Riservisti contro Shamir «Basta, viva l'lntifada»

Riservisti contro Shamir «Basta, viva l'Intifada» Riservisti contro Shamir «Basta, viva l'Intifada» NOSTRO SERVIZIO TEL AVIV — Cinque giovani riservisti dell'esercito israeliano sono stati areestati per avere scritto sui muri di Beer Sheva slogan inneggianti alla rivolta palestinese e all'obiezione di coscienza nei Territori. Sono tutti ventenni e lavorano nel kibbutz di Kramim. Il giudice li ha messi in libertà provvisoria obbligandoli però, in attesa del processo, a cancellare le scritte. E' solo un episodio, ma sintomatico: di giorno in giorno cresce il numero degli israeliani che trovano arduo identificarsi nello •■Tsahal», l'esercito un tempo mitico, più volte vittorioso su coalizioni di eserciti arabi e da quindici mesi impegnato in una lotta senza gloria e senza quartiere contro massaie e bambini palestinesi della Cisgiordania e di Gaza. Lo stillicidio degli orrori quotidiani della rivolta e della sua repressione da un lato intacca alla base l'innato orgoglio degli israeliani verso l'apparato militare che per quarant'anni ha saputo efficientemente garantire la sopravvivenza dello Stato; dall'altro crea le condizioni perché si verifichino fenomeni che prima dell'Intifada sarebbero stati considerati pura eresia. Accade così che a sinistra si allarghi l'area di chi giustifica l'obiezione di coscienza al servizio nei territori occupati e che d'altra parte coloni ebrei, senza un'ideologia definita, accusino «Tsahal» di «vigliaccheria» e lo sfidino intraprendendo spedizioni punitive contro i villaggi arabi vicini. Nata nel 1982 con l'invasione del Libano, l'obiezione di coscienza è rimasta negli anni successivi un fenomeno politico marginale. Nei tre anni dell'operazione «Pace in Galilea- 160 soldati furono processati per essersi rifiutati di servire in Libano, ma le posizioni del loro movimento «Yesh Gvul» (C'è un limite) non trovarono consensi nella sinistra moderata. Quest'ultima sosteneva che la lealtà verso le istituzioni democratiche doveva avere comunque la priorità sulle critiche alla politica del governo, per quanto detestabile fosse. Con lo scoppio dell'Intifada, nel dicembre 1987. ù dibattito sui «limiti dell'obbedienza- è ripreso con nuova foga. Trecentocinquanta soldati e ufficiali della Riserva hanno subito sottoscritto una petizione in cui preannunciavano che non intendevano prendere parte alla repressione della rivolta popolare e 60 sono stati in questi mesi condannati a brevi pene di detenzione. ■ Dobbiamo por fine allo spargimento di sangue re- ciproco e incitare i nostri soldati a rifiutarsi di prendere parte a questa guerra folle e già perduta- ha scritto di recente Dov Yrmiah, un alto ufficiale della Riserva. La prima legittimazione della sinistra moderata a questi concetti è giunta, la settimana scorsa, dalla signora Shulamit Alloni, l'avvocato leader del Movimento per i diritti civili (cinque seggi in Parlamento): -Non condivido il loro metodo politico — ha detto — ma apprezzo gli obiettori e li giudico persone coraggiose e magnanime-. Gli osservatori ritengono che si sia aperta una breccia. Nel frattempo, in un teso colloquio, alcuni alti ufficiali della Riserva (molti dei quali di sinistra) hanno ammonito il generale Amram Mizna, comandante della Regione militare centrale, che gli ordini ricevuti sono 'irreali e irrealizzabili. I nostri soldati non se la sentono più di picchiare giovani che hanno l'età dei loro figli e preferiscono lasciare i manganelli nell'accampamento-. Alcuni dei presenti si sono lamentati che nei territori l'esercito è preso in una morsa 'fra le manifestazioni palestinesi e le violente reazioni dei coloni-. Il ripetersi di attacchi contro i veicoli israeliani in transito sulle strade della Cisgiordania (500 casi nel solo mese di gennaio) ha fatto sì che tra molti coloni ebrei si sia diffusa la sensazione di n_>n essere difesi dall'esercito e di essere alla mercè dei rivoltosi palestinesi. Moshe Zipper, un abitante di Ariel (il principale insediamerto ebraico della zona) ha accusato Tsahal di pavidità: - Un alto ufficiale ci ha confessato di recente che l'esercito non preme fino in fondo sulla popolazione palestinese nel timore che reagisca con armi da fuoco-. Ad Ariel e nei vicini insediamenti i coloni hanno quindi organizzato in queste settimane «comitati d'azione» incaricati di reagire con la forza a ogni attacco contro i loro veicoli. L'inizio della nuova situazione è stato forse marcato dalla spedizione punitiva nel villaggio arabo di Azun, dieci giorni fa, poco dopo il ferimento di un piccolo ebreo, colpito da una pietra. Per alcune ore 300 coloni hanno compiuto atti di vandalismo su veicoli in sosta e infissi, dato fuoco a pneumatici e tentato di assaltare alcune abitazioni. Poi hanno eretto barricate per impedire l'ingresso dell'esercito. Alcuni deputati di sinistra ritengono che le rappresaglie dei coloni non siano spontanee ma premeditate. a.b.

Persone citate: Amram Mizna, Beer, Moshe Zipper, Shamir, Shulamit Alloni

Luoghi citati: Cisgiordania, Gaza, Libano, Tel Aviv