Rushdie: fratelli non vi capisco più

Rushdie: fratelli non vi capisco più A colloquio, nel quartiere musulmano della capitale inglese, con Io scrittore «condannato a morte» da Khomeini ■ - Rushdie: fratelli non vi capisco più «Questo estremismo è nuovo, non c'entra con il ritorno all'ortodossia: oggi un manipolo di oltranzisti definisce l'Islam» ■ «Ho scritto un romanzo sulla vita spirituale per colmare il vuoto lasciatomi dalla fede in Allah» - «Tanta gente, ormai, mi difende pensando: oggi a lui, domani a noi» Pubblichiamo un'intervista rilasciata al New York Times Magazine da Salinari Rushdie, l'autore anglo-indiano de I versi satanici, il romanzo, alla sua uscita in Gran Bretagna, ha suscitato violentissime reazioni da parte della comunità islamica locale, culminate in duri scontri e nel rogo pubblico di centinaia di copie. Analogo scandalo il volume ha destato per la sua •empietà' in Pakistan e India (dove le autorità l'hanno messo fuorilegge), nonché tra i musulmani residenti negli Stati Uniti. E martedì scorso, all'apice d'una campagna senza precedenti, Khomeini ha chiesto a sunniti e sciiti di «giustiziare Rushdie in nome di Allah». La trama de I versi satanici è complessa, ricca di allegorie, sfalsamenti geografici, immagini a sorpresa. Due indiani si gettano da un aereo che sorvola l'Oceano. Sono Gilbreel Farishta, attore, e Saladin Chamca, divenuto celebre per una dote insolita: sa riprodurre voci in centinaia di tonalità. Precipitano abbracciati, tra canti, ricordi, vaneggiamenti. Alia fine, un morbido tuffo rin mare, con le onde che presto li guidano verso il litorale. E proprio sulla spiaggia, una spiaggia inglese, avviene il •miracolo'. A Saladin spunta — verità o illusione — una coda, mentre sul capo di Gilbreel appare una sorta di aureola. Da personaggi sono diventati archetipi. Male e Bene. Da questo punto è un susseguirsi quasi inesauribile d'avventure, giocate sul filo del surreale. Per l'Islam non mancano i motivi di scandalo. Si va da un lenone che per le sue ragazze da bordello sceglie i nomi delle mogli di Maometto a Saladin, alias arcangelo Gabriele, che ispira al Profeta versi, appunto, satanici. Sono due: il fondatore dell'Islamismo, accortosi dell'inganno, li espunge dal Corano, ma ormai il sacrilegio è compiuto. Nel libro vongono infine introdotte deità femminili, assolutamente inaccettabili per la teologia islamica. LONDRA — Quando incontrai per la prima volta Rushdie, avevo appena finito di leggere il suo straordinario ultimo romanzo, / versi satanici. Un libro che può essere inteso come il terzo volume di una trilogìa non voluta, in cui un romanziere di nome Salman Rushdie si muove non soltanto verso Occidente ma anche verso se stesso, cercando per l'ennesima volta di riscrivere un mondo in cui tutto è sempre più interconnesso ma che non ha affatto una sua unità. Le crepe tra le diverse società che Rushdie esamina nei V'ersi satanici si sono rispecchiate in maniera netta, anche se strana, nei vari tipi di accoglienza riservati al libro. In Inghilterra ha suscitato consensi ed elogi, è stato finalista in diversi premi (ottenendo tra l'altro il «Whi tbread» per il miglior roman zo) e ha conquistato moltissimi lettori. Ma, sempre in Inghilterra, è stato ingiuriato e persino bruciato ai raduni dei fondamentalisti islamici. La controversia — e non si tratta di un fenomeno squisitamente inglese, giacché l'opera è stata bandita fra l'altro in India, Pakistan, Egitto, Arabia Saudita — riguarda un qualcosa che va oltre il libro, naturalmente. Ma come tutte le dispute sul romanzi ha riportato in primo piano un grande problema culturale: come e perché un'opera narrativa può avere un'importanza così grande? (...) Fin dal primi di ottobre, / versi satanici è stato bandito dal governo indiano in seguito alle pressioni di numerosi leader musulmani, secondo 1 quali il romanzo — che contiene due capitoli visionari nei quali è coinvolto un profeta che può essere o no Maometto — era offensivo e addirittura blasfemo nel confronti dell'Islam. Alla fine di