Ventitré lettere a Michelstaedter per perdere l'anima di Gianni Vattimo

Ventitré lettere a Michelstaedter per perdere l'anima «Il richiamo della persuasione»: un originale dialogo filosofico di Roberta De Monticelli Ventitré lettere a Michelstaedter per perdere l'anima CI sono vari modi di leggere il libro di Roberta De Monticelli su II richiamo della persuasione, costniito come una serie di lettere a Carlo Michelstaedter (ventitré, tanti quanti gli anni della vita del filosofo goriziano, morto suicida nel 1910). Si può ammirare la genialità dell'idea e il fascino dello stile, che fa del libro un esempio significativo di quella ricerca di una nuova scrittura filosofica che impegna oggi tanti filosofi, soprattutto in Italia e in Francia. Si può anche riflettere ancora una volta sul fatto, apparentemente paradossale, che questo libro di filosofia «meditativa» è opera di una studiosa cresciuta nella tradizione analitica (Roberta De Monticelli ha scritto, prima di questo, un libro su Frege e Wittgenstein). Da questo ambito, più che dalla filosofia «continentale», sembrano provenire oggi i più chiari impulsi alla ripresa di problematiche filosofiche classiche (i . problemi della «gnoseologia», che il pensiero continentale ha un po' messo da parte; e tutte le questioni relative alla adeguatezza o meno del linguaggio a dire la «verità», ma questo viene a sua volta dalla Vienna di Wittgenstein, dal Lord Chandos di Hoffmansthal...). Ma forse il modo migliore di affrontare il libro è quello di sottolineare il nesso che vi è tra la sua forma epistolare e il suo contenuto concettuale: non solo perché le cose di cui esso parla forse non si lascerebbero dire nella forma del trattato o del saggio; ma anche e soprattutto perché le «tesi» di De Monticelli, che con una sua espressione si possono indicare come una «metafisica vocativa», sembrano richiedere in modo perentorio questa forma di comunicazione -personale». La «persuasione» di cui parla il titolo richiama un altro titolo, quello del libro principale di Michelstaedter, La persuasione elarettorica. Persuasione è là l'intimo convincimento di una verità, retorica sono invece i molti modi in cui si cerca di produrre, comunicare, raggiungere la persuasione, che però sfugge sempre a queste tecniche, e anzi in fondo sfugge al linguaggio stesso: una verità profondamente vissuta, quando si esprime in parole, rispettando le regole morte e convenzionali di una grammatica e di una sintassi, è già perduta. All'origine della dicotomia, di Michelstaedter stanno, come si capisce, Platone, Parmenide, tutta la filosofia classica greca con la sua passione per il mondo vero ..«Slelifi .idee, delle essenze. Immutabili. Michelstaedter innesta su questa eredità classica una concezione dell'essere come volontà (e la persuasione, l'evidenza intima della verità si identifica con l'autenticità di un destino, il volere profondo dell'io); e Roberta De Monticelli innesta ulteriormente su questo insieme una accentuazione del rapporto con l'altro (che, nelle ultime pagine del libro, diventa decisamente l'Altro, con la maiuscola); cioè un elemento cristiano non così visibile in Michelstaedter, e che, in qualche modo, conduce alla fine a un superamento della contrapposizione tra persuasione e retorica. La persuasione è bensì quel nocciolo profondo a cui la volontà sempre aspira come a un punto di consistenza; ma questo voler consistere (soprattutto per l'effetto storico del cristianesimo, sembra dire De Monticelli) scopre che il suo obiettivo non è nell'io, ma in un altro (del resto, la ricerca della verità sembra potersi quietare solo nell'assenso che si dà a qualcuno, non a una cosa). Cosi, nella ricerca della propria consistenza, l'anima scopre che deve percorrere la strada lunga delle molteplici forme di vita che le si presentano nel mondo; o anche i molteplici messaggi della cultura della tradizione; cioè, in fondo, la retorica. Retorica nel senso cattivo, di ostacolo dell'autenticità, sembra allora essere proprio l'attaccamento al proprio (preteso) io vero e profondo: solo chi perde la propria anima la salva, si potrebbe dire. ., Fino a che punto si spinge, in Roberta De Monticelli, la consapevolezza che l'autenticità implichi un perdersi? Ella insiste spesso sul fatto che, nel corso delle sue meditazioni in dialogo ideale con Michelstaedter, la persuasione si è allontanata sempre più dal modello del «possesso», apparendo invece come qualcosa di «femmineo» («Pare che alla stirpe di Eva sia stata risparmiata l'illusione della propria sufficienza'; l'equivoco della falsa persuasione). Ma il lettore si domanda se la forma stessa della «meditazione», della latina recollectio, il raccoglimento e recupero di sé, non sia comunque sempre legata al modello del possesso. Il dubbio è giustificato anche dal fatto che, tra gli autori evocati nel libro, pochissimi sono i moderni, almeno i tanti che più sono stati attenti a seguire il modello «dispersivo» dell'anima come unica via di salvezza (non è il caso di Quine e di Husserl, richiamati qual' che volta, e quest'ultimo, anzi, in posizione determinante nella conclusione). Non pensiamo qui a Nietzsche, ma anche solo allo Hegel della Fenomenologia dello spirito, nelle pagine che descrivono il passaggio dalla «coscienza infelice» alla «ragione» (che si conquista proprio disperdendosi nel mondo). Avrebbe avuto dunque ancora una volta ragione (non solo su Nietzsche e Hegel, ma anche su Gesù e il cristianesimo) la tradizione greca, il sogno platonico di un mondo vero, lo «spirito di gravità»? Gianni Vattimo Roberta De Monticelli, «Il richiamo della persuasione — Lettere a Carlo Michelstaedter», Marietti, 115 pagine, 16.000 lire.

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