Arriva il Chunnel gigante invasore

Tornano i fotoreporter e hanno nomi sovietici IL TERREMOTO IN ARMENIA E LA RITIRATA DALL'AFGHANISTAN HANNO FATTO SCOPRIRE GRANDI FOTOGRAFI GIORNALISTI DELL'URSS Tornano i fotoreporter e hanno nomi sovietici Noi lettori di giornali del mondo occidentale, a Milano, a Roma, Parigi, Londra, New York, e prima di noi gli editori dei giornali, e prima di loro gli agenti fotografici, abbiamo scopaio una scuola sovietica di fotografi di attualità. E' accaduto molto semplicemente quando negli ultimi due mesi, sfogliando i nostri quotidiani e settimanali, ci siamo fermati sulle pagine dedicate al terremoto in Armenia o alla ritirata dall'Afghanistan. Ci siamo accorti che alcune immagini hanno un vigore che va al dì là della funzione informativa: possiedono la forza evocativa della grande fotografia giornalistica, quando lo scatto dell'otturatore cattura non soltanto una persona, un avvenimento, un paesaggio, ma quella combinazione di effetti e contrasti che trasforma una fotografìa d'attualità nella rappresentazione di un sentimento collettivo. Improvvisamente, da un passato romantico e turbinoso, che sembrava sepolto sotto lo strapotere della visione televisiva, da questo passato custodito nella biografia di Margaret Bourke-White o archiviato nei cataloghi di Henri Cartier Bresson, è tornato dunque, con nomi sovietici, il fotoreporter che vuole essere un testimone del suo tempo. • Si chiama, per esempio, Igor Gavrilov, che lavora per la Novosti, agenzia giornalistica di Stato in Urss. Sue fotografie sul terremoto in Armenia sono state pubblicate \ su Time e L'Express. Si vedono due donne anziane sullo sfondo delle rovine; una singhiozza siti petto dell'altra, che appare ingigantita dal grandangolo e guarda davanti a sé con gli occhi di chi ha visto secoli di tragedie. Oppure ecco Victor Oritsynk, il primo fotografo sovietico che pubblica un servizio di attualità su Life (febbraio, cinque pagine sul dopo Armenia). Per Grazia Neri, che dirige la più conosciuta agenzia fotografica italiana, sono immagini molto belle, in cui il senso della composizione è il veicolo di un messaggio pulito. Lo stile ricorda il gusto formale del grande cinema realista sovietico. In una fotografia dall'Af' ghanistan, pubblicata anche su La Stampa, una vecchia contadina si appoggia timidamente a un giovane soldato decorato che ritoma a casa dal fronte. Nella sua semplicità, l'immagine comunica un senso di spossatezza, un bisogno di pace. Firmata da Kur- banbeyev & Khodjayev, questa fotografìa e slata giudicata, da una giuria intemazionale, la più bella fra quante distribuite nel 1988 dalla Tass. In una fotografia dall'Armenia, scattata da Boris Yur- cenko e distribuita dall'Associated Press, si vede soltanto un uomo in mezzo a una strada, chino per lo sforzo di trasportare sulla schiena una bara. Dietro di lui passa un pullman. Lo sguardo acceso di stanchezza dell'uomo, la barba lunga, le ginocchia piegate, quella bara in bilico esprimono una ■ desolazione che va oltre la tragedia del terremoto. Come è stato scritto per Cartier Bresson, fotografìe come questa «mostrano l'irrealtà del reale». L'epoca d'oro della fotografia sovietica è situata, come tutta la cultura e l'arte sovietica, all'indomani della rivoluzione: bisogna risalire ad Aleksandr Rodcenko e alla sua scuola futuristico realista. Gli studiosi spiegano che quella scuola esercitò un'influenza sia sulla fotografia italiana di regime camuffata da futurista sia sui fotografi americani che si tuffano nel radicalismo rooseveltiano. Quando Margaret BourkeWiite visita per la prima vol¬ ta l'Urss, negli Anni 30, sulla giovane fotografìa sovietica di attualità, come siti resto della vita culturale, è già scesa la cappa dello stalinismo. Censura, burocrazia, cattiva qualità dei giornali illustratila fotografìa sovietica restò così isolata da legittimare il sospetto che non esistesse. Oppure si