Champollion, la Sfìnge e tre amori di Giorgio Martinat

Champollion, la Sfinge e tre amori LACOUTURE RACCONTA L'INVENTORE DELL'EGITTOLOGIA Champollion, la Sfinge e tre amori II primo, per l'antico Egitto, lo portò a svelare i segreti d'una lingua perduta - Sugli altri amori porta contributi originali la nuova biografia: quello, ricambiato, per l'Italia e l'infelice passione, a Livorno, per Angelica Palli, la Sibilla di Toscana - Il soggiorno a Torino e il tuffo nei tesori del nascente Museo egizio ■ Un «Bonaparte pacifico» tra gli intellettuali e l'aristocrazia liberale «Champollion et l'Italie» s'intitola la conferenza che Jean Lacouture terrà oggi al Centro culturale francese di Torino (via Pomba 23, ore 18 e 30) in occasione dell'uscita; presso Grasset, del suo libro Champollion - Une vie de lumières. Jean-Francois Champollion il decifratore. Un lampo improvviso che squarcia una notte di millenni? «Quel che fa la grandezza di Champollion non è che si sia levato come un taumaturgo sul nulla. E' che abbia saputo raccogliere e comporre le fiammelle che ammiccavano nel buio. Sull'Egitto alla fine del secolo dei lumi non pesava una notte opaca. L'ombra che gli aveva gettato addosso l'imperatore cristiano Teodosio, quindici secoli prima, proscrivendo i culti e la cultura nilotici, era carica di segni. E' per non essersi lasciato schiacciare dalla durata e dal peso di questo ammasso di secoli di silenzio, per aver saputo guardare senza tremare questa incommensurabile notte e scoprirne le stelle, che Champollion inventò l'egittologia». Alla lunga pazienza del genio, lo storico Jean Lacouture dedica con queste parole una ricca biografia, Champollion - Une vie de lumières (ed. Grasset). Lacouture non è uno specialista. Ma vanta titoli innegabili di competenza. Per le altre sette biografie di contemporanei che hanno preceduto questa, per aver vissuto quattro anni in Egitto, facendone l'argomento del suo primo libro, L'Egypte en mouvement e, infine, per la sua abilità nel rievocare, con taglio e cultura da giornalista di razza, non solo i personaggi, ma l'aria del tempo, la cornice, la folla dei comprimari. E' soprattutto questa sua capacità di comporre un affresco a tutta parete che offre al lettore italiano particolari motivi di interesse. Perché la biografia di Champollion non è occupata soltanto dal primo e più esclusivo dei suoi amori, che lo porterà a svelare il segreto di una lingua perduta. Ma anche da altri due: quello, ricambiato, per l'Italia e quello, senza speranza, per una poetessa di Livorno. Del primo si sa tutto o quasi. Ma Lacouture lo arricchisce di particolari scavati negli archivi e ne restituisce tutta la carica appassionata, quasi monomaniacale. Dalla dichiarazione solenne che il quindicenne Champollion — enfant prodige che conosce già, oltre il latino e il greco, l'ebraico, l'arabo, il siriaco, l'aramaico e il copto — fa al sindaco di Grenoble: «Voglio consacrare la mia vita alla conoscenza dell'antico Egitto». Dai loisir di liceale che dedica le vacanze estive a un trattatello di numismatica ebrai- ca, a un commento su Isaia, a una traduzione dell'Esodo e a studi sui geografi arabi Ben al Awardi e Bakui. Da cinque anni è terminata l'occupazione francese in Egitto, ì 150 scienziati, letterati e poeti che Napoleone aveva aggregato all'armata sono rimpatriati e uno di loro, Joseph Fourier, fisico geniale che legherà il proprio nome a studi sulla propagazione del calore, è diventato vrefetto a Grenoble e amico intimo del fratello maggiore di JeanFrangois: insieme stanno lavorando alla prefazione storica della Descrizione dell'Egitto. In tutta la Francia dilaga l'egittomania, anche se-la famosa stele di Rosetta è stata sequestrata come preda bellica dagli inglesi e si trova al British Museum, a Londra. Un rivale A portate 'jelle mani di Thomas Youna, il grande rivale di Champollion, anche come enfant prodige precocemente esperio in antiche lingue orientali. Si è già dedicato alla stele trilingue e il 3 ottobre 1814 ne presenta una «traduzione congetturale» del testo demotico, riconoscendo però che il mistero dell'iscrizione geroglifica «resta ancora intatto come l'Arca dell'Alleanza». In attesa di romperne i sigilli, intcsse una corrispondenza, che da parte sua è carica di sufficienza, con l'emulo Champollion. Champollion, di 