Esplode la voglia di verde

Esplode la voglia di verde PARCHI E GIARDINI AL CENTRO DI PROGETTI, SOGNI, AFFARI Esplode la voglia di verde Non si era mai visto un simile boom editoriale sull'arte del paesaggio - Le città pullulano d'iniziative fra entusiasmo e improvvisazione, mentre va in rosso la bilancia commerciale per piante e fiorì - Mancano anche i corsi universitari di preparazione • Gli esempi innovativi del Lingotto a Torino e della Bicocca a Milano • A Firenze «Boboli 90», progetto-pilota per il restauro dei giardini storici -1 privati ora vogliono l'orto e il frutteto MILANO — «Le case degli Italiani non cominciano più dalla porta d'ingresso, ma dal cancello. Il giardino rinasce». Lo dice Luca Pietromarchi, un devoto di fiori e piante, dei loro colori e delle loro forme. Insegna letteratura francese nell'Università di Trento, ma scrive con passione anche di arte e storia dei giardini. In sintonia con le nuove esigenze ecologiche, un fremito verde scorre su metropoli e paesi, su ville e terrazze. I segni del risveglio sono numerosi. In libreria spuntano testi rari, come n giardino dei colori della ammiratissima Gertrude Jekyll (a cura del Centro botanico di Milano), e ZHortus Sitwellianus, edito da Allemandi, in cui un gentiluomo inglese del primo Novecento racconta fra l'altro le sue estasi nei nostri splendidi e spesso declinanti giardini. Ma soprattutto ci sono opere nuove che nascono qui, da noi. L'editore Ouerini ha varato una collana di alti studi sul giardino; presso «La casa Usher- è appena apparsa una bella e documentata Storia del giardino italiano di Alessandro Tagliolini; L'architettura del giardino contemporaneo di Luigi Zagari (ed. Mondadori-De Luca) ha già esaurito in due mesi le sue tremila copie. E Ippolito Pizzetti dirige due collane, presso gli editori Muzzio e Arcadia, con racconti fascinosi di natura, animali e viaggi. Non basta. Gli Enti locali bandiscono concorsi, a Pietrasanta si annuncia un convegno sul giardino dell'Ottocento, la Grande Fiera di aprile a Milano contempla un inedito «Giardino dei giardini-, nei ministeri della Pubblica istruzione e dei Beni culturali si tengono riunioni fiume dove manipoli di professori si battono per strappare un corso di studi o la sovvenzione per un restauro. Ora, dove porta tutto questo fervore? Come si realizza la nuova moda verde? Innanzi tutto, le cifre confenrano l'interesse. -Dall'anno scorso le richieste di verde sono aumentate del 15 per cento», dice Walter Pironi, direttore della più grande scuola italiana per florovivaisti, a Minoprio 'Como). Nel settore lavorano o2 mila aziende, con 70 mila addetti, per un fatturato sui 2100 miliardi (dato Istat). E ben 40 mila ettari ospitano serre (seconda superficie al mondo dopo il Giappone). Tuttavia, non son rose e fiori. In primo luogo mancano le leggi: non si sa neanche se una serra è attività agricola o industriale; e sulle serre si gioca la partita decisiva della computerizza- zione (è appena nato, per favorirla, il Corriere della serra;. Poi, i Comuni hanno regolamenti troppo diversi tra di loro. Ma soprattutto ••l'Italia, da Paese esportatore, è diventato Paese importatore», come dice Arturo Croci, mentore dei vivaisti lombardi, direttore del periodico Flortecnica «Non riusciamo a soddisfare l'aumento della domanda. Abbiamo perso competitività n costo della manodopera aumenta, le nuove tecnologie scarseggiano, la concorrenza straniera è fortissima. Difficile lottare con la Spagna e il Kenya, fra poco con la Cina». Risi/Hata un deficit nella bilancia commerciale di 120 miliardi. Dall'Arizona Se questa è la temperatura del settore, le preoccupazioni per il modo con cui si abbatte sul Paese una tale ondala di fiori e piante sono tante. «Accadono cose spaventose», denuncia il presidente di Italia Nostra, Mario Fazio. «E' insensato piantare salici