come allora meravigliarsi se nel volgere di poco tempo un acritico scientismo si è trasformato in antiscientismo e fideismo? Lungi dal criticare la banda dei quattro, dovremmo invece essere loro grati. Perché hanno smontato il giocattolo infantile di una scienza fatta di teorie «vere e perenni»; perché ci hanno fatto capire meglio come funziona; perché ci hanno avvertito che se non funziona nel modo un tempo creduto, ciò non significa che non funziona affatto; e perché a intenderli bene, ci offrono i mezzi migliori per collocarla nella giusta posizione, che non è né quella dell'altare né quella del secchio della spazzatura. Ma non è tutto. Se alla religione scientista di ieri molta gente ha fatto seguire l'abiura di oggi, ci sono anchealtre responsabiltà. Nature, che è una rivista di produzione scientifica, non ha l'obbligo forse di andarle a cercare; ma Sapere, che è una rivista di divulgazione scientifica, quest'obbligo dovrebbe sentirlo. Come è fatta la divulgazione scientifica? I nostri divulgatori prendono tutto per oro colato o mostrano spirito critico? Le rubriche scientifiche dei giornali e della televisione sono repertori di dispositivi di sentenze o contengono anche le premesse? La scienza non è una, ufficiale, ma è piena di contrasti e opinioni diverse. Ora, è buona norma deontologica che i politici in televisione debbano essere messi a confronto; ma s'è mai visto un dibattito televisivo tra un critico della meccanica quantistica e un ortodosso? tra un sostenitore del big bang e un suo avversario? tra un biologo riduzionista e un dualista? tra un agopunturista cinese e un medico occidenta¬ le? E allora: se ogni giorno giornali e televisione ci dicono che la scienza «sa», «prova», «dimostra» questo e quello; se poi la gente si fa un'aspettativa e si costruisce un'immagine falsa della scienza; se infine questa aspettativa e immagine vanno deluse e nasce la reazione contraria, di chi è la colpa? Di Karl Popper? Invece di cogliere al volo questa occasione, Sapere prende sul serio le accuse alla banda del buco e le trasmette a quattro illustri personaggi. Tre dicono cose sennate anche se talvolta discutibili. Paolo Rossi pensa che la critica dei due fisici abbia «un carattere prevalentemente corporativo»; Giuliano Toraldo di Francia ritiene che l'immagine della scienza si è deteriorata anche «per diversi errori da imputare alla comunità scientifica»; Vittorio Somenzi invita i fisici a prendersi una seconda laurea, «in filosofia, naturalmente». Il quarto è Enrico Bellone. * * Noto soprattutto per i suoi studi di psicoai.alisi (dedicò anni fa un libro ai sogni di Galileo), Bellone, che si autocommiscra come «iscritto al partito comunista», se la prende con l'Unità e Critica Marxista rei di ospitare articoli su Aristotele e Heidegger. La sua tesi principale è che «in Italia tutto (sic!) il nostro secolo è stato percorso da una considerazione filosofica e letteraria secondo la quale la scienza è nemica dell'uomo»; che l'Italia «sta diventando khomeinista» perché «accomuna a una scuola nazionale di tipo pregalileiano (sic!) la presunzione di alcuni gruppi di potere (sic, sic!) di poter governare gli sviluppi scic tifici con degli slogan» (sic, a.., hurrà!); e infine spara la meglio: che «l'idea della non obiettività e non verità dell'impresa scientifica è stata costruita nella cultura europea come fondamento delle politiche di destra. Il riferimento a Hitler non è casuale». Capite, ragazzi, se non si studia al liceo come si finisce? Povero Popper, l'autore della Società aperta messo a tirare la volata al Mein Kampf. Peccato. Perché un argomento tanto serio meritava di meglio delle forze della reazione in agguato evocate da un «iscritto a! partito comunista» in ritardo con i bollini del nuovo corso. Marcello Pera

Luoghi citati: Gran Bretagna, Italia, Londra