ottobre, la polemica divampava ormai ovunque: nell'Arabia Saudita, in Pakistan, Egitto, Sud Africa, in qualsiasi nazione o città dove vi fosse una popolazione musulmana di una certa consistenza, e persino a Londra, dove 11 libro era uscito alla fine di settembre, diventando subito un bestseller. (...) Parlandogli al telefono per combinare l'incontro, feci notare a Rushdie che poteva essere pericoloso per lui girare dalle parti di Brìck Lane, il luogo dove mi aveva dato appuntamento, trattandosi di quello che gli inglesi chiamano un «sobborgo di asiatici». •Non si può permettere che situazioni del genere assumano il controllo della nostra vita, altrimenti si è sconfitti- mi rispose. Il suo era un tono di voce assediato, frustrato. Ne era proprio sicuro? •Non potranno riconoscere il mio viso dalla foto del risvolto di copertina. E'stato proibito loro di acquistare il libro'. Presi dunque un taxi e mi recai a casa di Rushdie, in un quartiere Nord di Londra. Mi accolse sulla soglia, sorrìdendo e scrollando la testa. -E' tutto molto strano, vero?' disse. Fino all'autunno scorso, 11 suo volto era dominato da una barba un po' appuntita, nera, con qualche stilatura grìgia, che in seguito ha tagliato. Alcuni vignettisti, nei giornali inglesi, vi si erano ispirati essa per farne la caricatura in veste di Satana nelle pagine di recensioni. Ma la cosa non era affatto convincente. I suoi occhi dal- le palpebre pesanti e dagli occhiali spessi sono troppo dolci. E non v'è traccia di durezza nemmeno nel suo modo di comportarsi e parlare. Nei suoi piccoli gesti e nel fraseggio breve si coglie una traccia di formalismo coltivato un tempo, ma ora superato da una disinvoltura signorile. Spigolosltà e asprezza rimangono nascoste ed emergono soltanto nella scrittura. Ci dirigemmo verso Brick Lane con la Saab di Rushdie e parcheggiammo in una viuzza laterale un po' squallida, fiancheggiata da fabbrichette e case popolari. Fa- cemmo il giro dell'isolato a piedi e svoltammo In Brick Lane, la stretta via commerciale dalla quale il quartiere prende 11 nome. C'era una macelleria musulmana, una bottega di dolci orientali e insegne in arabo su tutti i negozi, mentre nell'aria aleggiava l'odore del curry. •Ciò che lei deve capire di un quartiere come questo — imi disse allora Rushdie — è che quando la gente sale a bordo di un jet dell'Air India e si sposta per mezzo pianeta, non si porta dietro soltanto le valigie. Si porta dietro tutto. E pur reinventandosi in una nuova città — che è poi ciò che vogliono — queste persone restano se stesse, cambiando solo in parte le proprie tradizioni, non certo del tutto. Il risultato sono queste personalità frammentate, con molte facce e molte culture'. •Le conseguenze possono essere assai strane* prosegui 'Potrà capitarle di vedere da queste parti adolescenti simili in tutto e per tutto alle ragazzine londinesi: pantaloni Levi's 501, T-shirts di Madonna, capelli tenuti su con il gel Non gli passa minimamente per la testa di ritornare in India o in Pakistan, nemmeno per un breve soggiorno. Possono addirittura dare l'impressione di essere nate a Londra. Eppure troverà in loro la volontà, e in certi casi addirittura il desiderio, di fare un matri- monio combinato. Un matrimonio combinato!». • Senta questa storia, successa proprio in questo quartiere agli inizi degli Anni Ottanta. Un padre pachistano uccide a pugnalate la figlia, la sua unica figlia, perché è venuto a sapere che ha fatto l'amore con un ragazzo bianco. In seguito è venuto fuori che non era vero, ma questo non c'entra niente. Quello che a me interessa è che quel padre s'era portato dietro il concetto di onore e di vergogna. Quando ebbi occasione in seguito di scrivere di quell'episodio, dichiarai che, pur essendone ovviamente inorridito — c'è qualcosa di più terribile che uccidere la propria creatura? — io comprendevo le ragioni di quel padre. Anch'io sono immigrato da quel settore del globo, un immigrato della prima generazione. Riesco a capire come uno possa essere qui e al tempo stesso, in un certo senso, trovarsi