Stregato dalla regina Vittoria

Stregato dalla regina Vittoria UNO STORICO AMERICANO NEI SEGRETI DI BUCK1NGHAM PALACE Stregato dalla regina Vittoria Frugando per mesi negli archivi reali, Stanley Weintraub ha scritto una monumentale biografia - «Nuovi documenti sono divenuti accessibili» - E racconta la sovrana anche come donna, moglie e madre - L'infanzia, il fidanzamento, i rapporti con la Corte, il magico Giubileo - Quando Vittorio Emanuele le disse d'aver pensato di farsi frate PARIGI — Un americano a Buckingfiam Palace, intento a frugare per mesi negli archivi, un biografo attento, docente dell'Università di Pennsylvania: Stanley Weintraub. Già si era cimentato con personaggi dell'epoca vittoriana e, alla fine, ha affrontato Vittoria stessa. Il suo Victoria, an intimate biografy, quasi settecento pagine, edito a New York, è ora tradotto a Parigi per Laffont. Difficile pensare che questa sarà davvero l'ultima biografia della grande regina; si può soltanto presumere che abbia carattere definitivo, considerando anche il rilievo delle precedenti, soprattutto quella «letteraria' di Lytton Strachey e quella più storica di Elizabeth Longford, così esaustive d'aver scoraggiato altri biografi. Perché la fatica di Weintraub? «Dall'inizio degli Anni Sessanta in poi. ci spiega, le nostre fonti d'iruormazioni relative alla regina Vittoria si sono arricchite in modo considerevole e nuovi documenti sono divenuti accessibili. Un suo nuovo ritratto si proponeva quindi come attuale». Weintraub — la cui opera più nota in Europa è probabilmente il saggio sul novembre 1918 e la fine della prima guerra mondiale — è stato così toccalo dal fascino che continua a sprigionarsi da Vittoria — donna, regina, moglie, madre —- come una sorta di attrazione magnetica; Vittoria al centro di un mondo colmo di fermenti, sul trono più prestigioso d'Europa, con l'attitudine ad annotare nei suoi diari, giorno per giorno, ciò che le accade e avviene intorno a lei, con acuto spirito d'osservazione, in un arco di tempo che copre 64 anni di regno, dal 1837 al 1901. Regno eccezionalmente lungo nella storia britannica. Vittoria sintetizza un quid unicum e come tale accende d'interesse prima una corte di piccoli biografi, poi un letterato come Strachey. Pareva, c quel punto, non potesse esserci nulla da aggiungere ma la Longford aveva in serbo una sua biografia, non superiore a quella di Strachey, ma diversa. E nel frattempo c'era stato L'album di Helmut e Alison Gemsheim, intessuto di parole e immagini, un'iconografia rilevante, dal primo acquarello di Denning. del 1832, quando Drina — il diminutivo di Vittoria, tratto dal primo nome, Alessandrina, — non aveva che quattro anni, fino ai suoi funerali. Un terreno, dunque, molto "frequentato» quello in cui si è inoltrato Weintraub. Occorre poi non dimenticare che egli è americano e ci si poteva perciò aspettare da lui la rudezza yankee nel trattare monarchie e dinastie europee. Weintraub ha raccolto la sfida. «La mia biografia, ci fa sapere, si pone in una nuova e differente prospettiva proprio perché è scritta da un americano come me, anche se questi può vantarsi di essere, per così dire, per la frequenza dei suoi soggiorni e la lunga affezione che lo lega all'Inghilterra, un yankee londinese». Tra i Lords Sulla scia dei biografi che l'hanno preci du 'o, Weintraub cercava la Viliu ia più vera e, forse, l'ha trova'% non cercava quella anticonformista, che forse non esiste, e non ha potuto darcela. Alla fine ringrazia la regina Elisabetta d'averlo autorizzato a riprodurre certi particolari documenti degli archivi della famiglia reale, e tutto finisce cosi nell'ombra discreta di Buckingham Palace. Sono ancora una volta i famosi Diari la fonte principale e il Journal compilato negli Highlands della Scozia, durante le vacanze; si è quasi perso, di quest'ultimo, il ricordo della remota traduzione in italiano, in bell'edizione illustrata coi tipi dei successori Le Monnier, Firenze 1884, a dieci