Tomizza scopre l'infelicità di Paolina di Carlo Carena
Tomizza scopre l'infelicità di Paolina In romanzo una storia femminile del 700 Tomizza scopre l'infelicità di Paolina PAOLINA Rubbi moriva nella sua villa di Paderno la tarda sera del 12 agosto 1749, con un flebile sorriso e un'ironica battuta alla veneziana, rivolta alle domestiche. Nei venticinque anni della sua esistenza, tutta trascorsa fra Venezia, Padova e il Trevigiano, aveva raccolto niente, e molto. Sarebbe affondata anche lei come i più nel buio, se il marito, l'economista, scienziato e poligrafo Gianrinaldo Carli, non si fosse inviperito col medico curante e non avesse redatto una memoria, Private disavventure d'una dona di vero spirito, non le avesse fatte stampare e non ne avesse salvato un unico esemplare, questo non si fosse conservato alla biblioteca di Lucca, lì non l'avesse rintracciato duecento e trentcnove anni dopo Fulvio Tomizza, non si fosse appassionato della vicenda, non ci avesse indagato e immaginato sopra, non ne avesse rifatto il racconto per noi, e Bompiani non l'avesse pubblicato. La copertina del libro reca un particolare del Pittore nello studio di Pietro Longhi. Così ritagliato, mostra l'artista che abbozza sul cavalletto, guardando verso l'ombra a destra, il ritratto dì una donna. Sta terminando l'occhio, vivido sopra la bocca più misteriosa. Così Tomizza, dal testo sussiegoso e un po' velleitario del Carli, tira fuori il profilo di un personaggio appena percettibile, tentando di capire fra le righe e di delinearlo allo sguardo del lettore, esattamente preso dalla creatura come se uscisse solo dalla sua invenzione di romanziere, ma col rispetto che si ha verso chi non vive solo nella fantasia ma ha portato sulla terra il peso di un'esperienza assai dura. All'affresco storico e alla ricchezza di riferimenti culturali presenti nella parabola del vescovo Vergerlo in II male viene dal Nord (1984), e ai più labili frammenti del luteranesimo istriano di Quando Dio uscì di chiesa (1987), qui, per il felice incontro di una vera eroina, si contrappone un racconto più concentrato e teso, intiepidito di vera, nascosta commozione. Appassionato alla vicenda, ai personaggi e all'ambiente, lo scrittore ha finito per impietosirsi e invaghirsi dellaprotagonista, e come tutti in questi casi cerca di comunicarci la sua scoperta. La narrazione comincia col padre di Paolina Rubbi, Agostino, ricco erede di un commerciante di droghe e bravo industriale di lane e colóri, basso, robusto, un ' imprenditore sagace e instancàbile con fondachi, palazzi, ville e terre a Venezia, Conegliano, Paderno. La moglie Bortolo Ilaris Nerini gli dà anche nove figli in undici anni. Un piacere, una fortuna, non fosse stato per la maledizione della tisi che viene via via falcidiando il padre e sei figli. Rimangono tre ragazze, la più anziana è Paolina, e tocca a lei amministrare l'azienda e accasare anzitutto le sorelle. Qui entra ir sema il suo biografo, nelle vesti allora di uu pretendente più sfiduciato che timido, dalle non ignobili origini istriane e dalla buona intelligenza ma senz'altra dote che quest'ultima per insinuarsi in un partito che, nonostante le calamità, rimane giustamente ambito. I trenta mesi dì avvicinamento fra le due parti, complice immancabile un prete dal nome di don Ottavio, sono la lunga e breve sezione della commedia ancor più dell'idillio, perfetta cor: 'o scenario delle feste, dei caffè, dei salotti, entro un trittico che precipita poi rapidamente verso il dramma. Dopo due anni soli di matrimonio, la donna ferma e sicura di sé, lucida nell'intelligenza della vita e dei suoi ruoli, lucida anche nel presagio della propria condanna, rivela sempre più chiaramente i sintomi del male congenito. Comincia il calvario di Paolina nelle mani di una pattuglia di dottori rissosi e impotenti, dall'iniquo medico curante ai luminari del tempo. La paziente viene trasportata da Venezia a Padova a Paderno in stato di deliquio, sfinita dai salassi, o in labili riprese, sul burchiello o la carrozza, mentre intorno sboccia la primavera e contrasta e scompare di fronte al suo pallore e alle sue crisi. Le andavano cavando, col sangue dei salassi, la vita. Le fu tolto di torno per precauzione prima il figlioletto piccolo piccolo poi il marito. Nella sua solitudine, che le anticipa l'ultimo salto nel vuoto, non ha accanto che un giovane botanico-amico, dì famiglia, Vitaliano Donati, l'unico, sembra, a suggerire con la sua arte, se non rimedi, sollievi, e l'unico che vada oltre nel capire cosa si sta consumando fra le quattro pareti di quella stanza abbandonata da tutti. Nessuna tristezza in Paolina, che muore sorridendo di sollievo a venticinque anni; pagine intrise di rimandi più alla letteratura, si direbbe, che a una realtà, ma col timbro inconfondibile di quest'ultima, in tutta la sua povertà. Il marito le sarebbe sopravvissuto per quarantacinque anni intensi e movimentati, celebre se non famoso, in rapporto con Tortini, Goldoni, Parini, i Verri, Beccaria, la corte di Vienna e Milano, e un certo abate Nicolini, che gli combinerà un secondo matrimonio. Ma ha ragione Tomizza: quest'altra e assai più ampia fetta di vita del Carli non sembra serbare stimoli tali da invogliare a ricomporla; e così il romanziere ha chiuso dove per altri veniva il bello. Manca quell'alone che velava e ricacciava indietro la prima. Carlo Carena Fulvio Tomizza, «L'ereditiera veneziana», Bompiani, 178 pagine, 20.000 lire. Longi: «Il pittore nello studio», pari.
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