E Mosca dimentica Kabu di Emanuele Novazio

E Mosca dimentica Kabul Mentre raffiche di razzi colpiscono la capitale afghana: sette morti (4 bambini) E Mosca dimentica Kabul II giorno dopo il ritiro, titoli poco vistosi nelle pagine interne dei giornali - Incertezza sul ponte aereo per rifornire il Paese - Il governo di Najib: «Non chiamateci comunisti» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MOSCA — Due brevi comunicati ufficiali, secchi e rituali, subito dopo il ritiro; poi più nulla. Mentre i razzi dei mujaheddin hanno ripreso a colpire Kabul, uccidendo sette persone, sulla guerra d'Afghanistan il Cremlino ha scelto la discrezione; dopo un brevissimo «messaggio alle truppe» e la dichiarazione politica del governo, sembra ansioso di calare il sipario su un'avventura carica di rimpianti e rimorsi politici. Anche i giornali, ieri, parlavano in sordina d'Afghanistan, con titoli poco vistosi sul ritorno delle truppe sovietiche, quasi nascosti nelle pagine interne. Una sola incursione squillante nella -realtà della guerra», le di¬ chiarazioni del generale Gromov, che ha guidato il «coretingente d'Afghanistan', sul comportamento dei suoi soldati: fra loro c'erano «uomini coraggiosi ma anche dei traditori-. Nell'insieme, invece, il tono è dimesso. Nessun dirigente di alto livello aveva del resto Incontrato le ultime truppe tornate in territorio sovietico, mercoledì; ad accogliere quei quattrocento soldati c'erano soltanto le autorità di Termez, la cittadina uzbeka al confine, e nessuno squillo di tromba. Anche il «messaggio alle truppe», pubblicato dai giornali di ieri, ha lo stesso tono convenzionale della «dichiarazione del governo sovietico» diffusa mercoledì, con la sua insi¬ stenza sul «dovere patriottico nazionalista» compiuto dagli uomini dell'Armata Rossa, «su richiesta del legittimo governo dell'Afghanistan; per «proleggere il suo popolo, le sue donne, i bambini, i vecchi, le città e i villaggi, l'indipendenza nazionale e la sovranità di un Paese amico: L'impressione, a Mosca, è che 11 Cremlino voglia trattare la crisi «a distanza» per allontanare la possibilità di qualsiasi coinvolgimento diretto; anche se, ricordava ieri la Tass, «il ritiro dei nostri soldati non significa che l'Unione Sovietica si disinteresserà dei problemi afghani». Anche se la diplomazia sovietica rimane attiva: il viceministro degli Esteri Vorontsov, ambasciatore a Kabul, è da ieri a New Delhi per discutere la crisi afghana con i dirigenti indiani e per impegnarli, secondo fonti di Mosca, in un'estrema mediazione che garantisca la sopravvivenza di Najibullah. Vorontsov, secondo le stesse fonti, cerca anche garanzie per un «ponte aereo umanitario» con Kabul: i rifornimenti alla capitale stretta d'assedio restano infatti la sfida principale per Najibullah e il suo governo. Ma se Mosca assicura di voler continuare l'invio di generi alimentari e carburante, ancora non è chiaro se riprenderà il ponte aereo, garantito fino a mercoledì dei cargo dell'Aeroflot affidati a equipaggi militari. Gorbaciov sembra po¬ co propenso a rischiare uomini e aerei di fronte agli Stinger dei mujaheddin, ora che le truppe sovietiche non sono più a Kabul per proteggerli e che la guerriglia dà segni di voler Intensificare gli attacchi: ieri, la capitale è stata colpita da una quindicina di razzi, e sette persone fra cui quattro bambini sono state uccise. Erano le avvisaglie, le prove, di un'offensiva generale e massiccia? E' difficile dirlo, anche se voci insistenti, ieri, parlavano di volantini distribuiti alla popolazione per invitarla a lasciare i quartieri più vicini all'aeroporto, nella notte. Di certo in città c'è confusione sul futuro immediato: le autorità afghane alternano messaggi inquieti, ti¬ mori di clamorosi colpi dei mujaheddin e rassicuranti dichiarazioni sulla tenuta del regime e aperture alla guerriglia. Ieri, il ministro degli Esteri Abdul Wakil ha lanciato un altro appello all'unità nazionale e alla «riconciliazione», rifiutando con clamore le immagini che hanno reso odioso il regime: «Il nostro è un partito nazionale che vuol rispettare le tradizioni e la stona del popolo afghano. E'assurde chiamarlo marxista, in Afghanistan non ci sono partito né regime comunista». Era un invito a trattare rivolto all'«oppostzione armata» che assedia la capitale e il regime. Un'ora dopo, il primo razzo colpiva Kabul. Emanuele Novazio

Persone citate: Abdul Wakil, Gorbaciov, Gromov, Najib, Najibullah, Vorontsov