17 anni più giovane, frattanto è uscito con lode dalla Scuola di Un- gue orientali di Parigi, si è consumato nello studio dei papiri, ha compilato una grammatica copta e tenuto utia comunicazione all'Accademia delle Scienze e una lezione al Collège de France sulla scrittura egizia. E, ritornato nei Delfinalo, ha avuto anche il tempo di guadagnarsi il soprannome di «Robespierre grenoblais» per aver sventolato coti troppo entusiasmo il vecchio, glorioso tricolore, contro i gigli borbonici della Restaurazione. Ma tornerà il tempo degli studi e dei papiri, fino al giorno in cui si precipiterà ruggendo stravolto: «Je tiens l'affaire» nell'ufficio del fratello e cadrà privo di sensi per parecchie ore. Cosi fu svelato l'enigma della Sfinge. Sono cose ormai entrate nella leggenda. Sapore d'inedito hanno invece, nel libro, i rapporti di Champollion con l'Italia: «Bisogna proprio parlare di storia d'amore, tra Jean-Francois e l'Italia. Non soltanto perché la donna che più ha amato poetava con passione in un porto della Toscana, ma perché, seguendo l'esempio del suo più anziano compatriota Henry Beyle, intrattenne una relazione appassionata e fremente con la gente d'oltralpe, signorotti e grandi dame, ministri e cocchieri, carbonari e monarchici, ciceroni e bidelli, briganti e marinai, mistici e rinnegati, uomini di scienza e di toga, civette e matrone, banchieri e mendicanti, poeti e facchini, grecisti e botanici». Ad attirarlo in Italia, dopo la grande scoperta della chiave, è il più gran deposito di antichità egizie su cui applicarla, che si trova a Torino. E qui compare alla ribalta, nel libro, un personaggio minore, ma scolpito a tutto tondo: quel Bernardino Drovetti. «avvocato di Barbania sedotto dalla Rivoluzione francese, poi stregato dal generale Bonaparte, meteora che scavalcava le Alpi per mettere in ginocchio l'Europa dei princi^ e dei prelati». Arruolato nella legione, piemontese che aveva raggiunto Napoleone dopo Arcole e Rivoli, sì era distinto a Mantova, e aveva scelto di seguirlo anche nell'avventura alle Piramidi. Il bottino Lo ritroviamo nel 1S03 in Egitto, console di Francia ad Alessandria. -Non si sa che imprese avrebbe compiuto un Drovetti rimasto sul suolo natio e partecipe del Risorgimento. I talenti che spiegò in Egitto rivelano in ogni caso un personaggio fuor del comune, in cui gli scrupoli non furono sempre all'altezza dell'audacia o dell'immaginazione, ma il cui nome è per sempre legato sia alla costruzione dello Stato egiziano da parte di Mohammed Ali, del quale fu uno dei consiglieri stranieri più assidui e efficienti, sia alla nascita dell'egittologia che servì, per fas et nefas, con geniale rapacità-. Checché si pensi di questo avventuriero che, come il suo collega britannico Henry Salt.fece della rapina la branca primogenita dell'egittologia, fu l'uomo al quale Frangois René de Chateaubriand, avendolo incontrato ad Alessandria, con¬ sacrò questa sentenza' «Non ho credito, né protettori, né fortuna: ma se ne avessi, non li userei per nessuno con maggior piacere che per il signor Drovetti». Dalla sua stagione di rapina in Egitto Drovetti riporterà a Livorno intere navi di bottino. Le offrirà prima al Piemonte, poi alla Francia, entrambi riluttanti. Finché un altro piemontese, il conte Carlo Vidua, celebre esploratore, avendo ammirato la collezione ad Alessandria, indurrà gli influenti amici torinesi Prospero Balbo e Cesare da Saluzzo a convincere re Carlo Felice a comperarla. Champollion, che invano ha perorato l'acquisto a Parigi, fa buon viso a cattivo c ioco: «Poiché la collezione Drovetti non viene da lui, sarà lui ad andare alla collezione». E si offre come catalogatore del neonato museo Egizio a Torino, scrivendo al suo amico cavalier Lodovico Costa, che è diventato sottosegretario di Stato. Carlo Felice, il re della Restaurazione, nutre una giustificata diffidenza nei confronti del «Robespierre grenoblais». Ma (forse meno reazionario di quanto dica la fama) autorizza Balbo e Costa a invitare Champollion, che dal canto suo «ha perduto molto del suo berretto frigio», a Torino per compilare il famoso catalogo. Champollion è ricevuto il 9 giugno 1824 da una delegazione dell'Accademia Reale piemontese, «nella quale sono riuniti tutti coloro che diventeranno i suoi migliori compagni di ricerca: l'abate Costanzo