Vieni avanti, reazionario di Giovanni Giovannini

Vieni avanti, reazionario DE MAISTRE: REVIVAL NEI 200 ANNI DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE Vieni avanti, reazionario In librerìa e nelle università, la figura del massimo esponente del pensiero controrivoluzionario è al centro di una riscoperta senza precedenti - La polemica contro l'illuminismo, l'implacabile lotta contro i princìpi dell'89 - Le spiegazioni di Cacciari, Del Noce e Ravera - «Ma Baudelaire confessava: fu lui ad avermi insegnato a ragionare» TORINO — Saranno in pochi a ricordarsi di lui. «Reazionario», «oscurantista», «retrogrado», «ultra della conservazione»; per il conte Joseph de Maistre la vetrina del bicentenario della Rivoluzione Francese non ha in serbo nulla. Valanghe di volumi stanno per uscire, festeggiamenti, convegni e commemorazioni sono quasi al via, da Parigi stoffe, foulard, reggiseni e pigiami, penne biro e ombrelli, un profumo, Marianne, ghigliottine di plastica, fiammiferi e pupazzi stanno per riversarsi nei negozi d'Europa. Ma per il conte de Maistre, niente. All'avversario più tenace, al nemico implacabile, allo scrittore furibondo che bollò la Rivoluzione come la massima sventura mai toccata all'umanità, «la prima insurrezione dell'uomo contro Dio», il luna park dell'89 non metterà a disposizione nemmeno un cerino. Decisamente indigesto il suo pensiero, poco simpatico il personaggio. Riposa dal 1883 nella chiesa dei Ss. Martiri in via Garibaldi a Torino, fasti di barocco e cupe immagini di confessionali in noce, una lapide commemorativa entrando a sinistra sulla parete a muro, ai lati due stemmi e un motto: Hors l'honneur nul soucy,/uori dall'onore nessuna preoccupazione. Al nome di Maistre sono dedicate solo poche righe nell'opuscolo illustrativo della chiesa che i padri gesuiti offrono ai visitatori. Ma il conte non se ne preoccupa: la sua piccola rivincita, in fondo, l'ha avuta. Negli ultimi tre o quattro anni il panorama della cultura, dall'editoria all'università, dalle discussioni sul pensiero politico agli stessi mass-media, ha dovuto tener conto di una presenza ingombrante: la sua. Rusconi ha ristampato nell'86 Le serate di Pietroburgo, Rizzoli ha pubblicato in edizione rilegata II Papa; gli Editori Riuniti, vicini al pei, hanno messo in catalogo, con mossa a sorpresa, Le considerazioni sulla Francia, durissimo «j'accuse' contro la cultura dell'Illuminismo stampato per la prima volta a Losanna nel 1796. Della necessità di ridiscutere senza complessi di Maistre e del filone controrivoluzionario si sono espressi più volte filosofi come Massimo Cacciari e Augusto Del Noce; a lui è dedicato il saggio più importante del recentissimo libro di E.M. Cioran pubblicato da Adelphi, Esercizi di stile; di lui come «pensatore tragico' si è occupato un professore dell'Università di Torino, Marco Ravera, in un volume pubblicato da Mursia: Joseph de Maistre, pensatore dell'origine. Il conte continua a graffiare. E per il suo pensiero non è azzardato parlare di revival. Perché? «Sgombriamo subito il campo da ogni possibile equivoco, dice Ravera. Parlare oggi di Maistre non vuol certo dire riesumare semplicemente il vinto, l'esule della rivoluzione, né tantomeno sottolineare, come fa un certo tipo di cultura di destra, gli aspetti più datati e improponibili del suo pensiero: la difesa a oltranza della monarchia assoluta, una visione assolutamente tetra e negativa della società e dell'uomo, l'apologia dell'Inquisizione e via di questo passo. Rileggere oggi Maistre vuol dire altro: vedere in lui il filosofo, scoprire nella sua prosa scintillante, nell'argomentare secco ed essenziale, il correttivo per una cultura tronfia e ubriaca di sé, la medicina contro quell'illuminismo arrogante e dogmatico che con l'idolatria della ragione e la rivoluzione, credeva di costruire il paradiso in terra e finì invece nei massacri del Terrore». Maistre anti-illuminista. Ma che senso può avere, oggi, un attacco frontale alla ragione? «Dobbiamo intenderci. Se per neoilluminismo intendiamo un'interpretazione genuinamente critica della realtà. un atteggiamento aperto e tollerante verso altre voci (e quindi anche verso il trascendente), una disponibilità ad accettare la diversità, a confrontarsi con gli altri e a rimettere in discussione le proprie idee — un atteggiamento alla Bobbio, tanto per spiegarci — allora è chiaro che non c'è bisogno né di medicine né di correttivi: abbasso Maistre e viva la tolleranza. Ma se per neoilluminismo intendiamo la retorica della ragione, l'atteggiamento negativo verso tutto ciò che essa non riesce a spiegare, la pretesa della ragione di ingabbiare forzatamente nei suoi schemi anche ciò che in questi schemi non rientra,—ed ecco l'intcllcranza, l'uso della forza, l'avvio del totalitarismo — allora viva la polemica di Maistre. «Forse nessuno come lui ha saputo smascherare e combattere gli eccessi del dogmaragione. Fu definito il Voltaire a rovescio, era