lire la copia. La regina Vittoria di Weintraub è quella di sempre, nei non facili rapporti con la madre, quindi con la Corte, fidanzata ad Alberto, moglie, poi vedova, Imperatrice delle Indie, da sorridente e felice a tristemente plumbea, con il velo bianco che sostituisce spesso la corona. Esplode nel frattempo la società industriale, muta la carla geografica del mondo, nasce pure l'Italia unita, e oltre i mari si consolida l'Impero britannico sul quale non tramonta il sole, cantato da Tennyson e da Kipling. E' il momento magico del giubileo del 1897. Vittoria, al suono delle fanfare, riluce mitica, come la vide Benjamin Constant che la ritrasse sul trono della Camera dei Lords, soffusa di un alone quasi divino. Tutto ciò Weintraub lo registra anche nell'aneadotica minore, la più suggestiva. Difficile non cercare subito la pagina del diario in cui Vittoria racconta del 4 dicembre 1855 quando da Torino arrivò Vittorio Emanuele accompagnato da Cavour. Vittoria, che gli conferisce l'Ordine della Giarrettiera, si diverte a vederne lo sguardo un po' acceso, gli occhi inquieti, i baffi ribelli, poi ne scrive allo zio Leopoldo del Belgio per dirgli che questo «signor re del Piemonte (...) rassomiglia piuttosto a un cavaliere o a un re del Medioevo che a ciò che ci vediamo davanti ai giorni nostri». Vittorio aveva confessato a Vittoria — annota Weintraub — «di non amare il mestiere di re e che si sarebbe ritirato in un monastero se non ci fossero state delle guerre da combattere». Al che la regina ribatté subito «che i re devono però essere sicuri che si tratti di guerre giuste». Gustosa anche se improbabile l'idea di Vittorio Emanuele che pensa, sia pure per amore di battuta, al ritiro in un monastero. Ma Weintraub, americano — occorre non dimenticarlo — scopre una nota yzhkee nel pieno della guerra boera che tormentò la sovrana nella parte finale del suo regno. Vit¬ toria si sforzava di essere presente ovunque, tra i feriti tornati in patria, fra i soldati che l'avevano servita nella residenza di Balmoral e che ora partivano per raggiungere le frontiere del Transvaal-Natal, i ragazzi del Gordon Highlanders. Churchill Che cosa spedire a quei giovani per Natale come personale dono della regina? Vittoria decise da sola, senza ascoltare consigli: una scatola metallica con la sua immagine impressa sul coperchio e, dentro, dell'ottimo cioccolato. Pochi osarono consumare quel regalo. Quasi tutti conseivarono gelosamente la scatola e la riportarono in pairia a guerra conclusa. Tom O'Casey, irlandese tutto d'un pezzo, se ne tornò a Dublino con quel regale cioccolato dentro il sacco. E James Humphrey, dei Rovai Lancasters, assicurò che la scatola di cioccolato, chiusa dentro lo zaino, gli aveva salvato le vita bloccando una pallottola nemica. Poi ci fu la faccenda della nave ospedale Maine, equi¬ paggiata grazie alle offerte degli americani V 4 dicembre 1899 Vittoria ricevette i volontari che servivano a bordo. Quella nave era stata un'idea di Jenny, la vedova di Lord Randolf Churchill. Jenny, americana di nascita, amava l'Inghilterra. Venne invitata a Windsor e ne fu commossa. Non molti giorni dopo suo figlio divenne celebre. Era un intraprendente giornalista, inviato del Morning Post, un giovane che negli studi non era stato per niente brillante. Caduto prigioniero dei Boeri, /'inviato speciale riusci a evadere e tutta l'Inghilterra trepidò per lui, anche la regina Vittoria. Quel ragazzone sembrava andasse, più che in cerca di notizie, in cerca di guai. Si chiamava Winston, e molti anni dopo sarebbe diventato primo ministro di Sua Maestà Britannica. La madre americana e la regina ormai al tramonto, sembrano, nel racconto di Weintraub, averlo allora tenuto a battesimo, quasi con la premonizione che un giorno Britannia avrebbe avuto bisogno di lui. Renzo Rossotti La regina Vittoria, seduta sul divano e circondata dalla famiglia reale al completo, in una sala del castello di Windsor (il dipinto risale al 1887)