ancora là». I bambini di mezzanotte ha come ambiente l'adolescenza di Rushdie a Bombay; Vergogna, un paese da lui descrìtto «come non proprio pakistano». Rushdie ha scritto qui, ma ha scritto su là. I versi satanici è il suo primo romanzo ambientato a Londra, la città dove vive da vent'anni. Gli chiesi perché mal avesse atteso tanto a lungo a fare quella scelta. •Penso che prima avevo un mucchio di altre cose da fare» rispose. ^Dovevo fare i conti con le altre parti del mondo dalle quali provenivo. Dovevo disporre di una specie di base da cui accostarmi a questo Paese.' Mentre passeggiavamo per la via, mi indicò un negozio di video che affittava film hindi prodotti a Bombay: centinaia di titoli. 'Guardare questi film è divertente, naturalmente, ma anche nutriente, non trova? E in un certo senso, quando torno indietro — dentro di me, dopo aver scritto... non so se mi spiego... — questo ritorno all'Oriente mi nutre. Più di qualsiasi altra cosa, direi-. Più tardi, ritornando alla sua auto, gli chiesi se, secondo lui, anche quelli che vogliono bandire il suo libro desideravano, dentro di sé, «tornare indietro», cercando alimento nella religione •Lei mi chiede se io li comprendo: ebbene sì, li capisco. Ma, in un certo senso, non "tornano indietro" a qualcosa. Anzi, il loro estremismo è un che di nuovo. Io ho scritto della cultura • islamica nel mio romanzo, della cultura islamica sullo sfondo dell'Occidente... di una cultura islamica in cui sono cresciuto e che conosco bene. I suoi racconti sono i miei racconti. Ma la cultura islamica di queste persone è qualcosa di nuovo e pericoloso. Di fatto, ci troviamo in una situazione nella quale un manipolo di estremisti definisce l'Islam. E ciò che mi rende più triste è che costoro non fanno che alimentare lo stereotipo occidentale del musulmano arretrato, rigido e crudele che brucia i libri e minaccia di uccidere tutti i bestemmiatori'. IL mattino seguente, mi recai a piedi a St. John's Wood, dove si trova la Moschea Centrale di Londra, la più grande della città, e, a quanto mi avevano detto, la base organizzativa della protesta contro / versi satanici. Volevo incontrai» il dottor Ali Mugram al-Ghamdi, direttore generale del Centro culturale islamico, che ha gli uffici nella Moschea. Era lui a organizzare la guerra a Londra contro / versi satanici. Era stata riportata una sua dichiarazione che definiva il romanzo «il libro più offensivo, osceno e ingiurioso che mai sia stato scritto da un nemico dell'Islam: (...) Gli dissi di aver parlato del romanzo e della sua tematica spirituale il giorno prima con Rushdie, e leui mi aveva confidato: 'E' ovvio che non mi sono affatto messo a scrivere un romanzo sull'Islam e che il mio non è un romanzo sull'Islam. E' vero, il romanzo insiste moltissimo sulla vita spirituale: è un aspetto specifico del libro. C'è un vuoto, in me, dove prima soleva esserci Dio — io non sono più musulmano praticante — e volevo esplorarlo. Il romanzo fa proprio questo. Esplora». E adesso, seduto con il dottor al-Ghamdi, gli chiesi se gli riuscisse di intendere il romanzo in questi termini: una ricerca. -Il libro è davvero molto, molto offensivo — mi rispose sereno, senza alcun astio —: non potrò mai sottolinearlo abbastanza. E non posso certo presumere che lei, che non è musulmano, se ne renda conto.' Poi soggiunse: «£' qualcosa che l'autore ha fatto consapevolmente. Non è un semplice errore di scrittura'. Discutemmo allora delle parti dei Versi satanici che più avevano offeso i fondamentalisti islamici. Gli dissi che, sebbene i fondamentalisti cristiani potessero obiettare all'uso di allegorie e simboli cristiani in un romanzo come La lettera scarlatta di Hawthorne o a certe raffigu razioni storiche di Gesù in Ulrn come L'ultima tentazio ne di Cristo, si erano tuttavia resi conto che nella società occidentale non è possibile imporre l'ortodossia religiosa. (...) n dottor al-Ghamdi mi guardò allora come se lo stessi costringendo a praticare la virtù della pazienza. «Per noi — rispose — non si tratta di qualcosa che è successo tanto tempo fa. Per noi il profeta Maometto e la sua famiglia sono vivi. Sono qui, in mezzo a noi, e noi nutriamo per loro un amore profondo. Io sono pronto — e non soltanto io — a morire mille volte per far sì che Maometto e la sua famiglia non abbiano a subir danni A tal punto di angoscia il libro ci ha portati!'