Pere e mele sul campo da football

Pere e mele sul campo da football PARCHI E GIARDINI AL CENTRO DI PROGETTI, SOGNI, AFFARI Pere e mele sul campo da football Il pittore Antonio Saliola destina ad alberi da frutto il suo terreno di gioco; il poeta Tonino Guerra si dedica alle rose antiche, a uno zoo verde e ai biricoccoli ■ «Non una moda, ma un fenomeno che si diffonderà» • Ieri il giardino rispecchiava l'ordine del cielo e la redenzione del mondo - Oggi è un «democratico» teatro della natura - Gae Aulenti: «Aiutiamo ogni luogo a esprimere la sua bellezza» MILANO — Certi misfatti oggi non vengono più perpetrati. Come quello nel '52, quando Agrigento distrusse il giardino della Villa Comunale per costruirci delie case: ed era un giardino su un declivio, a terrazze, da cui lo sguardo scendeva lungo la Valle dei Templi fino al mare. Lo ricorda Rosario Assunto, presidente del comitato per i giardini storici presso il ministero dei Beni culturali. «Non c'era differenza tra amministrazioni di destra e amministrazioni di sinistra, dice ancora Assunto. Tutte erano accomunate nella furia. Vedevano nel giardino un simbolo di ricchezza superata, di privilegio offensivo, di snobismo farfallone. Era l'ideologia incosciente della città che avanzava e soffocava. Era il culmine del cosiddetto pragmatismo, dell'efficientismo utilitaristico. I guasti sono stati immensi». Ricorda: «Allora ero considerato un reazionario. Criticavano questo mio amore per i giardini. Adesso molte cose sono cambiate. Non speravo di assistere a tanto. La gente si è accorta che, distruggendo i giardini e la campagna, distrugge la vita, di cui la bellezza è l'espressione più alta». Adesso all'opera è il fremito verde. Nuovi parchi pubblici e nuovi giardini privati, strade e autostrade reinventate con piazzale e interventi nell'ambiente, progetti per le grandi aree industriali che si liberano nelle città. In questo modo cambiano volto tanti piccoli paesaggi. E tutti insieme, questi piccoli paesaggi mutati, contribuiscono a formare un ulteriore e diverso volto del Paese. Fra impeti ed errori, intelligenza e cattivo gusto. Il simbolo di questa nuova cultura d'intervento verde è l'attenzione per il giardino, fino a ieri considerato mollezza superflua, arcadia per anime belle. Ecco: che cosa caratterizza l'odierno giardino? C'è uno stile vittorioso, un'idea diffusa, una disposizione ricorrente di piante e fiori? La risposta è no. Gli architetti del verde dicono che oggi si punta a valorizzare ogni luogo secondo il linguaggio più adatto a quel luogo. In ogni caso la dimensione ricercata in un giardino è un'accoglienza affettuosa, morbida e libera, un'intimità semplice e spontanea, priva di impettite scenografie e di spazi magniloquenti. E' il gusto, per così dire democratico, che vien giù fra l'altro dalla passione di Gertrude Jekyll, la signorina inglese che alle porte del Novecento preparava su raffinati acquarelli i suoi accostamenti cromatici tra fiore e fiore, recuperando semi poveri e dimenticati. Componeva bordure festose, ricopriva facciate con ciuffi sobri, e dappertutto si esprimeva una natura mossa e quieta a un tempo. Lo sguardo così vaga e si ferma senza percorsi obbligati, in uno spazio che non ha più nulla delle passate grandezze. Il giardino oggi è in genere piccolo, come un'altra stanza della casa o al massimo come un secondo appartamento. Su questo fondo di libertà calcolata si possono rintracciare echi di forme antiche. Qualche elemento geometrico, memore dei fasti del giardino all'italiana quattrocinquecentesco, quando il giardino rispecchiava l'ordine del cielo divino. Oppure, al contrario, qualche slancio lomantico, da classico giardino cinese o inglese, persino