Albertazzi con nostalgia di Donata Gianeri
Albertazzi con nostalgia Il popolare attore non vuole cancellare il passato Albertazzi con nostalgia «In famiglia eravamo tutti fascisti; allora avevo diciotto anni e, con Salò, passai dalla parte perdente» Il Mostro Sacro, il Grande Seduttore è di nuovo tra noi. Dopo i suol magnifici rifiuti, i volontari esilii, le plateali accuse, «il teatro è morto», Giorgio Albertazzi torna a calcar le scene. Ma nulla in lui è mutato: come sempre irto di ribellioni, sarcasmo, voglia di stupire e come sempre gentilmente arrogante e bellicosamente pieno di sé, «sono il più grande attore del mondo», Albertazzi, l'inimitabile voce profonda e suadente oppure acuta e beffarda, continua mirabilmente a interpretare Albertazzi: attore amatissimo e maudit. — il libro di memorie da lei scritto sta andando a gonfie vele, il suo mestiere di attore, invece, ha subito una battuta d'arresto. Allora, Albertazzi: il teatro o la letteratura? «Entrambi, direi: sto scrivendo un nuovo libro. L'altra di lei, romanzo e saggio secondo il mio stile, e preparando il mio nuovo spettacolo. Inoltre, ho appena terminato un film per Rai2, Il potere degli angeli, tratto da un dramma del cecoslovacco Pavel Kohout, di cui sono regista e protagonista. Un bel film che doveva partecipare al Festival di Berlino, se fosse stato finito in tempo. Ma anche la letteratura mi ripaga: il mio libro, Un perdente di successo, ha già venduto 25.000 copie». — Perché si considera un perdente? «Perché tante volte sono arrivato sul crinale di una carriera che prometteva di proseguire in modo sfolgorante e invece la mossa sbagliata mi ha fatto precipitare. Inoltre, credo di aver fatto sia in teatro che in televisione cose egregie: ma nessuno sembra ricordarsene. Nessuno mai mi ha offerto un posto, una sedia, un incarico. Pazienza: d'altronde perdere è creativo». —Nel suo libro, lei ha scritto anche cose che forse poteva passare sotto silenzio: come la storia di quando fu repubblichino, a Salò. «Sotto silenzio, perché? Uno dei motivi per cui ho scritto il libro è proprio per liberarmi da quel rospo. Anche se non me ne vergogno affatto. Se tornassi indietro, nello stesso contesto politico e sociale, rifarei le stesse scelte. Ero diciottenne, mi avevano appena ammazzato uno zio, fascista della prima ora, avevo un padre, buon fascista medio, amici tutti fascisti e non volevo imboscarmi: scelsi, volutamente, la causa persa, per il piacere dell'avventura». — Meno romantico il fatto di finire in galera, accusato dell'esecuzione di un partigiano. «Diciotto mesi di detenzione alle Murate di Firenze: non rimpiango neanche quelli. Mi permisero di leggere Marx, Freud e Proust: mi avessero dato l'ergastolo, sarei diventato coltissimo. Quanto all'accusa, fui assolto con formula piena, per non aver commesso il fatto». — Che effetto ha provato a rovistare in tutte quelle macerie? «E' stato come parlare di un altro. Anche se l'esperienza fascista ha completamente condizionato la mia vita inserendo nella mia natura, tendenzialmente dionisiaca, l'elemento tragico: che io oggi ho imparato a combattere grazie alla satira. Come di¬ mostro nel mio ultimo spettacolo: "Dannunziana"». — Dannunziana, perché? «Perché almeno due delle situazioni che lo compongono, e precisamente Gioconda Nuda e Vertigine, partono da un'idea paradannunzlana; mentre la terza, Il Demone, è interamente scritta da me. Tutti e tre gli episodi sono legati al mito di Pigmalione che si aspetta di possedere Afrodite, dopo averne costruito la statua e averle dato vita. Debutto, il 24 febbraio, al Teatro della Compagnia di Firenze; protagonista, Mariangela D'Abbrafiio che interpreta la Regina in tutti e tre gli episodi. Mentre il personaggio Albertazzi, che fa?... — Io non lo so che fa: me lo dica lei. «Ecco: fa il buffone della Regina, sua ispiratrice dalla quale a sua volta viene domi¬ nato. E per non soccombere trasforma se stesso in personaggio satiresco, parlando in modo inimitabile, in falsetto, sia per sedurre la regina che per possederla. In poche parole: è 11 demone». Com'è che lei, Albertazzi, torna sulle scene dopo aver sparato a zero sul teatro e giurato che non ci avrebbe più rimesso piede? «Infatti io continuo a non farlo, il teatro: voglio dire quello serio, di repertorio. Perché il teatro mi fa orrore, è morto: e con lui, sono morti gli attori. Sulla breccia, sono rimasti soltanto tre o quattro bravi. E non servono. Perché rifanno quello che già esiste. Mentre un vero attore deve saper dar corpo alle ombre». — Immagino che lei sia un bravo attore, capace però di dar corpo alle ombre. «Naturalmente sì. Ma sono solo». — E allora? «Allora scappo, fuggo, mi apparto. Perché non mi va più di fare un teatro che è diventato una cialtronata E perché non mi va più di recitare nel carrozzone statale. Io sono uno che scappa sempre, quando sente odore di inutilità. D'altronde, fare l'attore non mi ha mai interessato: è un mestiere esecrabile. Non ne capisco la mistica, l'affanno. E poi gli attori sono stupidi. A me non interessa recitare, ma sedurre. E per questo non c'è bisogno di pubblico, mi basta una persona cui parlare, parlare, parlare: sinché finisco di incantarla, come il Pifferaio Magico. Sono un magnifico affabulatore». Donata Gianeri Giorgio Albertazzi re del palcoscenico italiano
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