. Gli chiesi che cosa si potesse fare, secondo lui. Voleva che il libro fosse messo al bando, mi rispose. Sarebbe stato felice se la Viking aves- se rtirato il volume di propria iniziativa. (...) •La storia ci insegna che qui l'Islam non è mai stato accettato- disse. -Qui è possibile calpestare i sentimenti della gente. E questa lei la chiama libertà di espressione? C'è da stupirsi, allora, se la tensione emotiva cresce?-. (...) Si alzò, si diresse alla scrivania e prese un contenitore pieno di fogli. «Vede queste lettere?- mi disse. -Dovrebbe leggere ciò che dice la gente-. Chiesi se potevo leggerle. • Sono scritte in arabo-, rispose. -Lei non capisce l'arabo-. Ne prese una, poi un'altra, quindi sorrise tra sé. Che c'era scitto? -La cosa non la riguarda-, replicò. Il nostro incontro era finito. QUELLA, sera stessa fui invitato a cena a casa di Rushdie. A organizzare e servire il pranzo era la moglie, la scrittrice americana Marianne Wiggins. (Rushdie ha divorziato parecchi anni fa dalla prima moglie, che gli ha dato un figlio, Zafar). (...) A cena, guardando Rushdie proporre un brindisi all'americanissimo tacchino farcito con contorno di patate dolci che avevamo appena mangiato, mi venne in mente un brano dei Versi satanici in cui un ragazzo indiano, ospite di un collegio inglese soltanto da pochi giorni, si trova nel piatto per colazione pesce affumicato. Non ha la minima idea di come si fa a mangiarlo e i suoi compagni non hanno nessuna intenzione di spiegarglielo. Nel mangiarlo a fatica, il ragazzo ha un'intuizione: -L'Inghilterra era un pesce affumicato particolarmente squisito, pieno di lische e di spine, e nessuno gli avrebbe mai insegnato a mangiarlo...-. (...) Dopo pranzo, ne parlai con Rushdie. Mi sembrava fin troppo penoso, troppo dolorosamente buffo, che fosse soltanto uno scrittore autobiografico. -Sì, temo proprio di aver abbellito soltanto un poco quell'episodio — rispose —: da allora non ho mai più assaggiato pesce affumicato-. Era stato mandato a Rugby, dall'India, quando aveva tredici anni. La sua famiglia apparteneva all'alta borghesia di Bombay. Suo nonno era stato l'artefice della ricchezza familiare e il padre, morto due anni prima, stando alle parole di Rushdie, aveva trascorso il resto della vita a dissiparla. Prima di essere mandato all'estero, Salman, l'unico figlio maschio (aveva tre sorelle) era stato inviato alla Cathedra' School di Bombay, una scuola di stile inglese. •A Rugby mi sentivo infelice' mi disse un palo di giorni dopo, quando tornammo a incontrarci a casa sua. •Ma, se ricordo bene, volevo andarci a tutti i costi. Ero stato educato per andu,\... Molto convenzionale. Sgobbone. Ero il tipo di ragazzo cui si regalano soltanto libri. Nei giochi me la cavavo malissimo'. •Ma a Rugby scoprii subito di essere un indiano. Non ci sono indiani, in India. Ci sono classi, naturalmente, e identità regionali. Ma in Inghilterra si ragiona soprattutto in termini di razza. E in quegli anni, da scolaretto, la cosa non mi pareva affatto divertente.- Suo padre aveva frequentato il King's College di Cambridge e voleva che il figlio seguisse le sue orme dopo essersi diplomato a Rugby. Rushdie rifiutò e supplicò, ma poi fini per iscriversi, nell'autunno del 1964. Sapeva di voler essere uno scrittore, mi disse. Il suo ideale era Faiz Ahmed Faiz, un poeta urdù. Ma scelse di studiare storia e non letteratura. (Molti riferimenti alla storia islamica, nei Versi satanici, sono tratti da uno dei suoi scritti universitari). Cambridge gli piacque. Erano gli Anni Sessanta. •Tutti stavano ripensando tutto da capo, lo feci anch'iO'. Si appassionò di teatro, gli fu assegnata qualche piccola parte e lavorò tra le quinte in alcuni allestimenti