L'Italia cambia ma non con i giovani

L'Italia cambia, ma non con i giovani Una indagine sociologica rivela che non sono più i ragazzi la «molla» delle novità L'Italia cambia, ma non con i giovani Prevalgono l'individualismo e la ricerca delle piccole gioie quotidiane - Nella società il ruolo di «traino» è passato agli adulti fra i 25 e i 50 anni: vogliono essere protagonisti e migliorare il mondo - Sta scomparendo la cultura anti-industriale MILANO — Per la prima volta da decenni non sono più i giovani a far scattare nuovi comportamenti individuali e sociali. Bisogna andarli a pescare, questi comportamenti, un po' più su, in quella gran fascia mediana tra i 25 e i 50 anni che invece per tradizione rappresentava lo sfruttamento dei valori consolidati, una sorta di amaca psicologica su cui ci si dondolava per affermarsi nel mondo. E' la novità che viene fuori dall'ultima ricerca periodica della Gpf & Associati, un'indagine comparata che da 10 anni si svolge in 16 Paesi dell'Occidente. Nel secondo semestre dell'88 è dunque emerso che i giovani tra i 15 e i 24 anni appaiono ancora arroccati su un individualismo stretto: indulgono al narcisismo, declinano un concetto di felicità più come somma di piccoli piaceri quotidiani che non come «Felicità» con la maiuscola. Uno scenario già visto. E' molto simile a quello dei loro fratelli maggiori nei primi Anni Ottanta, gli anni del privato, del tornaconto egoistico e consumistico. Ed è ancora diversissimo da quello del tumulto precedente, del lungo Sessantotto durato da noi 12 anni, quando s'inalberarono i valori dell'antiautoritarismo e del liberalismo sessuale. «La nostra è un'epoca eccezionale», dice il sociologo Giampaolo Fabris, presidente della Qpf & Associati. Eccezionale come rapidità di ondate comportamentali successive. Da autentico guru prevede: «Ci assesteremo'. Ma ecco il vero cambiamento: la cultura del sé che ancora avvolge i giovani, e cioè lo smemoramento nel vortice del «carpe diem», si dirada negli adulti. Tocca a loro abbandonare un'idea della società come teatro, in cui si è i soli protagonisti in scena e tutti gli altri o ci applaudono o ci azzannano. Sono gli adulti che voltano le spalle all'individualismo e ritrovano quella che Fabris chiama l'individualità. In questa individualità si sviluppano pulsioni verso il sociale: persistono le diffidenze verso i partiti tradizionali, ma si dice di sì all'impegno volontario. Un volontariato che spessissimo non coincide con associazioni religiose. E' laico, spontaneo. Così come è fortissima la preoccupazione per l'ambiente. Una tensione ecologica che diventa scelta di consumi, esigenza e valore. L'io perseguito in quest'ambito si apre alla tolleranza, alla creatività, alla realizzazione meditata di sé. E' un io globale, in cui convivono e fanno tutt'uno le due sfere del corpo e della mente. Un tale atteggiamento più meditato di base serve a capire quanto avviene in diversi settori. Per esempio nelle letture, dove aumenta la diffusione dei quotidiani, la predilezione per romanzi e saggi sostanziosi. Nell'alimentazione: vi si affermano le richieste di naturalità, sapore e salute. Nel tempo libero, che non si identifica affatto con «l'evasione bieca», ma al contrario riscopre ad esempio la campagna, un rapporto più intenso con la natura. Anche nella moda, dove prevale la ricerca di una nuova formalità, non più costrittiva: l'abito sarà un segnale coerente con la personalità, non una sua visione falsificata. Tutto questo cambiamento diviene visibile sul quadrante delle diverse Italie escogitato da Fabris. Sugli assi dei punti cardinali, al Nord si pone il privato e al Sud il sociale, a Est il vecchio e a Ovest il nuovo. Se nei primi Anni Ottanta