raggelava nelle soluzioni formali più estetizzanti. Cosi oggi, con la liberalizzazione gortiicioviana, si apre un mondo. Tricia Dìff dell'agenzia Network di Londra: «La fotografia sovietica ha registrato un sensibile miglioramento di qualità. Oggi i fotografi godono di due situazioni privilegiate, un tempo negate: possono acquistare all'estero macchine, pellicole, materiali, elevan¬ do notevolmente la qualità tecnica del loro lavoro; e possono muoversi con una certa libertà, viaggiando per il mondo, scambiando esperienze, stabilendo contatti con colleghi occidentali». Christian Cajol che lavora a Parigi nella redazione di Liberation- «Alle spalle di questa generazione di fotografi non c'è in Urss quella che chiamiamo una scuola. Solo in Lituania è sopravvissuta una vecchia tradizione di fotogiomalismo, di grande qualità. Oggi i punti di riferimento sono l'agenzia Novosti, dove lavorano quattro o cinque giovani fotografi veramente in ■ gamba, e la rivista Ogoniak, un exploit della perestrojka, che pubblica servizi su tutta la realtà sociale sovietica: povertà, alcolismo, droga, suicidi. Noi vogliamo stabilire dei rapporti con questi fotografi; non ci sarebbero problemi da parte del regime, ma bisogna regolarizzare un sacco di questioni, incominciando dai copyright. E' tutto un sistema da mettere in piedi». Victor Aleksandrov, corrispondente da Roma dell'agenzia Novosti: «In Urss si sono sempre fatte mostre fotografiche, a Mosca ci sono diversi atelier su base cooperativa, la Novosti e la Tass hanno istituito da tempo i loro reparti fotografici. Ma le fotografie di cronaca sono effettivamente un faLto nuovo. I nostri fotografi possono viaggiare molto di più. pubblicano album e da aprile potranno accedere direttamente al mercato estero». Grazia Neri: «I giochi sono tutti da fare. I fotografi sovietici sono una sorpresa. Secondo me, hanno ancora problemi con il colore; credo che paghino lo tcotto di una certa povertà tecnica Ma con il bianco e nero possono fare cose ottime. Costruiscono di meno dei fotografi cinesi, la loro è una scuola più europea. Hanno ancora un occhio non dico ingenuo ma curioso». L'americana Magnum, l'agenzia fotografica più ramificata nel mondo, l'inglese Network e la francese Rapho si sono assicurate i servizi in esclusiva dì alcuni nuovi fotografi sovietici. Per la prima volta un sovietico entrerà nella prestigiosa giuria della foto dell'anno di World Press. La stessa World Press ha premiato Igor Koctin per gli straordinari servizi sul day after di Cernobil (le foto sono state in mostra a Milano fino al 19 febbraio). A Losanna il Museo dell'Eliseo ospita 17fotografi sovietici con 202 fotografie {fino al 4 aprile); in parte sono fotografi d'arte, in parte lavorano per i giornali. Al Sicof di Milano (salone della fotografia che si aprirà a marzo) sono in programma, con la collaborazione della Novosti, quattro mostre dedicate aU'Urss, con la partecipazione di centinaia di amatori e professionisti. La storia della grande fotografìa giornalistica, che ha già trasformato i suoi protagonisti in eroi di film (da Un anno vissuto pericolosamente a Sotto tiro), conoscerà un'altra stagione felice, dopo quelle ormai leggendarie di Robert Capa, di Cartier Bresson, di Walter Sanders a Berlino, di Donald McCullin in Vietnam? Nelle fotografie che abbiamo visto dall'Armenia. dall'Afghanistan, dall'Azerbaìjan, nelle prime fotografie lasciate circolare sugli anni della stagnazione, anche in qualche immagine della liberalizzazione, «le considerazioni morali appaiono più importanti delle sperimentazioni formali», come si legge nel catalogo della mostra di Losanna. Che è la premessa perché si realizzi il convincimento di Margaret Bourke-Wliite: «Quando una fotografia è buona, in essa si rispecchia un periodo». Alberto Papuzzi Armenia, dicembre '88. A sinistra una delle più belle immagini diffuse dall'agenzia Tass. Sopra, una foto di Boris Yurchenko