Il «Bue» nell'arena di Kabul

Il «Bue» nell'arena di Kabul Il «Bue» nell'arena di Kabul Dal tempo dell'università gli hanno dato il soprannome di Bue per la forte corporatura e il peso che supera di parecchio i cento chili. Ma chi conosce bene Mohammed Najibullah, presidente della Repubblica Democratica dell'Afghanistan, a parte la sua sconfinata ambizione, non lo giudica né tardo, né un vile, né un pazzo. Da alcuni giorni la sua testa è quella del capo di Stato più in pericolo al mondo. Dopo la partenza dei russi, solo nel palazzo presidenziale di Kabul al comando di una truppa valutata a 50 mila uomini, su Najibullah nessuno è disposto a puntare un dollaro. Ma non c'è nemmeno nessuno in grado di prevedere che cosa gli succederà ora. Se finirà assassinato, giustiziato o fuggiasco in esilio. Intorno alla capitale, l'armata afghana agli ordini del presidente è raccogliticcia e malfida. Ci sono soldatini che hanno appena una settimana di addestramento e nei reparti di lunga ferma, quelli che hanno le armi più sofisticate lasciate dai sovietici, soffiano venti di diserzione. E' di pochissimi giorni fa la fuga nel campo dei mujaheddin di due dei micidiali elicotteri armati, che sono stati l'unica arma di qualche efficacia usata dall'Armata Rossa contro i ribelli. Per certo Najibullah appare uno disposto a vendere cara la pelle, ma non è detto che non abbia in serbo per l'ultimo momento un piano che gli permetta di prendere l'ultimo aereo per Mosca. E' opinione comune che quando al Cremlino si sono perse tutte le speranze di salvare in qualche modo la faccia in Afghanistan, Gorbaciov abbia puntato su Najibullah perché era l'unico disposto ad accettare una sfida all'ultimo uomo. E secondo molti andrà fino in fondo. Ha 42 anni ed è sposato. La moglie si chiama Fatana e fa la direttrice scolastica a Kabul. Al presidente si attribuiscono anche moltissime amanti, dicono addirittura venti, che vengono indicate a dito pervia delle vistose automobili, regali del capo del partito e dello Stato. C'è molta gente che si sente perduta in questi giorni a Kabul assediata dalla guerriglia. Oltre agli amici e alle amiche di Najibullah. il numero dei militari e funzionari che rischiano la testa è calcolato sui duemila. Najibullah è nato nel 1947 a Gardez in una famiglia di origine Pathan, la popolazione che vive alla frontiera orientale verso il Pakistan. L'uomo che oggi non sembra destinato a governare a lungo lo Stato afghano, ha passato buona parte della sua fanciullezza a Peshawar, in Pakistan, oggi sede dei suoi nemici, dove il padre era una specie di console, un rappresentante del governo che si occupava degli interessi delle litigiose tribù Pathan oltre confine. Per quanto si sa, ha compiuto con profitto tutti gli studi a Kabul, al collegio Habibia, considerato una scuola di élite. Poi ha frequentato per dieci anni la facoltà di Medicina laureandosi nel 1975. Ma non ha mai fatto il medico, è uscito dall'università già noto come militante comunista. Lo chiamavano già il Bue quando era un giovane in vista della frazione detta «Parcham», che significa bandiera. A questo punto era già avvenuta la sua scelta di accantonare il credo dell'Islam, anche se nell'attuale crisi disperata, nel tentativo di ingraziarsi i fedeli, si è più volte definito «uomo di Dio». Najibullah in passato è stato in prigione almeno due volte e la seconda volta per circa un anno, quando venne condannato per essersi messo alla testa di una manifestazione durante la quale furono tirate uova marce sulla limousine di Spiro Agnew. il vicepresidente americano in visita ufficiale, più tardi scaricato da Nixon. L'uomo oggi rimasto solo a Kabul doveva essere un tipo con molti ammiratori. Grande e grosso, atletico, politicamente impegnato, campione di sollevamento pesi e di lotta, era anche un appassionato giocatore di basket. Si ricorda di lui una lontana rissa con l'attuale leggendario capo della resistenza anticomunista nella valle di Panishir, Ahmad Shah Massoud. Il Bue fu espulso dal campo per falli gravissimi sugli avversari e non contento fece a pugni anche con l'arbitro, che era Massoud. Nel 1978 a Kabul ci fu la rivoluzione e i marxisti dell'ala «Khalq», che significa massa, andarono al potere. Najibullah era della frazione -Parcham» e praticamente fu mandato in esilio all'ambasciata di Teheran, proprio mentre il Trono del Pavone stava per crollare e in Iran avanzava l'era di Khomeini. Fece parte di uno strano complotto di sei rappresentanti dell'Afghanistan all'estero, compreso l'ambasciatore negli Stati Uniti, che a un certo momento sparirono dalla circolazione con le casse delle rispettive ambasciate, rifugiandosi nell'Europa dell'Est. Tornò a Kabul con gli invasori sovietici e venne insediato alla direzione della polizia segreta, la Khad, organizzata e istruita dal Kgb. Migliaia di sicuro sono le persone imprigionate, torturate ed eliminate dalla Khad. E questo è il peso maggiore che grava sull'attuale prospettiva di sopravvivenza di Najibullah. E' odiato dai suoi avversari, i resistenti, ma anche da molta gente comune perché ritenuto personalmente responsabile di torture e crimini di ogni genere avvenuti nelle galere di Kabul. Anche se non sono mai state date prove, i mujaheddin sono convinti che abbia partecipato personalmente a interrogatori con torture. L'essere stato a capo di una polizia del genere, per tutti è una responsabilità che non potrà più togliersi di dosso. L'uomo certamente si rende conto della sua situazione, ma si comporta ancora come avesse delle chances, mettendo la sordina alla dottrina comunista dello Stato, ne ha cambiato anche il nome, e offrendo a tutti la sua disponibilità a negoziare. Ma non ha risposte. Dopo che i sovietici si convinsero che Karmal, il comunista che all'invasione avevano fatto presidente dell'Afghanistan, era un ubriacone incapace, venne l'ora di'NaJibiillah di salire al vertice. Pare abbia affrontato a muso duro perfino Gorbaciov, quando il leader sovietico cominciò a parlare della necessità di riconciliazione nazionale nel 1987. L'impressione di molti diplomatici occidentali a Kabul è che l'uomo sia politicamente anche abile, a giudicare da come ha portato avanti come ha potuto l'offensiva di pace voluta da Mosca. Ora però, via i russi, sono in molti ad aspettarsi che colui che chiamano il Bue dell'Afghanistan, Mohammed Najibullah, sia tentato di riprendere le sue congeniali maniere forti, allo sbaraglio fino all'ultima battaglia, nel bagno di sangue da tempo annunciato a Kabul. e. st.