Come pioveva di Guido Ceronetti

Come pioveva SUSSURRI E GRIDA Come pioveva Tutto quel che mi ricorda la pioggia, lo vado raccogliendo nella cisterna della memoria, la sola che si possa riempire abbondantemente, ancora. Allora si vede la funzione medica, di medicina attiva e insonne, insurrogabilmente benefica, spes unica, dell'arte: paesaggi con la pioggia, poesie dove la pioggia accompagna la cadenza del verso, musiche povere per strade piovose, Nord bagnati, Sud attraversati dal temporale, viottole (dire viottola è già fare letteratura: dove sono le viottole?) fangose, androni in giorno di pioggia, uscite dal cinema aprendo parapioggia, film dove la pioggia batte sui vetri mentre si lasciano gli amanti, giostre inondate, argini rotti dall'onda di piena... Oh poesia poesia poesia, riportaci la pioggia perduta, versaci questo poco di unguento sulla testa rincretinita dalli secchezza inesorabile, dalla maledizione di un cielo prosciugato e di una terra vetrificata, specchio dell'anima inaridita, dell'anima dove le piogge sono cessate già molto tempo prima! Oh che troia, la luna... E' sempre là, non finisco più di vederla. Che non mi parlino di cieli stellati, di coelo fulgebat luna sereno, è diventata peggio di una moglie ossessiva, petulante, onnipresente, che non si tollera più — la luna! Guardo in su: neanche una nuvola. Se c'è un poco di movimento, sono vapori tossici in transito, solo per stupide assuefazioni di linguaggio le dicono ancora nubi; in realtà sono dei Tir enormi, carichi di veleno, che percorrono autostrade invisibili nell'aria immobile. Neanche più un tuono, un fulmine di quelli che visitavano le case, bruciavano le gonne, lasciavano i parroci senza sottana, un martellare forte e di refrigerio intenso sui tetti... finito... finito... Dagli Osservatori viene la triste nuova che da cinquantanni le piogge vanno scemando, in Italia. Sempre meno, sempre meno, finché... Ma non ho cominciato ad accorgermene (noi abbiamo strumenti più lenti, sebbene meno insensibili, di percezione) che da sei o sette anni. Lo sforzo di adattamento alle piogge troppo brevi (mezz'ora al massimo, poi sole di nuovo, interminabilmente) mi ha modificato il carattere: sono mo'to più irritabile, infastidibilc, maldisposto a tollerare i difetti miei e degli altri. La mancanza di pioggia dà sintomi di astinenza: è qualcosa di simile all'astinenza sessuale prolungata, alle crisi di disintossicazione, all'amenorrea. Sempre meno sopporto i luoghi comuni, le domande automatiche, i «come stai?», il parlare come se la mutazione macro e microcosmica in atto, come se la stretta del Male sulla gola dell'uomo non fossero neppure lontanamente udite, il non-capire del cretino e la tremenda forza cretinocratica del cretino. Sotto un cielo così ferocemente sereno, il cretino è molto più micidiale che sotto un cielo piovoso. La pioggia è misericordia, addormenta come la morte le differenze e i contrasti: cretino e intelligente sono uguali, spariscono entrambi, sotto un parapioggia. Faccio un breve catalogo di PIOGGIA E ARTE. Già soltanto nel sentirmele sotto le dita seri-enti, queste due parole, respiro meglio. A Torino, alla Sabauda, un inobliabile Tempora/e a Collegno (epoca Rivoluzione Francese, credo 1792) di Cesar Van Loo. Di Harunobu, Hokusai, Utamaro, incantevoli Giapponi piovosi, ponti sotto la pioggia fittissima, resa mirabilmente dalle chine, le oiràn e le dame coi chimoni inzuppati, le barche ormeggiate sotto il peso dell'acqua, i vecchi col bastone seminudi che la sapienzi". ripara meglio di qualsiasi locanda o parapioggia. Di Vincent Van Gogh, poeta dei due estremi, il sole più intenso, la pioggia più clemente, oh i paesaggi bagnati della Drenthe, le strade lungo i canali, le contadine gonfie d'acqua, t cimiteri, le guinguettes... Uno speciale valore simbolico, nell'attuale oscura pestilenza, assume (come la distanza l'ingrandisce, adesso!) l'acqua che «porta via il contagio», al termine del roman¬ zo manzoniano. Si annunzia, tromba di salvezza, proprio sopra e dentro il lazzaretto, dove i lampi s'inseguono tra le piaghe, sopra i tetti e per gli archi dei portici. Purtròppo, le nostre sarebbero piogge sporche, ma l'illusione di esserne lavati e mondati sarebbe già fortemente benefica. Poi, nell'incomparabile Gesualdo verghiano, quell'attimo sublime, l'addio del morente alla roba, al paesaggio, a Diodata, nel penultimo capitolo, sotto la pioggia battente; la lettiga che passa lenta nello svanire delle cose e dell'apparenza della vita: «E si buttò all'indietro, col cuore gonfio di tutte quelle cose che si lasciava dietro le spalle, la viottola fangosa per cui era passato tante volte, il campanile perduto nella nebbia, i fichi d'India rigati dalla pioggia che sfilavano di qua e di là della lettiga». E' difficile reggere a tanta bellezza. La bellezza è un colpo che pietrifica. L'unica volta che fui a Vizzini, non molti anni fa, miracolosamente pioveva come il giorno dell'addio di Gesualdo: vacillavo come ubriaco, di ubriacatura unica di felicità panica, con l'ombrello saldamente chiuso; senza lo stile che cosa è mai per essere l'esistenza umana? Di Leonardo, un pensiero sulla «grazia e bellezza» dei volti in giorno di pioggia, e gli scritti e i disegni che scaturirono dalle sue immense meditazioni sul Diluvio. Di Leopardi, il lungo frammento «Spento il diurno raggio in occidente»: l'anima muove ad un appuntamento amoroso (la morte) purificandosi attra¬ verso un mirabile temporale. Di Baudelaire, Bruma et pluies, dove i printemps trempés de botte accendono ora sotto questo nostro azzurro avvelenato, un nuovissimo struggimento. Di Machado, «Llueve. Tras ci cristal de la ventana...» e, più forte di ogni umida pittura d'Impressionista, il temporale che inzuppa il corteo di nozze, già imbibito d'alcool, di Gervaise e Coupeau, nell'Assommoir, altra bellezza pura, da siderale. Vorrei mettere nell'elenco qualche titolo di film con sequenze indimenticabili di pioggia, ma non me ne viene in mente nessuno; eppure ci sono stati grandi registi e fotografi di pioggia. Può darsi che // fiume, del vecchio Renoir, avesse pioggia di monsone. Ma, sicuramente, film inglesi piovosi, e giapponesi... purtroppo non ricordo... Tre o quattro parole, in A Sludy of History di Arnold Toynbee evocavano «le fradice foreste dello Yucatan» e le pietre bene inondate dei Maya... Tra le canzoni brilla soltanto, forse, Come pioveva, mai morta, bellissima; tutte le altre lodano sconciamente, adulandolo come uno Stalin, l'eterno azzurro. Uno dei dischi di Effetti Sonori contiene due o tre minuti di pioggia tegistrata: una voce da oltretomba, come la Duse, Gandhi, Petrolini, Caruso... Quel tamburo lieve, quella carezza sbucata dalle avare tasche della vita, quell'angelico solfeggio sui vefi appannati, già è diventato soffio del mai più. Guido Ceronetti

Luoghi citati: Collegno, Gesualdo, India, Italia, Torino, Vizzini