la nuova tendenza del narcisisimo giovanile puntava dritta verso il Nord-Ovest (il privato e il nuovo), ora la nuova tendenza dell'apertura adulta s'indirizza verso un'area centrale del Sud-Ovest (il sociale e il nuovo). Il sociologo rileva due conseguenze importanti dalle sue ricerche. Innanzi tutto una crescente integrazione sociale, nel senso che gli obiettivi e i valori inizialmente proposti da un certo numero dì persone risultano in breve tempo sempre più condivisi dal resto della popolazione. E questa integrazione non è più percepita come fenomeno di «subalternità», di soggiacenza ai modelli egemoni, che snaturerebbero un'identità profonda, ma come positiva armonizzazione, salutare caduta di conflitti. In secondo luogo — dice Fabris — 'l'elemento più macroscopico nell'Italia di questi Anni Ottanta è che sta scomparendo la cultura anti-industriale, un'autentica linea rossa che ha unito le due grosse culture cattolica e marxista'. Per esempio sta cambiando l'immagine sociale dell'imprenditore: prima era visto come un rapace, un prosciugatore di energie altrui; ora invece si diffonderebbe quasi un'idea alla Schumpeter, secondo cui l'imprenditore è colui che innova, che crea situazioni in genere positive. -Una non tanto piccola rivoluzione copernicana'. I cambiamenti fin qui descritti -non erano visti dal sociologismo miope del passalo', ricorda Fabris. «La modernizzazione del Paese è avvenuta con i nuovi stili di vita, non con una diversa organizzazione delle forze produttive. Non è un fatto di denaro, ma di cultura. Altro che società di massa. L'Italia non è mai stata tanto diversificata e insieme tanto integrata come adesso'. L'indagine della Gpf trova riscontro in altri dati, anche se ottenuti con metodi e cultura diversi. L'istituto Eurisko ha appena elaborato il suo Rapporto 1988 di Sinottica, rilevazione annuale. Anche qui i giovani appaiono «neotradizionalisti», per la rivalutazione sempre più diffusa della famiglia e della fede religiosa e per il declino di sensibilità di fronte al gran tema della giustizia sociale. Non la richiede neanche il 40% dei giovani tra i 14 e i 24 anni, contro il 60% degli Anni Settanta. Mentre crolla ulteriormente nell'88 il fenomeno dello «yuppismo», del rampantismo sociale dei primi Anni Ottanta. -C'è più desiderio di sicurezza che amore del rischio', nota Paolo Anselmi, dell'Eurisko. E aggiunge: 'Un tratto di fondo, oggi, è l'avvicinamento tra le diverse età. I giovani non si pongono più in antitesi agli adulti, e gli adulti rimango¬ no un po'adolescenti. L'omogeneità sociale è maggiore». Una curiosità: i ragazzi fumano molto meno. Nell'87 fumava il 18,3% dei ragazzi fra i 14 e i 17 anni; l'anno scorso quasi la metà, il 9,8%. E ora l'ultimo approfondimento sull'universo giovanile, sempre più indagato da quando i giovani hanno smesso di «autorappresentarsi», di parlare di sé e da sé, come diceva il Censis nella sua indagine pubblicata nell'86. Lo effettua il sociologo Alessandro Cavalli scavando nei risultati della ricerca «Giovani Anni 80», edita l'anno scorso dal Mulino. «La trasformazione più significativa e spettacolare dei rapporti tra figli e genitori — racconta Cavalli — è avvenuta all'interno della famiglia-. La famiglia oggi è «negoziale», è il luogo della contrattazione sistematica e capillare. I figli hanno il loro spazio vitale: la camera. Rispondono 'avanti» solo se i genitori bussano. Vi portano chi vogliono e quando vogliono. Invitano padri e madri a togliersi di tomo durante il week-end. Conclude Cavalli: «/ giovani hanno conquistato l'autonomia non dalla famiglia, ma nella famiglia, dove permangono sempre più a lungo». Claudio Altarocca

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