universitari. Nella primavera del 1968 si laureo a Cambridge e tornò a casa: non a Bombay ma a Karachi, dove i suoi genitori si erano trasferiti parecchi anni prima, n suo soggiorno in Pakistan fu però breve e amaro. Poco dopo essere arrivato, si diede da fare per mettere in scena la Storia dello zoo di Edward Albee per la neonata televisione nazionale. -Be' — mi disse —, saltò fuori che nel dramma veniva menzionata la parola "maiale". Un personaggio è continuamente assalito dal cane della sua padrona di casa e, per tenerlo lontano, va a comprare degli hamburger e glieli getta. Ma non funziona. Al cane non piacciono gli hamburger. E il personaggio allora dice qualcosa sul fatto di non riuscire a capire per qual motivo gli hamburger non gli piacciano. Tutto sommato, non contengono poi tanto maiale da renderli disgustosi! Ok, il dramma viene censurato. Alla Tv pachistana non si può pronunciare la parola "maiale". Allora faccio ricorso e dico: ma che volete ancora? E'soltanto un dramma in cui un attore fa notare quanto sia disgustosa la carne di maiale. Voglio dire, a pensarci bene si tratta di una pubblicità assai raffinata contro il maiale. Ma nessuno la intese così. Maiale, per loro, era né più né meno che una parola oscena». Anche un articolo che scrisse per una piccola rivista sulle sue impressioni sul Pakistan venne censurato. Prima della fine dell'anno, decise allora di tornare in Inghilterra. Sarebbe tornato in Oriente, in futuro, solo per qualche breve soggiorno. (...) LJ ULTIMO giorno della mia permanenza a Londra, tomai di nuovo da Rushdie e riparlai con lui del suo romanzo. Ma la conversazione continuò a divagare oltre i confini, della letteratura. Riemerse il discorso sui fondamentalisti islamici. 'Ho una gran paura che riusciranno a far apparire alla genie questo romanzo come un pamphlet» mi disse. Una ventina di giorni fa, dopo il rogo di Bradford, gli parlai al telefono. Mi disse: •Mandato al rogo il mio libro, come se fosse stato un pamphlet, penso che si siano spinti troppo oltre. L'immagine del fuoco è cosi pregnante! Ha fatto sì che si preoccupasse di me e simpatizzasse con me anche geme che se n 'era stata al di là delle transenne a guardare. C'erano parlamentari laboristi — rappresentanti asiatici di Bradford — ad assistere a quel rogo. E per molte persone, questo è un pensiero orrendo. Cominciano a pensare: "Oggi è toccati a lui; domani toccherà a me"-. Mi colpi il suo uso dei pronomi: «lui», -me», -loro». E mi ritornarono in mente alcune parole che mi aveva detto poco prima che lasciassi casa sua, a Londra. -Scrivendo I versi satanici, penso di aver scritto per la prima volta con tutto me stesso: con la mìa parte inglese e la mia parte indiana, la mia parte che ama Londra e la mia parte che anela a Bombay. Soltanto davanti alla mia macchina per scrivere, da solo, potè vo fare una cosa simile. Ma quasi sempre la gente continuerà a chiedermi — a chiedere a chiunque sia come me — se sono inglese, pachistano o indiano. Ciò cui ho dato espressione e il senso di disagio provato da chi ha molte identità. Ciò che sto cercando di dirle — e che ho cercato di dire nel mio romanzo — è che dobbiamo fare i conti con questo stato di cose. Stiamo sempre più diventando un mondo di emigranti, formato da frammenti presi qua e la. Adesso siamo qui, ma non abbiamo mai abbandonato nessuno dei luoghi dove siamo stati-. Gerald ."Vlarzorati C'opjrishi «The N.Y.T. Magadne» i> per l'Italia «La Stampa» «Dopo avere intervistato il romanziere, sono andato a trovare il dottor al-Ghamdi, del Centro culturale islamico, che organizza la campagna antiRushdie a Londra. "E' il libro più osceno che mai sia stato scritto da un nemico dell'Islam — mi dice —: il Profeta Maometto e la sua famiglia sono vivi, sono qui in mezzo a noi, e per loro siamo pronti a morire mille volte. La storia ci insegna che qui l'Islam non è rispettato, qui è possibile calpestare i sentimenti della gente"». Londra. Un poliziotto di guardia dinanzi alla sede dell'editore che ha stampato il libro di Salman Rushdie (Reuters)