e palme su riviere liguri o toscane. Si seccano dopo poche settimane. Vengono spesi miliardi per specie botaniche che non c'entrano nulla né con l'ambiente né con le tradizioni locali». Rincara: «Abbiamo subito anche l'invasione dei cipressi dell'Arizona. Sono azzurri. Sono orrendi. E hanno portato infestazioni, dannose per gli altri cipressi». A Fazio sembrano quasi rispondere gli operatori. Dalla Scuola di Minoprio dice ad esempio Pironi: «La tendenza attuale è in realtà di rispettare le caratteristiche del luogo, di privilegiare le piante autoctone. Certi errori dovrebbero cessare, a mano a mano che si diffonde un'autentica cultura del verde». Si tornerebbe cioè ad amare i paesaggi di casa, dopo avventati raid esoiici. Addirittura sì ricercano meli, peri e ciliegi, da tenere proprio lì, a portata di sguardo, insieme con le rose e la lavanda, la salvia e i pomodori. «Orto e frutteto: queste sono le vere novità che si affermano oggi in un giardino privato», conferma Antonio Piazzi, alla testa dell'Assoverde. e dell'Assogarden, le due principali associazioni di centri per la costruzione del verde. La costruzione del verde. Quello pubblico conosce un pullulare di iniziative. Che cosa succede propriamente? «Non siamo più il fanalino di coda in Europa», dice con en- tusiasmo l'architetto Guido Ferrara di Firenze. E porta esempi. «E' quasi pronto il no-> stro progetto di recupero delle Cascine, che comprende sia il parco storico sia la sua prosecuzione in un'ulteriore area di 70 ettari, sull'altra riva dell'Amo. Un disegno molto ambizioso». E a Reggio Emilia è stalo varato un suo progetto per un parco di SO ettari fra l'aeroporto e l'ospedale psichiatrico. «Non c'è un albero, ora. Una desolazione». «Anche a Recanati, continua, abbiamo presentato un progetto per il colle leopardiano dell'Infinito, che i visitatori adesso possono soltanto osservare». Conclude con ottimismo: «Le città italiane possono cambiare faccia. La stanno già cambiando». Subito però si affacciano le note dolenti. Da una parte stanno i progettisti del verde: «Siamo l'unico Paese d'Europa, con l'Albania, che non ha una scuola di landscaping, di architettura del paesaggio», lamenta Gilberto Oneto, presidente dell'Aiapp, che raggruppa 200 architetti del verde. Lui stesso s'è laureato nell'Oregon. Solo l'Università di Genova ospita un corso di specializzazione per laureati. Dal prossimo anno accademico diventerà triennale. Lo dirige Annalisa Maniglia Calcagno («I nostri studenti sono bravi: hanno vinto concorsi anche a Parigi e a Boston»;. Qualcosa tuttavia comincia a muoversi. A Palermo sorgerà un corso analogo. Tenacemer.ie lo vuole Gianni Pirrone, docente all'università e animatore di convegni internazionali sui giardini. Pirrone spera di avviare anche una scuola per giardinieri specializzati: «Non ce n'è una. Eppure è necessaria. Da noi non si capisce che un giardino e uti parco hanno bisogno di manutenzione adeguata. C'è ancora la mentalità che il giardino sia un qualcosa di frivolo, di accessorio. Mentre invece e stato sempre concepito come parte integrante della casa». E in altre città si avviano iniziative volonterose, ma minori. Dall'altra parie stanno gli enti locali. Gli architetti del paesaggio lamentano spesso irnprovvisazione, mancanza di vera compeletiza. «In alcuni centri le cose vanno bene: ci sono tecnici di valore europeo», dice Franco Giorgetta. coordinatore del corso di aggiornamento in architettura del paesaggio nel Politecnico milanese. Ma in altre città la situazione appare disperante: «Siamo all'anno zero», confida Luigi Zagari. «Ko consegnato al Comune di Roma i progetti per il Gianicolo e per Monte Mario. Mi trovo di fronte a baratri. Non si sa più nulla, non si fa nulla. I poteri pubblici soìio frantumati, spesso non comunicanti se non conflittuali». Ancora: «Il fatto è che, con i