Budapest non supera la sindrome del'56
Budapest non supera la sindrome del '56 Compromesso nel partito comunista ungherese: il confronto sulla rivolta è sospeso e rinviato Budapest non supera la sindrome del '56 Sollevazione popolare o controrivoluzione: i tragici fatti «verranno riesaminati nel quadro di una visione globale, obiettiva» - Confermata l'apertura «alla diaiettica con le minoranze ed altre forze alternative» - Alla riunione straordinaria fiancava soltanto Kadar - Mosca ammette: «Bela Kun fu fucilato» DAL NOSTRO INVIATO BUDAPEST — E' finita nel segno del compromesso la due giorni del Plenum comunista ungherese. Evitato il trauma della spaccatura interna tra falchi e colombe, il partito di Karoly Grosz si schiera sulla linea morbida del segretario generale ma accetta il confronto con la minoranza riformista capitanata da Imre Pozsgay. Non processerà ad occhi chiusi, come in passato, gli eventi de). 1956 liquidandoli tramite slogan ormai superati, ribalterà anzi gli schemi ideologici fin qui adottati per aprire il sistema al pluralismo. Sono queste le conclusioni principali della riunione straordinaria indetta dal comitato centrale del Posu alla presenza dei massimi dirigenti del potere magiaro. Alla discussione a porte chiuse, articolata su 44 interventi de¬ finiti «vivaci e costruttivi», mancava soltanto Janos Kadar, l'ex leader indiscusso rimasto in sella per trent'anni ed esautorato lo scorso maggio. Evidentemente ha preferito evitare l'umiliante comparsa nelle vesti di imputato dinanzi ad antichi compagni di lotta chiamati a prortunciarsi sulla sua gestione e a tracciare la revisione da attuare entro il 1990. Tre i punti-chiave della risoluzione finale anticipata dal portavoce Emil Rimmel che conferma in sostanza le previsioni sugli umori dell'assemblea: sì alla battaglia tematica, alla contrapposizione degli schieramenti, però il vertice del partito deve restare compatto, unito, soprattutto deve cementare le crepe al proprio intemo. Pertanto i trascorsi storici del Paese, incluse la sollevazione di Budapest dell'au¬ tunno '56 e la tragica morte di Imre Nagy, «verranno riesaminati nel quadro di una visione globale, obiettiva». Ciò lascia intravedere l'ipotesi di un giudizio sfumato in grado di bilanciare le posizioni di chi pretende definirla come sollevazione popolare e l'interpretazione dei tradizionalisti che preferiscono invece il vecchio indice di lettura, quello di controrivoluzione antimarxista. Secondo, il partito non si arroccherà più dietro la preminenza dell'autorità monolitica, assolutistica «schiudendosi piuttosto alla dialettica con le minoranze ed altre forze alternative». Anche l'Ungheria insomma si appresta all'esperimento pluralistico tentato in Polonia, cadrà quindi il divieto di formare partiti, oggi nascosti pudicamente dal paravento di «associazioni con il diritto di riunirsi in pubblico». In lista d'attesa per la registrazione, dopo la luce verde del Politbjuro e del Parlamento sono già numerose formazioni, dal partitino dei piccoli proprietari terrieri, eredi del grande partito agrario in auge nell'immediato dopoguerra, ai socialdemocratici, al «Forum» dei dissidenti diretto dal filosofo Janos Kis e dallo scrittore Miklos Vasarely, ai radicali del Fides, ai «blu» ecologisti che si battono contro l'inquinamento del Danubio. Terzo, il partito si impegna a sconfessare coloro che tentano di forzargli la mano e bloccare il processo del rinnovamento sindacale ed economico. Ossia via libera alle rappresentanze autonome dei lavoratori (esistono da alcune settimane gli pseudosindacati degli scienzati, degli artisti e dei giornalisti) ed alle joint ventures con capitali stranieri per allentare la morsa del debito estero di 18 miliardi di dollari, il più alto prò capite dell'Est europeo. Agendo in settori così svariati, risulta chiara l'intenzione del Comitato centrale di scoperchiare in fretta molte pentole, e di non limitare la discussione plenaria ai fatti del 1956. Una decisione, sostengono gli osservatori, che premia la condotta di Pozsgay pur senza incrinare il carisma di Grosz, confortata d'altronde dai segnali lanciati dal Cremlino. Infatti il quotidiano del governo Magyar Hirlap ha messo in risalto le dichiarazioni di Olog Bogolomov, presidente dell'Istituto di Ricerche dell'Accademia delle Scienze sovietica, sul futuro assetto del Paese: «L'Urss — ha detto — non ostacolerà un'Ungheria disposta a tra¬ sformarsi in democrazia di tipo austriaco o svedese». E ieri l'agenzia ufficiale di notizie Mti ha diramato due dispacci significativi. Uno riguarda la morte di Bela Kun, fondatore del partito comunista ungherese. Si chiarisce cioè — come ha spiegato l'organo ufficiale ungherese Nepszabadsag — che il dirigente comunista fu condannato a morte dall'Alta corte sovietica il 29 agosto 1938 e fucilato. La versione accreditata finora era che Kun morì in un carcere sovietico nel novembre 1939. Kun fu accusato di complotto trotzkista. Inoltre, si prepara la restituzione all'uso civile degli accampamenti che saranno sgombrati dalle guarnigioni russe di Szombathely e Tokol mentre l'ospedale militare di Esztergom tornerà ad essere una chiesa. Piero de Garzarolli
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