De Mita segna a tempo scaduto di Marcello Sorgi

La nuova dc ascolta, applaude ma tira dritto per la sua strada La nuova dc ascolta, applaude ma tira dritto per la sua strada ROMA — All'una e un quarto, mentre il Palaeur esplode nell'ultima ovazione al leader che se ne va, Paolo Cirino Pomicino, il ministro andreottiano che ha guidato l'assalto alla Bastiglia della segreteria de, si fa largo tra la folla, sgomita, spinge e raggiunge De Mita alla tribuna. 'Ciriaco, hai fatto un bel discorso — gli grida appeso alle spalle delle guardie del corpo —. Afa ricordati: nella de l'unico che può tirare calci di rigore sono io!'. L'applausometro è arrivato alle stelle, i record sono caduti uno dopo l'altro, e Ciriaco De Mita, sopraffatto, affannato, stretto da una folla che rischia di buttare giù la balconata della nomenklatura, cerca solo di godersi il suo trionfo finale. A sinistra, nella tribuna dei vip, la figlia Antonia batte le mani sul tavolo al ritmo della tifoseria. Dalle gote della signora Annamaria scende una lacrima di commozione. La squadra demitiana sparsa per la tribuna tenta invano di raccogliersi attorno al leader. E d'improvviso, sembra quasi che non sia cambiato niente, sembra la scena vista già altre volte alla fine dei congressi de. Ma dura un attimo: perché il 'Calcio di rigore-, anzi il calcio allo stomaco della vecchia de è giunto fuori tempo massi¬ mo, quando il campionato congressuale era già deciso. A quel punto, poteva anche andare in porta, tanto non contava. Guido Bodrato, il vicesegretario dell'area Zac, che s'è spellato le mani ad applaudire De Mita, ha detto che il suo discorso -gli ha evitato l'umiliazione che il congresso voleva infliggerli e ha impedito che la sinistra si dividesse*. Mastella, il braccio destro del segretario uscente, lo ha acclamato come 'una risposta a guanti ci intimano il trasloco e immaginano uìia de senza De Mita'. Eppure, fino all'ultimo, la squadra era stata impegnata nella ricerca di una 'mediazione- che togliesse di mezzo il rischio di una conclusione pesante per De Mita. Lo spettro era quello dell'84, quando lo scontro, al momento della replica, fra il leader e il segretario della Cisl Marini aveva dimezzato la vittoria. Stavolta le conseguenze di un -incidente' sarebbero state insopportabili: così, i demitiani si erano divisi i compiti. Gargani, il capo uscente della segreteria, curvo fino a tarda sera a concordare una mozione «dignitosa', con un riconoscimento politico di tutto il congresso al nuovo ruolo del leader come presidente del Consiglio nazionale de. Mastella, il sogna¬ tore del gruppo, impegnato a contrattare un risultato impossibile, l'elezione diretta del presidente in congresso. Mancino, il vecchio amico di gioventù, inviato a casa di De Mita con un messaggio 'personale». 'Tutti noi abbiamo una sola raccomandazione da farti — gli ha detto martedì sera, salutandolo alla vigilia della giornata finale —; Ciriaco, prudema». 'Stai tranquillo Nicola, il mio, non sarà un addio — gli ha risposto De Mita —, voglio solo spiegare il passato per quel che è stato e il futuro per le difficoltà che ci aspettano. E poi, ho già pensato a un argomento forte: per convincerli, parlerò di mio nonno!'