Gazzera, orientalista, l'abate Amedeo Pevron, ellenista, l'abate Ignazio Barrucchi, bibliotecario e il grande astronomo Giovanni Plana; ma anche il cavaliere di San Quintino, appena nominato conservatore del museo egizio, le liti con il quale diverranno leggendarie». Il soggiorno torinese dura otto mesi ed è un tuffo nei tesori del museo. Confiderà in una lettera al fratello: «Descrivere le sensazioni che ho provato studiando i brandelli di questo grande cadavere di storia è impossibile: la più fredda delle immaginazioni ne sarebbe accesa. Come vietarsi un po' d'emozione rimescolando questa antica polvere dei secoli? Andavo filosofando a oltranza, nessun capitolo di Aristotele o di Platone è tanto eloquente quanto questo cumulo di papiri». Ma non si interessa solo di papiri. Annoda amicizie con l'aristocrazia liberale, i cui capifila sono il principe di Savoia Carignano. il conte e la contessa Sclopis, il conte Prospero Balbo con il figlio Cesare e la famiglia Saluzzo, a cominciare dalla contessa Diodato, la «Saffo del Piemonte». Annota Lacouture: «Tra la nobiltà piemontese e il visitatore, si stabiliscono rapporti nei quali la politica ha una parte dominante: come a Parigi i Doudeauville e i La Rochefoucauld appassionatamente impegnati a promuovere l'istruzione pubblica e la libertà di espressione questa aristocrazia irritata dal conservatorismo del sovrano e accesa di ardori prerisorgimentali vede in Champollion un Bonaparte pacifico, il portatore di torce che diffonde- senza appiccare ranno luce incendi». Dalla Saffo piemontese «della quale parla con un'ammirazione non dettata dalla galanteria» alla 'Sibilla di Toscana-. Il terzo, infelice amore di Champollion: «Amore arido, incompiuto, e per questo più lancinante». Dopo una tappa romana e un breve ritorno a Grenoble, Champollion è di nuovo in Italia. Ha convinto il suo sovrano ad acquistare i tesori raccolti, o meglio rapinati, in Egitto dall'inglese Salt, ancora stivali nei docfcs di Livorno E a Livorno è accolto con tutti gli onori dall'Accademia il 2 aprile 1826. La seduta si conclude, scrive Champollion, -con la mia apoteosi, fatta da una giovane greca, la signora Angelica Palli, figlia di uno elei primi commercianti di Livorno e celebre improvvisatrice, che recita con il più poetico dei fuochi un'ode a mio onore e gloria». Ln'ode che tra l'altro lo invita a impegnare il suo genio in un altro enigma -Ma non fu ravvolta in tenebre / sol d'Egitto la favella / Già l'etrusca t'appella...... La civetta E' uno di quegli incontri -che decidono di una vita intera». Sono parole di Champollion. Che racconta questo amore infelice in trenta lettere indirizzate ad Angelica durante il successivo viaggio in Egitto e pubblicate recentemente dall'egittologo italiana Edda Bresciani dell'Univer¬ sità di Pisa. -Uno specchio, dice Lacouture, dell'anima, del cuore, del temperamento del fondatore dell'egittologia. Testi quasi sempre commoventi, spesso laceranti, talvolta molto belli, in cui risuonano gli echi di un preromanticismo venuto, dalla Nouvelle Héloise e contemporaneo alYAdolphe-. Non si conoscono le lettere della bella Angelica, ma se ne indovina il contenuto dalle citazioni che nefaJean-Frangois rispondendo e che rivelano «uno spirito di una strana malignità: per protestarsi innocente del suo "non amore", o per proteggersi da un amore pericoloso, la poetessa s'ingegna a lardellare il grand'uomo di frecce e di punte in cui si mescolano il sospetto della gelosa, il disprezzo della civetta per il goffo studioso, l'irritazione dell'ambiziosa verso co» lui che l'ha sopravanzata in gloria •. Insomma, l'altra fa"cia della medaglia, in questa descrizione del rapporto ambivalente di Champollion con l'Italia, amore e ripulsa, felicità e sofferenza, che si concludemmo amaramente: -Come posso spiegare il vostro silenzio?, scriverà all'amata nell'ultima lettera, sbarcando vi Franciadi ritorno dall'Egitto. Soltanto da voi posso apprenderne i motivi e sono ridotto a ripetere qui le tristi parole che concludono tutte le lettere che vi ho scritto: io aspetto». Un'attesa, postilla Lacouture, che non terminerà se non con la morte. Giorgio Martinat Torino. Una sala dello Statuario del Museo egizio, ancora disposta come la vide Champollion (nel riquadro, ritratto ventenne, quando era professore a Grenoble)