La doppia tragedia di Byron di Osvaldo Guerrieri

La doppia tragedia di Byron A Ravenna è andata in scena l'opera di Cimnaghi, regista Squarzina La doppia tragedia di Byron Il copione incastra la vicenda del «Marino Falserò» nell'avventura personale del poeta che tentò di liberare la Grecia dai turchi: due fallimenti - Un allestimento che passa dal clima dell'operetta al livore del dramma Grande a metà l'interpretazione di Corrado Pani, doge dolente - Buona la prova di Licinia Lentini UAL NOSTriO INVIATO RAVENNA - L'idea è suggestiva. Si tratta di prendere il Marino Fallerò, fluviale tragedia veneziana di George Byron, e incastonarlo, come fosse una gemma dai bagliori bluastri, in una seco7ida tragedia, nell'avventuroso, velleitario e incompiuto tentativo byroniano di liberare la Grecia dai turchi con un esercito personale. Evidentemente per Mario Roberto Cimnaghi. autore di Lord Byron prova la rivolta in scena al teatro Alighieri di Ravenna, esiste un'intima rispondejiza fra le due vicende, anzi luna è speculare all'altra, o addirittura l'una potrebbe essere il travestimento poetico dell'altra. Il doge Marino Fallerò, che resse Venezia intorno alla metà del Trecento, si fece promotore di una rivolta che avrebbe dovuto dare alla Sercnissina un governo popolare. La leggenda vuole che, all'origine della congiura, ci sia slato un allo di bruciante ingiustizia patito dal doge: il fatto, cioè, che 7ion fosse sialo adeguatamente piniito il patrizio Michele Steno, autore di una frase ingiuriosa trovata incisa sul trono: «Mann de la bella moier / altri la galde e lui la mantien». Iti rivolta falli sul nascere. Fallerò fu arrestalo e condannato alla decapitazione. Con Byron non c'era di mezzo l'onor tradito. Byron fu amato senza condizioni dalle donne che ebbe numerosissime, dalla moglie Annabella alla sorellastra Augusta 'quanti pettegolezzi su quel sospetto d'incesto), alla contessa ravennate Teresa Gamba, per non dire delle relazioni veneziane che. sussurravano i pettegoli dell'epoca, non furono meno di duecento. Con Byron c'era, rapinosa fino al delirio, l'idea della libertà da restituire agli oppressi, un'idea che lo indusse a farsi carbonaro e a preparare la sfortunata spedizione a Missollingi. dove il poeta malalissi- mo morirà nel 1824, prima ancora di poter avvistare il nemico. Ecco dunque perché il fallimento di Mann Faliero è il fallimento di Byron, ecco perché le due tragedie limino rispondenze strettissime, appartengono quasi allo stesso amalgama di generosità, esibizioìiismo, frustrazione. E il copione di Cimnaghi, messo in scena da Luigi Squarzina per VenetoTeatro, è folto di rimandi, trascorre con brevi scarti ellittici da una zona all'altra del racconto. Sembra dirci Cimnaghi:scrivendo nel 1821 di Marino Faliero, Byron in realtà scrive di se stesso. Ma nel passaggio dalla scrittura alla messinscena, l'intuizione di Cimnaghi si è incagliala nelle secche di una diversa — e meno suggestiva — ipotesi. Nello speltacolo di Ravenna si è assistito a uno sfilacciametilo dei nessi, come se il regista Squarzi7ia avesse preferito separare le due anime complementari del testo e, giocando sulla contrapposizione dei toni e degli stili, avesse voluto porre la vicenda umana e rivoluzionaria di Byron al servizio del riscritto e sfrondalo Marino Faliero. E cosi, in un salotto ottocentesco pesante di drappeggi, ci presenta Byron e la sua corte di avventurieri persi nella preparazione della ynissione greca; ci fa conoscere la moglie, la sorellastra e la contessa Gamba amante del poeta non già come donne dila7iiate da reciproca rivalità, 7na come un raduno di cocottelle ciarliere. Con la prcse7iza dei 77iusici e l'ossessivo ritornello derivato dalla scritta di Stc7io, crea addirittura un cli77ia da operetta che si accentua sul finale, quando Byron i7idossa giubba scarlatta ed eh/io. in un'imbarazzu7ite caricatura del guerriero. Straordi7iario, per il clima livido che sa creare, per un che di malato e di sfinimento autwinale. è il nucleo tragi¬ co dello spettacolo, le larghe aperture sul Marino Faliero, dove, oltretutto, si fa più risoluta e autorevole la prestazione degli attori. A cominciare da Corrado Pani, bravissimo nel restituirci la dolente maschera del doge, quel suo corpo piegato da un peso simbolico. Accanto a lui, come dogaressa e 7noglie, troviamo una Licinia Lentini che ricordavamo inconsistente in spettacoli inconsistenti e che ora appare maturata. Ricorderemo ancora Margherita Guzzinati, Tiziana Bagatella, Paolo Musio, Franco Alpestre. Il pubblico, sulle prime freddo e perplesso, alla fine ha applaudito generosamente gli interpreti. Osvaldo Guerrieri Corrado Pani e Franco Alpestre in «Lord Byron prova la rivolta»

Luoghi citati: Grecia, Ravenna, Venezia