. Mancino è tornato a casa pensieroso, mentre la «staffetta» Pastorelli, il prefetto compagno di gioco a carte, s'affacciava a prendere accordi per il viaggio finale verso il congresso. E ieri mattina, pur caricata dal grande appuntamento, la squadra era nervosa, impaziente, diffidente sull'accoglienza preparata al loro capo. Come in una regia studiata attentamente, ciascuno aveva preso posto ai margini della tribuna: solo Gargani era rimasto accanto ai notabili. Sangiorgi, il capo della segreteria di Piazza del Gesù, era in ultima fila, tor¬ nato al suo vecchio lavoro di resocontista dei discorsi. Mastella, in posizione strategica, guidava con piccoli gesti delle mani la clacque avellinese sugli spalti. Pastorelli e Agnes, il direttore generale della Rai, stavano in disparte. Giuseppe, il figlio di De Mita, ha reagito con un gesto di stizza a un cronista che cercava di intervistarlo. La lezione del nonno, per De Mita, è stata solo un punto di partenza. Il consiglio di quel vecchio artigiano di Nusco che sentendo parlare della campagna d'Abissinia diceva al nipote, «con la guerra si perde, con la pace si guadagna', sembrava ritagliato apposta per un congresso in cui De Mita la sua guerra coi capicorrente l'ha persa prima dì combatterla. Certo, a saperlo, quei consigli si poteva pure accettarli: i 'vicini che protestano', come diceva il nonno, 'bisogna aiutarli ad avere ragione'. Ma alla fine, ha chiesto in sostanza il segretario uscente, chi vince e chi perde per davvero? Si è risolto tutto -in uno scontro sportivo', senza vero confronto, fra 'grida di ole quasi fossimo in un'arena'. Si è discusso come in uno stadio, forse perfino negli spogliatoi: e la squadra che teme di prendere gol dagli avversari è apparsa 'senza portiere». S'è accennato alla solita 'Conventio ad excludendum», la pregiudiziale nei confronti del pei, mentre una cosa del genere avveniva 'dentro il partito» nei confronti del segretario. Si sono erette 'barricate», alzate in fretta e furia senza badare tanto alle «cose pregevoli», e sprecate, che ci si mettevano su. S'è stabilito che le idee ai ciascuno per vincere hanno bisogno di •quantità di voti», senza capire che le stesse «quantità», se non hanno idee non possono affermarsi. S'è fatta perfino confusione sul modo «laico- di impegnarsi in politica dei cattolici democristiani: come se ancora si potessero chiedere voti ai credenti in quanto tali e non per l'impegno civile di chi rappresenta certi valori in politica. E alla fine, ha detto in contropiede De Mita, mi si chiede «tolleranza' per dirmi che devo «cambiare posizione': io non ci sto. La de, ha concluso, è matura per capire che se torna all'antico ha tutto da perdere: «La tirannide ci sarà anche stala, ma siamo cresciuti'. Adesso, se si vuole, si è liberi di tornare a dividersi, di fingere divergenze fra «rigoristi e antirigoristi», di promettere sostegno al governo senza «assicurarne le condizioni». Ma illudersi che ciò possa ripetersi, come vent'anni fa, senza conseguenze, questo non si può. Gli avversari sono pronti a fare la loro squadra, a segnare altri gol, se possibile anche ad arrivare all'alternativa, facendo a meno di tutti noi. Un discorso del genere certo era pensato per scuotere il partito in vista del traguardo. Invece no. I democristiani lo hanno ascoltato in silenzio, pazientemente, poi uno dopo l'altro hanno fatto i complimenti a De Mita, congedandolo. Forlani s'è subito preoccupato di dire ch'era d'accordo, che le sue opinioni e quelle del suo predecessore erano in qualche modo complementari e lui era il primo a sostenere che è opportuno avere «rapporti dì buon vicinato». Scotti ha abbracciato il leader uscente. Gava se n'è andato prima che finisse, non s'è capito se per un impegno impellente o per qualche ragione di risentimento. Andreotti non c'era. La platea ha applaudito per mezz'ora. Pomicino, alle ultime battute, s'è girato verso Mino Martinazzoli: «Però, però, sta migliorando, e io, come neurologo, sono contento». Martinazzoli, gelato dalla battuta, ha riflettuto per un attimo, poi ha replicato: •Caro Paolo, tu sei come Custer. Per te un indiano è buono solo quando è morto.'-. Marcello Sorgi

Luoghi citati: Abissinia, Nusco