con angoli pittoreschi (cascatene, ponticelli ecc.). Oppure, infine, alcune suggestioni giapponesi, come brevi masse di azalee erratiche, oppure aiuole «a isola; senza cornici rigide. Il rispetto assoluto per il luogo su cui sorge il giardino è l'atteggiamento più condiviso. Lo segue Ippolito Pizzetti, professore a Venezia, papà culturale di tanti architetti più giovani: «La mia filosofia è legata all'idea di giardino cinese. Il giardino è in rapporto col paesaggio, vive con esso e in esso. E' un'opera aperta, un work in progress, che cambia sempre, si sviluppa, rinasce». Come dice Paolo Peirone, torinese, che è riuscito a firmare un giardino persino nel Surrey: «Devo decodificare tutto e riportare tutto ai minimi termini, a un'estrema sempli¬ cita: terreno, vegetazione, clima, esposizione, legni, pietre. Il fatto è che con un giardino la natura celebra se stessa. E' lei che fornisce il teatro e i protagonisti. Una drammatizzazione verde». Anche Gae Aulenti: «La mia poetica è l'adesione al genius loci. Solo il genius loci detta le forme. No, non è eclettismo: è la forza del contesto». Non c'è più una scuola precisa, dunque, con modelli univoci. Piuttosto un metodo, che è conquista recente. Perché la nostra tradizione «s'è persa nell'Ottocento», ricorda Luca Pietromarchi, scrittore verde, «quando sparì il 70 per cento dei nostri giardini, sostituiti dalla dilagante moda inglese del giardino paesaggistico». Dopo subentrò un'amabile confusione, «con giardinieri di famiglia, proprietari entusiasti e pratici». Fino al degrado e all'insensibilità degli ultimi decenni. E adesso una nuova fiammata. Ne è prova anche il successo di mensili come Gardenia, che ha raddoppiato le vendite in tre anni, a quota 110 mila copie. O di pubblicazioni d'intervento come Acer. «Questa moda è tuttavia un rischio», avverte Franco Cardini, storico del Medioevo, gran frequentatore, sui libri, di giardini monastici, claustrali, con il loro modello teologico: al centro c'è la fontana o il pozzo, simbolo della vita, di Cristo, e attor¬ no si dipartono quattro vialetti a croce, come segno della Grazia che redime il mondo, «n pericolo è di perdere di vista lo spessore simbolico, culturale, del giardino, riducendolo a semplice verde». «Invece io non credo a quest'ipotesi», replica Alessandro Tagliolini, autore della Storia del giardino italiano appena uscita presso La casa Usher, animatore dei convegni di Pietrasanta. «Perché noi oggi abbiamo bisogno dei giardino, deL'a sua ricchezza di significati. Dobbiamo chiarire a noi stessi la condizione di progresso e di tecnologia in cui ci siamo inoltrati. Il giardino è il luogo dove l'equilibrio fra uomo e ambiente si esprime al me¬ glio. Non si tratta di una moda effimera. E' un fenomeno che durerà e si diffonderà sempre di più». Certo è che il gesto verde si estende anche presso gli artisti. La Romagna è frenetica. Lo scrittore Tonino Guerra si dedica a racconti come Il giardino delle suore: «In un convento tutto crollato il giardino resta e fiorisce per conto suo». Guerra allestisce uno zoo verde nel parco Begni di Pennabilli, nel Montefeltro: «Ho fatto fare il primo animale, un elefante di fil di feiTO alto tre metri, che sarà rivestito di vite americana». Pianta nel giardino di casa sua 120 rose antiche, forse «la più importante collezione d'Italia». Trasforma infine la valle del Marecchia in una valle profumata con «un tappeto di fiori colorati» e con un «orto di frutti abbandonati»; 46 piante che stanno scomparendo, fra cui il «biricoccolo, una susina col pelo» «Questo biricoccolo lo trovai accanto a una cappelletta in rovina di due metri per due lungo una stradina di campagna. Vi si diceva il rosario per i passanti