un polemista di classe, capace di cogliere in battute fulminanti i punti deboli degli avversari. "La fraternità della Rivoluzione — scriveva — è quella che ti dice: allora siamo d'accordo: o accetti di essere mio fratello, o ti ammazzo"». Fino ai quarantanni fu un uomo tranquillo. Era nato a Chambéry, faceva il magistrato: gli impegni della carica, la vita familiare, le letture, gli amici, qualche appunto qua e là, nessun libro scritto, niente che facesse presagire in lui il polemista combattivo e sottile. Era ritenuto un uomo pacifico ed equilibrato, un moderato di idee vagamente liberali. > In un primo tempo guardò anche con favore ai fatti dell '89, Parigi che insorgeva e dava l'assalto alla Bastiglia, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo in agosto, ma fin dall'anno successivo si accorse che quel che avveniva in Francia non era soltanto una rivolta contro l'assolutismo. Era qualcosa di più: una rivoluzione tesa non solo a spazzar vìa il mondo feudale, ma a recidere dalla storia quelle radici filosofico-cristiane sulle quali era germogliata la civiltà europea. A Torino il conte Maistre incontrava i fuoruscili e ne ascollava i racconti. Sgranava gli occhi davanti alle testimonianze: la gente più povera e affamata di Parigi che lasciava il Faubourg SaintMarcel per raggiungere in massa le zone dei nobili e assalire per strada i passanti, la violenza che colpiva a casaccio. Era un fiorire di giornali e pubblicazioni, tante piccole tipografìe sbucale come per incanto in cantine e magazzini, attività febbrile, i torchi che stampavano poche centinaia di copie l'ora, le idee che circolavano, si diffondevano, infiammavano gli animi e davano fuoco alle polveri. «Ciò che subito lo colpì, dice Del Noce, fu il capovolgimento che la Rivoluzione stava attuando: le idee per le quali si combatteva si stavano trasformando nel loro esatto contrario, le esigenze di libertà ed eguaglianza, le attese, gli ideali, gettavano la maschera per diventare qualcosa di imprevisto e terribile. Era questo che volevano gli illuministi? Certamente no. E perché allora avvenne? Perché si realizzò nell'89 quel processo di "eterogenesi dei fini" che ha avuto tragica conferma anche in altre rivoluzioni e che Maistre ha saputo fotografare in modo esemplare». Il conte ascoltava i fuorusciti e inorridiva. Fissava nella mente le immagini e le idee che come un incubo lo avrebbero accompagnato per tutta la vita. E l'incubo diventò presto realtà. Nel 1792 le truppe francesi invasero la Savoia: non gli restava che l'esilio. Anni di solitudine, rabbia, la moglie e i tre figli lontani, alloggi angusti e umidi, i soldi che non bastano, la dignità calpestata, un disprezzo per la Rivoluzione che ormai rasenta il fanatismo. «Nell'esilio il suo spirito ci guadagnò e il suo stile anche, scrive Cioran, la sventura lo salvò dal vago, pur rendendolo per sempre incapace di serenità e di obiettività, virtù rare nell'emigrato». L'odio diede energia e muscoli alla sua prosa. Il re era stato decapitato, la Rivoluzione ormai un bagno di sangue. Maistre riceveva le notizie con apprensione e si informava con curiosità insaziabile. La Vandea insorta e domata con una strage, Marat assassinato, i girondini uccisi. Robespierre padrone, gli stessi seguaci di Robespierre giustiziali. Il conte ascoltava, il suo sguardo vagava nel vuoto come rapito, a volte brillava di una luce strana, quasi un lampo di soddisfazione. Eccoli i negatori di Dio — pensava — i predicatori della line di ogni limite, i sostenitori della dea ragioìie. Dov'è finito il famoso progresso che dovrebbe condurre l'uomo da uno slato iniziale dì barbarie a un superiore stadio di civiltà? E la penna vergava frasi su frasi, le idee si accavallavano impetuose, Maistre scriveva spedito, i concetti si traducevano in inchiostro con chiarezza quasi cartesiana. • Baudelaire diceva che Maistre gli aveva insegnato a ragionare, osserva Cacciari. E ragionare, almeno in politica, significa riconoscere che l'origine di ogni stupidità consiste nel ritenere che l'uomo sia originariamente buono, e che si possa perciò pensare un sistema di leggi tale da risarcire questa naturale bontà. Maistre fu anche il primo a riconoscere che la Rivoluzione rompeva drasticamente con il passato e che l'idea di nozione come patrimonio di tradizione, cultura, differenze, veniva soppressa e annullata in quella più anonima di stato. Possiamo essere d'accordo con Maistre o maledirlo, ma questo non cambia niente: quello fu il processo e fu lui a vederlo per primo con estrema chiarezza. Voglia il cielo che ci sia consentito di discuterlo alla Maistre, cioè con altrettanta radicalità, e non come quella sconfinata letteratura tiepida che continua a ossequiare la mediocrilas del mondo, in attesa che il mostro dell'Apocalisse finalmente la sputi in malora». Mauro Anselmo Torino. La tomba di de Maistre fu trasferita nel 1833 nella chiesa dei SS. Martiri (Foto «Stampa Sera» - Giovanni Giovannini)