Kabaivanska, nobile «Adriana»

Kabaivanska, nobile «Adriana» Kabaivanska, nobile «Adriana» L'opera di Cilea al Comunale di Genova diretta da Daniel Oren Discontinua la prova di Meiighi - Bravissimo Bruscantini GENOVA — Una grande Raina Kabaivanska è stata la protagonista, venerdì sera al Teatro Margherita, di Adriana Lecouvreur, secondo titolo della stagione lirica del Comunale dell'Opera. Il capolavoro di Francesco Cilea mancava dalle scene genovesi da una dozzina d'anni. Un recupero, dunque, doveroso, giustificato dalla freschezza della partitura e dalla presenza di un cast quasi interamente eccellente. Adriana Lecouvreur (il libretto di Arturo Colautti è tratto dal dramma di Eugene Scribe e Ernest Legouvè) è liberamente ispirata alla vita della celebre attrice francese che dominò le scene parigine nei primi decenni del '700. Musicista elegante, equilibrato, Cilea ha costruito una figura femminile straordinaria per intensità passionale e forza di carattere e ha inoltre colto l'ambiente con gusto ed efficacia scenico-musieale. L'opera percorsa da un continuo senso di tragedia si abbandona tuttavia a momenti di fresco lirismo o di aggraziata ironia (si pensi al quartetto spigliato dell'ultimo atto). Aspetti che l'edizione genovese ha restituito con buone soluzioni. Raina Kabaivanska ha ormai raggiunto una grande maturità espressiva e nello stesso tempo ha mantenuto una forma vocale ineccepibile. Attrice oltre che cantante, la Kabaivanska ha costruito un personaggio coinvolgente per dimensione scenica e forza vocale: un canto, il suo, che ha mille sfumature, è duttile, passa da pianissimi appena sussurrati eppure solidamente impostati a grida violente, ma sempre stilisticamente controllate. Si ricordano della prova della Kabaivanska Io son l'umile ancella del primo atto, la vigorosa recitazione di Fedra del terzo e lo struggente lamento del quarto. Accanto all'illustre soprano va segnalato Sesto Bruscantini che con i suoi settantanni sembra aver fatto un patto con il diavolo. Quale freschezza di voce, quale eleganza di fraseggio, quale partecipazione emotiva! Il suo Michonnet è stato esemplare. Discutibile invece la prova di Giorgio Merighi nella parte di Maurizio che nel lontano 1902 fu di Caruso. Merighi ha cantato con troppa veemenza e poca nobiltà espressiva. L'intonazione è parsa inoltre precaria e il fraseggio poco accurato. Completavano il cast un inappuntabile Piero De Palma d'Abate), Stefania Toczyska, ben calata nel ruolo della Principessa crudele e inoltre Alfredo Mariotti, Paolo Mazzotta, Angelo Casertano, Mario Favaloro, Elvira Spica e Francesca Castelli. Sul podio Daniel Oren ha colto con gusto i caratteri dell'opera di Cilea. Consueto trascinatore nei momenti di maggior passionalità, il direttore israeliano ha saputo toccare con garbo anche le corde di un lirismo delicato e poetico. Ha forse insistito troppo su sonorità eccessive in orchestra costringendo le voci a un superlavoro: è il caso ad esempio del duetto femminile del secondo atto. Ma nel complesso è emerso un Cilea convincente e suggestivo. Il regista Alberto Fassini e lo scenografo Pasquale Grossi nel trasferire la vicenda dal primo Settecento all'Ottocento non hanno travisato il senso dell'opera: ben congegnato l'apparato scenico di cui si cita in particolare il terzo atto (l'interno del Palazzo Bouillon) estremamente funzionale e curato. Unico neo la curiosa conclusione dell'opera con la povera Adriana costretta a morire in piedi. Lodevole, infine, la coreografia del terzo atto firmata da Fabrizio Monteverde che ha saputo costruire, pur in uno spazio di tempo estremamente ridotto, un discorso ballettistico coerente e compatto, incentrato sulla figura di Paride e culminato nello strip-tease della Venere di turno. Applausi calorosi, prima replica questo pomeriggio alle ore 15,30. Roberto Iovino

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