nel mese di maggio. Ho preso quell'albero, l'ho innestato e .'ho riprodotto. Ho studiato i àuoi frutti e ho scoperto che apparvero la prima volta nel Seicento. Guerra ha anche dei meli antichi, come il Dolgo. Pruduce 20 mele per stagione, non di più. Altro che i 30 quintali dei meli d'oggi, n loro profumo e il loro sapore sono straordinari». Chi racconta è Carlo Pagani, Vanti quario del verde, amicissimo e braccio destro di Tonino Guerra. E' di Budrio (Bologna). «La mia attività è fare giardini. Per me un giardino è una visione campestre, un pezzo di campagna in cui la casa deve chiedere permesso prima di entrare». Romagna fervida. Questa primavera il pittore Antonio Saliola, nella sua casa a Villa Verrucchio sopra Rimini, al posto del campo di football si fa un orto, «con un gazebo dov'era il calcio d'inizio e filari d'albicocche e passeggiatine fra zucche e cavoli». Saliola è da anni che dipinge cicli di quadri ispirali a giardini. Sue sono le illustrazioni cieM'Hortus Sitwellianus (Allemanda. Sono evocazioni di giardini silenziosi, senza persone, con tracce di incontri, prospettive romantiche, grandi volumi di bosso scolpito fra inquietudine e prodigio. Ora nei suoi quadri appaiono, laggiù in fondo, piramidi rosa, «n fantastico come realtà- Anche la poesia ascolta le suggestioni verdi. Quella di Rosita Copioli, di Riccione, evoca i miti nascosti e forti nelle cose e nei fatti (Furore delle rose, Guanda): «La rosa per me è il simbolo di ciò che è bello e non si può raggiungere, e che tuttavia è da tenere vivo come tensione». Alla fine, la domanda: che cos'è oggi un giardino? Come lo definiscono i suoi filosofi? Quasi sorgente da un buio alla Gesualdo Bufalino e alla Manlio Sgalambro, la voce di Rosario Assunto, siciliano, 73 anni, professore di estetica e di storia della filosofia, prima vibra di apocalisse («Li hanno distrutti, i giardini tacciono»;, poi distende la teoria, dall'Eden della Genesi a Omero, da Milton a Kant: «Il giardino è la tecnica agricola finalizzata al godimento estetico, il godimento più alto. E' natura che diviene arte e arte che diviene natura. E' l'assoluto della natura e dell'arte». Legata alla storia delle idee è invece l'interpretazione di Massimo Venturi Ferriolo, che insegna filosofia della storia nell'Università di Salerno e dirige la collana verde dell'editore Guerini. E' milanese, vive a Eboli. Dice: «Io rintraccio l'idea originaria di giardino nell'antica cultura mediterranea». E racconta che una stessa parola greca, kepos, indicava sia il giardino sia il grembo femminile. Il giardino era la rivelazione della Gran Madre. E' un'idea contro cui sì batté ii mondo giudaico, che vedeva la donna come peccato. I profeti biblici, nella loro lotta teologica per il monoteismo, diedero allora al giardino una funzione escatologica (non più il luogo della vita, ma il simbolo del fine ultimo della vita) e una funzione utilitaristica: Isaia consiglia di costruirsi il giardino accanto alla casa proprio per nutrirsi. Nota Venturi Ferriolo: «Ancora oggi, nei territori occupati dagli israeliani, i palestinesi coltivano un loro orto e si distribuiscono fra di loro i prodotti. Anche per boicottare i prodotti d'Israele». L'antica idea mediterranea prosegue tuttavia negli orticelli degli eremiti medievali, con il loro culto della Vergine («Quante sono le raffigurazioni della Madonna in un giardino?».). E su su continua nei secoli successivi. «Riaffiora anche oggi, conclude Venturi Ferriolo. Si è persa la dimensione mitica e religiosa, ma rimane lo spessore simbolico. Il giardino è semplicemente il simbolo della vita». Claudio Altarocca ci profili del paesaggio» (da «Hortus-Sitwellianus», ed. Umberto Allemandi & C.)