Rischia di sciogliersi il «tribunale dei giudici» di Ruggero Conteduca

Rischia di sciogliersi il «tribunale dei giudici» Esplode nel Csm la crisi della sezione disciplinare: tre magistrati dimissionari, due «astenuti» Rischia di sciogliersi il «tribunale dei giudici» ROMA — n pericolo non è ancora del tutto scongiurato, ma se la notte porta davvero consiglio, come si dice, stamane alla ripresa del plenum il Consiglio superiore della magistratura dovrebbe superare la grave impasse che rischia di mettere in crisi la stessa esistenza dell'organo di autogoverno dei giudici. Al centro del dibattito, questa volta, non è l'ostile atteggiamento di qualche politico o la spaccatura su uno dei tanti pool antimafia che pure avevano creato in passato grosse lacerazioni fra i componenti del Consiglio. Ma lo spedito funzionamento di una delle sue sezioni, la più importante e significativa: quella sezione disciplinare che prende impropriamente il nome di «tribunale dei giudici» perché a lei compete passare al setaccio i comportamenti dei vari magistrati e suggerire le diverse sanzioni. Composta di nove membri effettivi e quattro supplenti e presieduta dallo stesso vicepresidente del Consiglio, Carlo Mirabelli, la sezione disciplinare era venuta a trovarsi nell'occhio del ciclone due mesi fa in seguito a due interrogazioni parlamentari: della democristiana Ombretta Fumagalli Carulli (che pure aveva fatto parte del precedente Consiglio) e del radicale Mauro Melimi. Entrambi i parlamentari chiedevano come mai si registrassero gravi e ingiustificati ritardi da parte della sezione disciplinare nel deposito delle sentenze contro i giudici scorretti. In alcuni casi, sia pure limitatissimi, si ca anche toccato il limite di due anni. L'accusa, sebbene nel frattempo la sezione avesse «assorbito i ritardi», come ha ricordato anche ieri il vicepresidente Mirabelli, non era stata accettata da tre consiglieri della disciplinare (Gianfranco Tatozzi, Bartolomeo Lombardi e Antonio Bonaiuto, tutti di Unità per la Costituzione, la corrente di centro-sinistra dell'associazione magistrati) i quali avevano di conseguenza presentato a Mirabelli le dimissioni. Loro, sostenevano, erano sempre stati puntuali, occorreva dunque fare dei distinguo all'interno della sezione per evitare il rischio di 'delegittimare la disciplinare». E le accuse si erano così concentrate su altri consiglieri fra i quali Vito D'Ambrosio e Stefano Rachel!. I due magistrati erano entrati a far parte della sezione disciplinare, il primo sotto la bandiera di Unicost e il secondo con le insegne di Magistratura indipendente (la corrente di centro-destra). Successivamente però ave¬ vano abbandonato le correnti d'origine per fondarne altre di minoranza. La loro defezione — secondo le opinioni sussurrate dei loro colleghi di parte avversa — aveva inevitabilmente sconvolto gli equilibri con i quali si era proceduto all'elezione dei componenti la disciplinare. D'Ambrosio e Racheli, in sostanza, avevano fatto pendere la bilancia dalla parte della sinistra. Ed il blocco di sinistra era stato protagonista nella «condanna» del sostituto procuratore romano Luciano Melisi e nell'assoluzione dei due magistrati calabresi Ezio Arcadi ed 3nzo Macrì, finiti sotto «processo» per un'inchiesta che li vedeva accusati di leggerezza. Preoccupazioni maggiori, però, si profilerebbero per il futuro: tra pochi giorni la disciplinare prenderà in esame il caso del giudice napoleta¬ no Carlo Alemi per l'inchiesta sul sequestro dell'assessore napoletano Ciro Cirillo. Alemi, che aveva citato nel provvedimento il nome di alcuni politici napoletani come Vincenzo Scotti e il ministro dell'Interno Antonio Gava, fu querelato dal primo e poi prosciolto, n suo comportamento venne anche censurato dal presidente del Consiglio De Mita in un intervento al Senato in difesa di Gava. Nasce in molti il sospetto, a questo punto, che la questione dei ritardi possa rappresentare solo lo strumento propizio per rivedere la composizione della disciplinare. Ieri infatti durante il dibattito in plenum si è creata una situazione di impasse che solo a tarda sera ha fatto registrare un momento di schiarita. Quando prima Marcello Maddalena per Magistratura indipendente e poi Carlo Smuraglia (pei) e Giuseppe Borre (Magistratura democratica) hanno presentato due documenti in cui sostanzialmente si chiede ai tre dimissionari di recedere dal loro intento. D'Ambrosio e Racheli dal canto loro hanno annunciato che non si dimetteranno e nessuno può costringerli. Non si può in sostanza procedere all'intero rinnovo della disciplinare ma eventualmente solo alla sostituzione dei tre dimissionari. Unicost e de hanno però fatto sapere che non ci stanno ad un rinnovo parziale e che quindi si asterrebbero dal voto. La mancanza dei due terzi necessari vanificherebbe a questo punto ogni tentativo di soluzione, metterebbe la disciplinare nella impossibilità di funzionale e lo stesso Consiglio superiore a questo punto dovrebbe autosciogliersi. Ruggero Conteduca

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