Ciak, rivoluzione

Ciak, rivoluzione E IL CINEMA RACCONTO' IL 1789 Ciak, rivoluzione In Francia alla Mission du Bicentenairc de la Revolution attendono con ansia dal cinema un capolavoro che finalmente esaudisca le istanze della storiografia senza trascurare il fascino dello spettacolo. Da un grande evento, si dice, vogliamo un grande film. Come se ciò non tosse mai avvenuto. 1 nomi di Griffitli e di Lubitsch, di Canee e di Renoir, di Brook e di Wajda dimostrano gli alti esiti toccati da questo genere insolito. 1 profili di Antonin Artaud e Gaston Modot, Pola Negri e Alida Valli, Marcello Mastroianni e Gerard Depardieu sono profondamente impressi nell'immaginario collettivo e basterebbe una serata di riprese in tv per rigenerare sopiti entusiasmi. Forse quest'incertezza intellettuale trova la sua giustificazione nel complesso problema del film storico. Direttore dell'Idhec, la scuola di cinematografia nazionale, era nel '57 il geniale e stanco regista Marcel L'Herbier, il quale non si trattenne dall'invettiva: «La Primati non ha coscienza filmica». E citava personaggi della levatura di Giovanna d'Arco, Maria Antonietta, Toulouse-Lautrec, Van Gogh, Pasteur, Zola, Dreyfus, i Curie, che la cinematografia Usa aveva trattato in maniera eccellente o dozzinale the fosse, senza che essi in ogni modo costituissero tra le mura natie il pretesto per girare un ;filo qualsiasi. I di là del paradosso, iJoiys Arcand ne faceva attorno agli Anni 70 una questione di struttura. Poiché infatti la maggior parte dei dati trasmessi dal cinema si appoggia alla voce umana sia dei |x-rsonaggi sia dei commentatori ne consegue comunque un ritardo perché la voce sarebbe un medium estremamente lento: «Per trasmettere stillo schermii il mimerò d'informazioni equivalente a quelle che si trovano su mi giornale quotidiano, ci vorrebbe un film di 24 ori'. ■k * Se al contrario ci caliamo nella semplice realtà dello schermo luminoso, rintracceremo opere e interpretazioni di rilievo. Va da sé che la maggior parte derivano da un'impostazione teatrale e letteraria, cioè dalle forme di cultura che proprio durante la Rivoluzione primeggiavano-accanto alla canzone. Di sicuro uh romanzo come '93 di Victor Hugo sul versarne drammatico o una commedia come Madame Sans-Cène di Victorien Sardou sul versante brillante saranno state presenti agli spicci meltetirs en scène che giravano la manovella delle prime cineprese sul finire del secolo scorso. Non è un male grave, piut¬ tosto un passaggio necessario. E poi, anche in questo campo, non guasterebbe un minimo di ottimismo. Che cosa sono se non cinema — primordiale ma assolutamente puro — i pochi secondi che vedono levarsi iJ pugnale di Carlotta Corday contro un inerme disteso nella bacinella {L'Assassinai de Marat) e il colpo di pistola che stronca un uomo concentrato sul suo tavolo di lavoro (La Mori de Robespierre) ? Ebbene sia l'uno sia l'altro film di Gaston Modot risalgono al 1897, quando il cinema non aveva ancora compiuto il suo secondo anno di età. Per un equivoco di fondo allorché la mirabolante invenzione dei Lumière esce da caffè e baracconi per godere di sedi stabili e specialistiche, si crede di aggiungervi una patente di nobiltà mediante l'apporto di arti già consolidate. Queste suggestioni di fondo sono però riassunte e deviate dalle personalità dei registi in termini assolutamente originali. Se il director più celebre del muto americano, David W. Griffith, si sofferma per tre volte sulla Rivoluzione francese, {Nursing a viper. The Oath and the man e Orphans in the storni cioè Le due orfanelle), sulle prime agisce occasionalmente. Poiché tra l'opera d'esordio e la terza, che è del '23, corrono una