progetti di nuovo verde, si pone il problema di un nuovo disegno urbano. Gli amministratori sono spaventatissimi. Nel solo centro di Roma abbiamo individuato 110 spazi che potrebbero essere reinventati con il verde. Ma ancora una volta ci si scontra con una tradizione che privilegia esageratamente edifici e lapidi, l'architettura in pietra». Qui si anniderebbe il male profondo: la divisione, il contrasto delle competenze fra chi progetta costruzioni in pietra e chi progetta verde. Gli architetti della natura dicono che possono intervenire soltanto -a muri fatti-, che la loro opera è considerata secondaria, che è limitata dagli smilzi bilanci dei committenti. Specificano: «I Comuni spesso non hanno voci autonome di spesa per il verde, che è labile e nascosto nei bilanci per gli edifici e i nuovi quartieri. Come se il verde fosse una cosmesi, un ritocco e un trucco in superficie». Tra i ciliegi Eppure, anche qui, subentrano esempi positivi. Il progetto vincente di Vittorio Gregottì per la reinvenzione della Bicocca a Milano comprende le idee di Paolo Peirone, architetto del paesaggio, torinese. «Ho dato un'impostazione molto mitteleuropea», racconta Peirone. -Viali, controviali, piazze. D. traffico rimane costretto, ovattato, entro grandi linee di siepi e alberi. E ho immaginato una collina tutta di ciliegi. Sarà bella». Ma aldi là dei contenuti, in questo progetto pare importante la novità metodologica di far agire le due componenti, quella architettonica e quella paesaggistica, in un'unica visione strutturale. Che è poi lo stesso metodo seguito da Renzo Piano nel suo progetto per il nuovo Lingotto. «L'idea di base, spiega Paola Maggiora, collaboratrice di Piano, è stata di integrare i due sistemi, il minerale (cioè gli edifici, le opere fisiche in cemento o altro) e il vegetale. Così ci sono sì quattro giardini, ma soprattutto c'è una collina, tutta da fare, che sale da una parte, si interrompe, scende infine dall'altra parte de! Lingotto. Come una compenetrazione. H tutto inserito in un enorme parco urbano che arriva al Po». Anche sul fronte dei giardini storici soffiano brezze di rinnovamento. Presso il ministero dei Beni culturali è stato costituito una specie di comitato di salvataggio. Ha redatto una •carta-, quasi un programma per il recupero dei capolavori verdi. Prepara il loro censimento. Ha quasi pronto un manuale per il restauro. Ma mancano mezzi, insorgono divergenze. E intanto ci son casi clamorosi. Sì, da una parte si avviano iniziative per conservare e valorizzare il Giardino di Boboli: il 9 marzo si apre il convegno internazionale «Boboli 90-. «I problemi sono tanti», spiega lo storico dell'architettura Luigi Zangheri, del gruppo organizzatore. «Per esempio, si continua o no a far passare gratis da tre a quattro milioni di visitatori l'anno? E che facciamo delle sculture? Le lasciamo lì a farsi corrodere dalle piogge acide? Rosario Assunto dice di sì, Argan dice di no. Le sostituiamo? Con statue di vetroresina o di marmo? E il vialone dei cipressi? I cipressi sono malati. Ne facciamo venir di nuovi dalla Spagna (quelli dei nostri vivai son troppo piccoli). Costano però sei milioni l'uno». Ma se •Boboli 90- sembra provocare una sorta di mobilitazione intellettuale fra gli storici dell'arte, se ambisce a far nascere quasi un progettopilota per il restauro, valido a livello nazionale, dall'altra parte ci sono le sciagure come quella di Villa Torlonia. «Il suo parco è definito sulle car te "verde circoscrizionale"», racconta Luigi Zagari, docente di Arte dei giardini. -Se ne fa un uso selvaggio. Capita perfino di vedervi un cuoco cinesf raccoglie i germogli di bambù nel boschetto che piantò Jappelli nel 1847». Claudio Altarocca Settignano. Il parterre della «Gamberaia», visto dalla loggia della villa che domina Firenze (da «Giardini italiani», Fabbri Editori)