Così Roma e l'Oriente vissero insieme a Bisanzio di Sergio Quinzio
Così Roma e l'Oriente vissero insieme a Bisanzio In una raccolta di saggi, curata da Ducellier, la storia millenaria del grande impero, alle radici della cultura ortodossa Così Roma e l'Oriente vissero insieme a Bisanzio UNA delle più suggestive personalità della Russia del secolo scorso, Konstantin Leont'ev, scrivendo Bizantinismo e mondo slavo osservava che Bisanzio sopravvisse alla caduta dell'impero romano d'Occidente per mille anni, ma che malgrado questo la vicenda del suo impero resta pressoché sconosciuta. «Quasi tutti gli scrittori occidentali — scriveva — ebbero e mostrarono a lungo predilezione o per il repubblicanesimo, o per il feudalismo, o per il cattolicesimo e il protestantesimo: perciò Bisanzio, autocratica, ortodossa e per nulla feudale, non poteva ispirare loro la minima simpatia». Gli entusiasmi di Leont'ev per la civiltà bizantina, come nel nostro secolo quelli del teologo russo Georgi] Florovslrij, sono molto probabilmente eccessivi; ma rappresentano un utile correttivo alle interpretazioni occidentali, che hanno finito per vedere in Bisanzio nient'altro che estenuata debolezza, turpi corruzioni, perfidi intrighi. Secolari conflitti storici, evidentemente, condizionano in profondità, loro malgrado, anche studiosi che intendono essere oggettivi e «scientifici». L'Oriente europeo è nato, è vissuto e cresciuto in simbiosi con Bisanzio. Oggi che, rompendo un lungo isolamento, la «perestrojka» gorbacioviana sta riportando l'Europa dell'Est al crocevia non solo della cronaca ma della storia, conoscere la vicenda bizantina è indispensabile per comprendere, attraverso la loro formazione, natura e caratteri di quei Paesi. Le recenti celebrazioni del millennio del battesimo della Russia ci hanno indicato questa direzione, aperto questa via. I discorsi che una decina d'anni or sono faceva il Papa polacco, additando nell'Occidente e nell'Oriente i due polmoni dell'Europa, non sembrano più così utopistici: si offrono possibilità per un concreto avvicinamento, che non può non essere anzitutto culturale. Anche l'Occidente ha bisogno di uscire dalla sua unilateralità, di allargare il suo spesso presuntuoso orizzonte mentale. Einaudi ha tradotto Bisanzio, un voluminoso libro che lo storico francese Alain Ducellier ha scritto con la collaborazione di altri sei storici, fra i quali l'italiano Antonio Carile, studioso, in particolare, delle relazioni tra Venezia e Bisanzio. Si tratta certamente di un lavoro poderoso, che propone in un quadro d'insieme i risultati delle ricerche più aggiornate. E' altrettanto certo che il libro richiede un lettore capace di non scoraggiarsi di fronte alla valanga di dati, di nomi, di date che è inevitabile affrontare se ci si vuole orientare, almeno sommariamente, in un millennio di storia per molti aspetti diversa dalla nostra. L'esposizione non tiene conto soltanto di guerre e di paci, di questioni dinastiche e di palazzo, ma dà ampio spazio alle caratteristiche geografiche delle diverse regioni, alla reale vita della campagne e delle città nei vari periodi e luoghi, al'economia e alle tecniche, alla cultura e all'arte. Quel che emerge in primo piano è l'ideale autocratico. L'idea imperiale romana, venuta a contatto con l'Oriente, aveva conosciuto la sovranità assoluta, ma solo con la conversione di Costantino al Cristianesimo l'unicità dell'Imperatore poteva essere concepita come rispecchiamento sulla terra dell'unicità di Dio. Come c'è un solo Dio in cielo, cosi sulla terra deve esserci un unico sovrano universale, emanazione dell'Onnipotente e perciò inseparabile dalla vera fede, l'ortodossia. Caduta Roma nel 476, la «seconda Roma», Bisanzio, estende dunque di diritto, nel nome di Dio, la sua insindacabile sovranità su tutti ; popoli. L'impero bizantino conosce nei secoli espansioni e ripiegamenti: il suo asse si sposta dal Mediterraneo all'Eurasia, e diventa poi un impero soltanto greco, che si restringe infine alla città di Costantinopoli e al Peloponneso. Ma conserverà sempre i suoi caratteri fondamentali, non verrà mai meno la coscienza, il sogno della sua assolutezza e universalità. Espiate le colpe, Dio avrebbe resti tuito le terre perdute e dato quelle ancora mai possedute. Da queste premesse deriva, insieme a una tenace vitalità, una tendenza, per certi aspetti contraddittoria, alla fissità delle forme, che si manifesta per esempio nella mancata evoluzione delle tecniche agricole, peraltro niente affatto inefficaci. Al lento dissolversi dell'Impero, destinato a culminare nel 1453 con la conquista turca della capitale ad opera di Maometto II, si accompagna il processo di formazione degli Stati balcanici e della Russia. Alla fine, quasi insensibilmente, l'Impero si sarà consumato e in suo luogo saia rimasta, separandosene solo all'ultimo momento, l'ortodossìa: grande e ancora viva forza spirituale che costituisce il cemento che sotterraneamente lega fra loro le diverse nazioni dell'Est europeo. Si conclude così la storia di Bisanzio, storia dell'incontro fra «romanità» e «Oriente», la cui originalità deriva anzitutto dal fatto che nessuno dei due elementi è mai definitivamente prevalso. Sergio Quinzio Alain Ducellier, «Bisanzio», Einaudi, pagine XVIII-486, lire 55 mila. Ravenna. Mosaico della chiesa di San Vitale
Persone citate: Alain Ducellier, Antonio Carile, Ducellier, Einaudi, Konstantin Leont'ev
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