quindicina d'anni, Griffith fa in tempo a maturare un'ideologia non diversa da quella reazionaria e visivamente risolta da geniaccio in Nascita d'una nazione, dove i sudisti amavano i poveri negri che l'insipienza dei nordisti scatenò contro ogni tipo d'ordine e di convenienza. Ora Griffith ha conosciuto un'altra forma di modernismo e assimila i rivoluzionari con la coccarda dell'89 ai rivoluzionari con la bandiera rossa del 1917: «Robespierre è il gatto con gli stivali dell'Anarchia e del Bolscevismo". Per motivi opposti (cioè al fine di dare al proprio Paese un'innocenza ideologica e politira) Ernst Lubitsch gira nel '20 in Germania una Madame du Barry che deve piacere a tutti non soltanto per la bellezza di Pola Negri ma per la sensualità e il coinvolgimento che emanano da un'epoca considerata deplorevole. Una risposta dalla Francia viene tra il '25 e il '27 nuovamente in termini spettacolari ma anche storiografici dal Napoléon di Abel Canee, uno dei più grandi/ grandiosi fallimenti nella storia del cinema se si pensa che fu concepito in sei oppure otto film finanziati da 140 gruppi diversi, con 450 mila metri di pellicola impressionati e una proiezione su tre schermi: particolari che si dispersero nel corso del mon¬ taggio e del lancio, finalmente attuato in misura decorosa per opere di Coppola negli Anni 80 in America. Era uno spettacolo trascinante con le macchine da presa che dall'alto riprendevano le scene d'entusiasmo delle masse per i nuovi idoli. «Danton (Jean Koubitzky) arringa la fólla come un orso ispido e gigantesco; Robespierre (Edmund van Dacie) rivela solo ai diretti collaboratori l'enigmatico volto perennemente nascosto dallo schermo nerissimo degli occhiali; Marat (Antonin Artaud) è mi corpo traboccante di umori, mi volto enfialo al limite estremo della tollerabilità» (Enrico Grappali). * * Al contrario ne La Marseillaise, 1937, di Jean Renoir i sovrani assoluti e i capi popolo latitano sullo schermo infiammato dal parallelo del Fronte Popolare con Leon Blum. Una folla senza nome e senza riguardo mette in moto la Storia. Può essere un'impostazione parziale ma conviene alla fantasia di Renoir. Sentire e scorgere l'arrivo della legione di Marsiglia con la fanfara che suona il canto di Rougct de l'Isle è un'esperienza unica per lo spettatore. Saranno ancora film d'autore discutibili ma seri e affascinanti il Marat-Sade di Peter Brook con Glenda Jackson, Danton di Andrzej Waida con Gerard Depardieu e II mondo nuovo (La nuli de Vannpr) di Scola centrato sulla mediocrità deH'«ancien regime» nel momento della fuga e del tradimento, interpreti Jean-Louis Barrault, Mastroianni e la Schygulla. Saranno nuovamente di origine teatrale o letteraria lavori interessanti quali Si Versai/la melai! come di Sacha Guitry, Le Dia/ogue des Carmélites di Bruckberger e Agostini, 1789 di Ariane Mnouchkine, / duellanti di Ridley Scott e magari Cuerra e amore di Woody Alien. E come dimenticare volti e figure di stare che alla Rivoluzione hanno onestamente chiesto una colorita tessera per il proprio fantastico mosaico? 'Gloria Swanson in Madame Sans-Cène e Dolores Del Rio in Madame du Barry, Norma Shcarer in Maria Antonietta e Martine Girol in Caroline Chcrie e ancora, Emil Jannings, Marion Brando, Jean-Paul Belmondo, Mei Brooks ... Anche da loro ci è venuto uno spicchio di Rivoluzione. Piuttosto (ringraziamo per la mole delle ricerche la meticolosità di Sylvie Dallet autrice di lui Revolution Prancaise et le Cinema) sono pochi i circa 200 titoli in circa 100 anni di cinema. Indossare il berretto frigio non viene spontaneo né a produttori né a registi. Piero Perona

Luoghi citati: America, Francia, Germania, Marsiglia, Usa